He broke the rule of law

He broke the law. Ha infranto la legge.

Così si è espresso Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, durante un confronto con un gruppo di attivisti per Bradley Manning.
Il discorso completo, come citato da diversi siti, è il seguente:

And if you’re in the military… And I have to abide by certain rules of classified information. If I were to release material I weren’t allowed to, I’d be breaking the law.

We’re a nation of laws! We don’t let individuals make their own decisions about how the laws operate. He broke the law.

Obama afferma che Manning, rivelando le informazioni classificate, ha infranto la legge.
Tecnicamente, ha ragione: pur non conoscendo il diritto statunitense, immagino che esistano leggi che puniscano la divulgazione di informazioni riservate, leggi che Manning, facendo quello che ha fatto, ha infranto. Continua a leggere “He broke the rule of law”

Beneficenza 2.0

Le festività natalizie sono oramai un ricordo: l’Epifania, che come tradizione vuole tutte le feste le porta via, è oramai passata da oltre un mese.
È oramai tempo di bilanci: siete stati buoni almeno per Natale? Al di là della vaga ipocrisia di questo invito (due settimane di sorrisi posso emendare un anno di cattiveria?), se uno ha l’impressione di non essere stato abbastanza buono per le feste, può provare rimediare con un po’ di beneficenza.

Le associazioni alle quali donare un po’ di soldi, diciamo trenta denari, sono innumerevoli: da Amnesty International a Emergency a Anlaids, giusto per citare le prime tre che mi vengono in mente (sentitevi liberi di integrare l’elenco nei commenti).
Voi versate i soldi e loro li gestiscono come meglio credono: voi non sapete come vengono davvero spesi i vostri trenta denari.
Non intendo diffondere sospetti che i responsabili di queste associazioni utilizzino i fondi per scommettere alle corse o per pagarsi altri vizi: semplicemente, non sapete in quale progetto verrà utilizzata la vostra donazione. Non sapete se i trenta denari inviati a Emergency verranno utilizzati in Afghanistan, in Cambogia o in Sudan oppure per comprare i francobolli – attività quest’ultima meno nobile, ma sicuramente necessaria. C’è un velo di ignoranza sugli ultimi beneficiari della nostra donazione.

Chiediamoci: perché una persona dona una parte dei propri guadagni in beneficenza? Per dovere, perché è moralmente giusto aiutare chi si trova in difficoltà; ma anche per piacere: il piacere di poter dire “ho fatto del bene”. Questo piacere è sicuramente ridotto dal velo di ignoranza di cui sopra.
È verosimile che poter conoscere, o addirittura decidere, l’esatta destinazione dei nostri soldi aumenterebbe il piacere di donare, e quindi in definitiva il numero di donazioni.

È questo uno degli aspetti filosoficamente interessanti di Kiva: poter decidere, con tanto di foto e una breve descrizione, chi aiutare (tramite un prestito senza interessi: quella di non donare denaro ma pretendere la restituzione dei soldi, seppur senza interessi, è un altro aspetto filosoficamente e moralmente interessante di Kiva).

Tutto bene, dunque?
Non proprio. Affidando la destinazione ultima degli aiuti alle comuni persone, ci si sottopone all’effetto delle distorsioni cognitive. In altre parole, si lascia maggior spazio ai pregiudizi delle persone.
Una vedova con bambini avrà così più opportunità di ricevere prestiti rispetto a un giovane non sposato – ma è giusta una simile disparità? Similmente, un venditore di carbone, tecnologia che noi consideriamo da evitare perché poco ecologica, potrebbe avere meno chance di ottenere un prestito rispetto al suo vicino di casa agricoltore – eppure il commercio di carbone potrebbe essere una attività più importante per l’economia locale. E che dire dei venditori di prodotti cosmetici? Quanti impegnerebbero i propri soldi in una attività che consideriamo superflua? E ancora: una bella e giovane ragazza raccoglierà più fondi rispetto a una anziana e brutterella, almeno dalla parte maschile degli utenti?

Simili pregiudizi intervengono anche nelle modalità tradizionali di beneficenza, ma possiamo immaginare che il loro effetto sia mitigato dall’intervento di esperti, la cui esperienza dovrebbe ridurre l’effetto di queste distorsioni cognitive. Il sistema congegnato da Kiva, in poche parole, rischia di essere iniquo, favorendo alcune persone per motivi che razionalmente non dovrebbero esistere.
Inoltre, se le donazioni tramite Kiva o altri sistemi simili diventeranno sempre più diffuse, c’è il rischio che i pregiudizi del ricco mondo occidentale modifichino in maniera non ottimale le economie locali dei paesi meno ricchi – di fatto allontanandoli da uno sviluppo pienamente autonomo che è uno degli obiettivi di questi prestiti.

Aiutare il prossimo non è un compito semplice.

Tu chiamale se vuoi illusioni

Sono sempre più numerose le ricerche sulle cosiddette illusioni cognitive: dall’economia alla medicina passando per politica e informatica, è facile imbattersi in articoli che affrontano quelle che potremmo chiamare distorsioni della nostra facoltà di giudizio.

Un esempio: molti sono convinti gli immobili siano un buon investimento (“investire nel mattone è sempre una buona cosa”). Secondo alcuni questo giudizio è (in parte) viziato dalla non ottimale memoria dei prezzi: trattandosi di grossi importi, ci ricordiamo meglio quanto valeva una casa venti o trent’anni fa, mentre ricordiamo con più difficoltà quanto costavano un caffè, un libro o altri beni decisamente più economici delle case.

