L’invenzione dell’omosessualità

Nel dicembre del 20091 Reset ha proposto una intervista a Joseph Massad della Columbia University e autore del saggio Desiring Arabs sul tema dell’omosessualità nel mondo arabo.

La tesi è, in soldoni, che l’omosessualità è una invenzione occidentale: nel mondo arabo non esistono “gay” ma semplicemente “uomini e donne che hanno rapporti con lo stesso sesso”.

Qual è allora in sintesi la differenza tra omosessualità “occidentale” e quella che lei chiama, nel suo libro, la pratica e il desiderio dello stesso sesso?

In definitiva, la prima è un’identità che rivendica una comunità socialmente riconosciuta insieme a diritti politici, mentre l’altra è una delle tante forme di intimità sessuale che va alla ricerca del piacere corporale.

La mia prima reazione è quella di una sofisticata e intellettuale (nel senso brutto) giustificazione della dichiarazione, rilasciata un annetto prima, di Mahmud Ahmadinejād: “Non esistono omosessuali in Iran”. Continua a leggere “L’invenzione dell’omosessualità”

  1. Questo testo ha avuto un periodo di incubazione molto lungo []

Un cane guida sa che il suo padrone è cieco?

È molto interessante leggere le risposte a questa domanda che Hal Herzog, professore di psicologia alla Western Carolina University, ha raccolto in un post sul suo blog.

Il quesito gli è stato posto dal proprietario del cane durante un incontro radiofonico: “Professore, il mio cane sa che sono cieco?”.
Herzog non è stato in grado di rispondere immediatamente alla domanda e ha così girato il quesito ad altri scienziati. Le risposte, come detto, sono molto interessanti – non solo scientificamente, ma anche filosoficamente. Continua a leggere “Un cane guida sa che il suo padrone è cieco?”

Il fondamento del rifiuto della pena di morte

Luigi Ferrajoli, all’inizio del suo Il fondamento del rifiuto della pena di morte (in Pietro Costa (a cura di), Il diritto di uccidere. L’enigma della pena di morte, Feltrinelli 2010), traccia un veloce quadro storico delle riflessioni filosofiche sulla pena di morte:

La storia del pensiero filosofico sulla pena di morte è desolante. Le opinini dei grandi classici della filosofia sono state prevalentemente, monotonamente a favore. C’è una triste continuità – da Platone e Aristotele fino a Kant e a Benedetto Croce – che accomuna trasversalmente, nel sostegno alla pena di morte, filosofi cattolici come sant’Agostino, san Tommaso e Bellarmino e pensatori protestanti ome Lutero e Calvino; utopisti come Tommaso Moro e Tommaso Campanella e giusnaturalisti come Hobbes, Locke e Rousseau; illuministi come Montesquieu, Hommel, Filangeri, Mably e Condorcet e idealisti come Fichte e Hegel; pensatori liberali come Anselm Feuerbach, Romagnosi, il giovane Carignani, Constant e Mill e penalisti moralisti come Pellegrino Rossi, Giuseppe Bettiol, Giuseppe Maggiore e Francesco Carnelutti.

La varietà di impostazioni teoriche è notevole: cattolici, protestanti, utopisti, giusnaturalisti, illuministi, idealisti, liberali, moralisti: tutti a favore della pena di morte.
Viene il sospetto che le impostazioni teoriche abbiano poca o nulla influenza: prima viene l’accettazione della pena di morte, la teoria fa da giustificazione a posteriori. Continua a leggere “Il fondamento del rifiuto della pena di morte”

Ancora sull’obiezione di coscienza

Ritorno sul tema dell’obiezione di coscienza.
Riprendo brevemente la distinzione tra obiezione di coscienza, disobbedienza civile e rivoluzione.
La rivoluzione ha come scopo il cambiamento di tutto l’ordinamento giuridico.1 La disobbedienza civile ha come scopo la modifica di una legge specifica. L’obiezione di coscienza ha come scopo una sorta di spazio personale di esenzione da una legge specifica. Continua a leggere “Ancora sull’obiezione di coscienza”

  1. La rivoluzione giuridica; le rivoluzioni serie hanno come scopo il cambio della classe dirigente, non delle leggi. []

A proposito di omofobia

Chiara Lalli, durante un convegno sul matrimonio omosessuale organizzato da Politeia e l’Università degli Studi di Milano, si è dichiarata liberale, talmente liberale da essere contraria alle leggi contro l’omofobia.1

