L’inutile interprete

Qualcuno ha chiesto a Michael Gazzaniga se l’azione morale dipende dal ragionamento (la domanda è, ovviamente, in inglese: Does moral action depend on reasoning?).
La sua risposta è Not really, ed è motivata da quattro scoperte scientifiche.

La prima è che la moralità è universale o transculturale, ossia indipendente dalla cultura anche se (seconda scoperta) molti giudizi moral non rientrano in una categoria universale.

La terza scoperta è che tutti i processi decisionali che sfociano in una azione avvengono prima che si diventi coscienti della decisione presa. Come è possibile ciò? Semplice: la razionalizzazione avviene dopo, ad opera di uno speciale dispositivo (Gazzaniga parla proprio di special device) che si occupa di costruire una spiegazione razionale per il proprio comportamento. Il nome di questo dispositivo è “interprete”, il che rende bene l’idea di qualcosa che recita una parte scritta da altri.

Il ragionamento, in poche parole, è come il verbale di una riunione: viene redatto dopo la riunione, a solo scopo di archivio.
Secondo Gazzaniga, questo non deve farci abbandonare l’idea di responsabilità, anche se probabilmente è necessario ridefinire il concetto.

L’interprete è inutile?
A leggere il breve saggio di Gazzaniga sembra di sì: al massimo può avere qualche funzione sociale, una sorta di pezza d’appoggio per il concetto di responsabilità. La faccenda mi convince poco: questo interprete sembra essere un dispositivo abbastanza complicato e dispendioso. Strano che si sia sviluppato se davvero non ha alcuna possibilità di influire sul comportamento umano, anche indirettamente. Una sorta di feedback: il resoconto dell’interprete viene costruito dopo la singola decisione, ma è a questo punto disponibile per altre decisioni sulle quali, magari, può influire.

La domanda iniziale, del resto, è generica: riguarda una vaga dipendenza , non una rigida determinazione. Forse Gazzaniga ha analizzato la questione da un punto di vista troppo ristretto.

13 commenti su “L’inutile interprete

  1. Perché inutile? L’interprete può servire a giustificare in modo convincente le nostre azioni di fronte agli altri, sottraendoci alle bastonate che ci darebbero se confessassimo i motivi genuini delle nostre azioni. Il vantaggio evolutivo è ovvio.

  2. Non ho letto il lavoro di Gazzaniga ma non penso si riferisca all’inutilità così e semplicemente di tutto l’interprete. Se è vero che nell’azione immediata agiamo prima di deciderlo razionalmente, la decisione razionale agisce sul prosieguo dell’azione. Se d’impulso alzo la mano per colpirti, un secondo dopo (ma anche 350 ms) penso anche alle conseguenze di quell’azione.
    E può anche accadere che, fatta un’esperienza di quelle conseguenze, la volta dopo quei 350 ms di dilazione siano sufficienti a bloccare l’azione.
    Quindi, serve.

  3. @paopasc: È quello che credo anche io – e infatti mi sfugge perché Gazzaniga risponda quel Not really invece di un indirectly yes o qualcosa del genere.

    @Tommy David: Così pare.

  4. Il ragionamento di Gazzaniga è scorretto.

    1) Lui dice che ci sono alcune regole morali universali e molte non universali. Il che è tautologico: è evidente che alcuni schemi di comportamento dell’homo sapiens sono hard wired e molti sono culturali. Dunque questa sua osservazione non aggiunge nulla alla conoscenza.

    2) Il fatto che molte decisioni vengano fatte in maniera inconscia non dimostra nulla, a parte il fatto che l’uomo è molto allenato a prendere decisioni morali. Faccio un esempio: se io chiedo a te, Ivo, quanto fa 5×3, tu non hai bisogno di un ragionamento esplicito per dirmi che fa 15. Analogamente, la parte di conoscenze matematiche disponibili in maniera subconscia aumenta con l’aumentare della mia abilità. Questo non vuol dire però che alla base del risultato di un calcolo matematico non ci sia un ragionamento.

    A mio parere, l’unica cosa che si può dedurre dalle osservazioni portate da Gazzaniga (premesso per altro che il Neuroimaging è spesso una presa per i fondelli) è che la competenza morale è fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano.

    [Ammetto: ci sono ancora molte lacune nella mia argomentazione, ma tant’è, oggi devo anche lavorare, un po’]

  5. Quoto Stefano in particolare per il punto 1 e il “punto senza numero” (salvo sul neuroimaging) 😉

    Riguardo la questione dell’allenamento ho molte perplessità…mentre mi piace l’idea di una codifica “hard wired” appresa… anche perchè mi rimanda al bellissimo libro “I neuroni della lettura” da poco terminato.

    La questione dell’immediatezza e dell’inconscio segna il passo. Già negli anni 70 (o almeno cerdo si riferissero a quel periodo i libri che li citavano) sono state viste incongruenze nella nostra capacità di misurare attività conscie…

    Un Sorriso

  6. @Stefano: Concordo pienamente con il tuo commento. L’esempio del calcolo è illuminante.

    @Rufo: Che esistono, no. Che sono utili, e quale è l’utilità, forse sì 😉

  7. Ti potrei fare un elenco lungo come la Bibbia di gente a cui sarebbe utile dare un bel po’ di bastonate. Purtroppo oggi la civiltà restringe la libertà di darle, ma pensa a quanti gaglioffi saranno stati eliminati in questo modo dai nostri progenitori, con vantaggi ovvi per i bastonatori e i loro discendenti. Il gene bastonatore e quello dell’interprete possono tranquillamente essersi coevoluti come il predatore e la preda.

  8. Un po’ in ritardo ho un’osservazione: quando Gazzaniga dice che

    “tutti i processi decisionali che sfociano in una azione avvengono prima che si diventi coscienti della decisione presa.”

    si riferisce, immagino, ad una serie di scoperte avvenute tramite tecnologie di imaging. Tuttavia, il tipo di esperimenti che si fanno in tal caso sono molto artificiali: di solito il task è molto ben definito (molto più di quanto non possa mai essere in realtà), il tempo a disposizione è fisso e poco e, cosa altrettanto importante, ai partecipanti non è permesso interagire con altre persone.

    Se però si va a vedere come decisioni morali sono prese nel mondo reale, la questione è completamente differente: di solito il task non è ben chiaro, il tempo a disposizione è molto e non ben definito e, fondamentale considerazioni, le decisioni vengono spesso prese dopo interazione con altre persone; quest ultimo passo ti forza ad un’elaborazione cognitiva del tuo processo decisionale che PRECEDE la decisione stessa per forza di cose.

    A presto
    Stefano

    PS: sono un altro Stefano rispetto al precedente, per questo ho firmato con Stefano C.

  9. @Stefano c: Interessantissimo commento.
    Il passaggio dal laboratorio alla vita reale è meno indolore di quello che alcune ricerche lascino intendere.

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