La domanda che anima questo post è: perché parlare di illusione e non di un semplice errore? Continua a leggere “Tu chiamale se vuoi illusioni”

Il test della Kobayashi Maru

di Ivo Silvestro e Alex Grossini

ALEX: Ciao Ivo, potremmo provare con Wave quel discorso su Star Trek II – L’ira di Khan. L’ho riguardato e ci sono molti spunti, ma direi di concentrarci su quello del cheating, dell’imbroglio nel test della Kobayashi Maru come suggerivi. E poi usiamo questo wave come post su MotW. Buona idea?

IVO: Usiamo wave? Ma sì, dai. Iniziamo con una descrizione del test?

ALEX:  Perfetto, io inizio: la Kobayashi Maru è un’astronave descritta come nave da carico di Classe III, comandata da Kojiro Vance con 81 membri di equipaggio e 300 passeggeri. A un certo punto di un suo viaggio si trova in avaria, e qui inizia il dilemma: la KM lancia un sos, la Enterprise è nei paraggi, e si prepara a portare aiuto. Però c’è un problema, la zona in cui si trova la KM è off limits

IVO: La zona neutrale è peggio di una zona off limits: in base al fragile trattato di pace di Organia nessuna nave da guerra può entrarvi. E qui si arriva al dilemma che dicevi: cercare di salvare quelle 381 persone scatenando una guerra con l’impero Klingon che causerà, se tutto va bene, milioni di morti, oppure lasciar morire quelle persone?

Continua a leggere “Il test della Kobayashi Maru”

Società civile

La casa editrice Laterza ha lanciato un appello a favore della libertà di stampa, con riferimento al contestato disegno di legge 1425 sule intercettazioni telefoniche.
Così si conclude l’appello:

Ancor più grave sarebbe poi l’effetto sulla società civile. Come chiarito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la cronaca giudiziaria è essenziale in democrazia per consentire ai cittadini di verificare il corretto funzionamento della macchina della giustizia. Privati delle informazioni necessarie non potrebbero formarsi una opinione equilibrata sulla legittimità delle azioni intraprese dalla magistratura, come invece nei recenti casi sopra citati la cronaca giudiziaria ha consentito loro di fare.

È davvero essenziale, in una democrazia, poter conoscere i nomi di chi è stato condannato per un reato?
Giriamo la domanda: a caratterizzare la democrazia non è la possibilità, di tanto in tanto, di votare, ma la risoluzione dei conflitti tramite discussione. Discussione che deve essere informata: quindi sì, per una sana democrazia è essenziale avere accesso anche alla cronaca giudiziaria. Continua a leggere “Società civile”

Moralità e razionalità

È molto interessante leggere le risposte fornite dalle tredici personalità interpellate dalla John Templeton Foundation sul rapporto tra moralità e razionalità: non si scopre nulla di radicalmente nuovo (almeno per chi ha una conoscenza anche minima della letteratura in proposito), ma si ottiene un panorama delle opinioni che caratterizzano vari ambiti disciplinari.

Il quesito

La domanda posta è la seguente: l’azione morale dipende dal ragionamento? (Does moral action depend on reasoning?)
Da notare la vaghezza di quel “dipende”, che può indicare sia una correlazione forte (con l’azione morale completamente dipendente dal ragionamento) sia un legamo più blando (la semplice influenza, in rare circostanze, del ragionamento sulla condotta morale).
Anche “azione morale” si può interpretare in diverse maniere, come vedremo in seguito. Continua a leggere “Moralità e razionalità”

Ordinamenti parziali

La matematica è una bestia nera per molte persone. La difficoltà a operare con i numeri è, secondo me, un problema sociale e politico non da poco, vista l’importanza delle scienze matematiche nella nostra vita.
Ma non è questo il tema del post, bensì cercare di riflettere su un aspetto del dibattito sulla misurabilità della qualità, di cui ha recentemente scritto su Moralia on the web Michele Loi.

Vi sono cose che non si possono misurare – argomenta Giorgio Israel. Non è vero, misuriamo continuamente la qualità – ribatte Giorgio Allulli.

Che la misura di qualcosa abbia a che fare con i numeri, e quindi con la matematica, è abbastanza scontato. Credo quindi che sia utile conoscere quello che la matematica ha da dire sull’ordinamento di elementi di un insieme. Ma, come dicevo, la matematica è una bestia nera per molte persone. Molto meglio lo sport. Continua a leggere “Ordinamenti parziali”

L’agire morale dipende dal ragionamento?

Does moral action depend on reasoning? è la Big Question che la John Templeton Foundation ha posto ad alcune persone.
Sul sito della fondazione si possono leggere le risposte di Michael Gazzaniga (Not really), Rebecca Newberger Goldstein (Yes and no, happily), Aref Ali Nayed (No, it does not!), Alfred Mele (Only if we’re free), Stanley Fish (It depends…), Christine M. Korsgaard (Yes, if…), Joshua D. Greene (Less than it should), Jonathan Sacks (Reason isn’t enough), John F. Kihlstrom (Yes, within limits), Jonah Lehrer (Not so much), Jean Bethke Elshtain (Not entirely), Antonio Damasio (Yes and no), Robert P. George (Yes, by nature).