Non c’è stato il tempo di approfondire il problema, ma immagino gli argomenti: un liberale è a favore della libertà di opinione e tollera quindi qualsiasi opinione, fino a che questa non diventa azione che danneggia gli altri (principio del danno, harm principle). Il disprezzo per l’omosessualità è una opinione ripugnante ma, da sola, non danneggia le persone e quindi non è sanzionabile dalla legge. Le aggressioni, originate o meno dall’omofobia, sono già punite, quindi una legge contro l’omofobia o non aggiunge niente, e complica inutilmente il quadro normativo, oppure sanziona le opinioni delle persone.

È possibile rispondere a queste critiche restando all’interno del pensiero liberale, senza cioè rinunciare al principio del danno?
A me vengono in mente tre possibili argomenti. Continua a leggere “A proposito di omofobia”

  1. La memoria potrebbe ingannarmi e, più che contrarietà, potrebbe trattarsi di semplice perplessità. []

Appelli di coscienza

L’obiezione di coscienza è, tra le varie forme di opposizione alle regole e leggi di una comunità, la meno impegnativa. Non si vuole abolire l’intero ordinamento – non è una rivoluzione. Non si vuole nemmeno modificare o abolire una singola norma, cambiando le regole che valgono per tutti – non è la disobbedienza civile.
È semplicemente la richiesta di garanzia di uno spazio di libertà individuale. Un valore che sarebbe bene tutelare: una società disposta a concedere una simile garanzia mi sembra più giusta di una che non lo concede.

L’obiezione di coscienza è meno impegnativa di una rivoluzione o della disobbedienza civile. Ma è comunque una ribellione alle regole che, in teoria, dovrebbero valere per tutti. Una eccezione all’applicazione delle leggi che, se diventasse troppo diffusa, vanificherebbe tutto.
Una società nella quale la maggioranza dei cittadini – o una cospicua minoranza – facesse obiezione di coscienza sulla maggioranza delle leggi vigenti, metterebbe di fatto in crisi l’intero edificio legislativo – si tratterebbe di una rivoluzione.

L’obiezione di coscienza va quindi maneggiata con cura e buon senso.
Il mio buon senso1 prevede che l’obiezione di coscienza si applichi unicamente alle azioni obbligatorie. Un farmacista non può ricorrere all’obiezione di coscienza per la vendita di determinati farmaci: nessuno l’ha obbligato a fare il farmacista, ci sono tanti altri lavori.
Il mio buon senso prevede anche che l’obiezione di coscienza abbia davvero la coscienza come motivazione. E questo è un bel problema: come accertarsi che tizio non chieda la sospensione di una legge per opportunismo? Se penso a una commissione di controllo, mi spavento: quella che doveva essere una garanzia di libertà rischia di trasformarsi in oppressione e controllo. Però la semplice richiesta di coerenza mi sembra sensata e poco invasiva. Se un consigliere municipale si rifiuta di celebrare le seconde nozze di un suo concittadino perché contrario al divorzio ma è egli stesso divorziato – beh, non vedo perché concedergli il diritto di fare obiezione di coscienza.
Il mio buon senso prevede inoltre di proibire gli appelli all’obiezione di coscienza. La coscienza è individuale, non collettiva. E un appello generalizzato mi fa pensare a un rivoluzionario mancato, uno che non ha il coraggio o i mezzi per cambiare una legge, e allora ricorre all’obiezione di coscienza come strumento per rendere questa legge inefficace. Il carcere a vita è forse troppo, ma 5 anni di reclusione, da raddoppiare in caso di recidiva, mi sembrano una giusta punizione.

  1. Il mio buon senso, su questo tema, ha goduto dei frutti di un seminario sul tema tenuto da Emanuela Ceva. Quello che c’è di buono, qui, viene da lei. Quello che c’è di cattivo, da me. []

L’inutile interprete

Qualcuno ha chiesto a Michael Gazzaniga se l’azione morale dipende dal ragionamento (la domanda è, ovviamente, in inglese: Does moral action depend on reasoning?).
La sua risposta è Not really, ed è motivata da quattro scoperte scientifiche. Continua a leggere “L’inutile interprete”