Ogni tanto, in qualche articolo sul ruolo pubblico della religione o durante qualche dibattito sulle radici religiose dell’etica e della politica, viene citato l’Eutifrone di Platone. In effetti in quel dialogo Socrate discute, appunto, di santità e giustizia con uno che di mestiere, se così si può definire, fa l’indovino.
In Platone la cornice dei dialoghi non è mai casuale, e infatti i due si incontrano davanti al tribunale: Socrate è lì perché denunciato da Meleto Eutifrone; invece, per accusare il padre di omicidio.
Sul tema della giustizia, Eutifrone si professa grande esperto, e Socrate, viste le accuse che pendono sul suo capo, è ben disposto ad ascoltarlo: diventando suo scolaro potrebbe apprendere come difendersi.
Eutifrone gli propone però una definizione deludente: giusto è ciò che è caro agli dei.
Obietta Socrate: gli dei litigano, e ciò che gradisce Zeus può dispiacere a Crono e Urano. Eutifrone abbozza: è giusto ciò che è caro a tutti gli dei, nessuno escluso.
E qui arriva l’affondo di Socrate: è l’uomo giusto, in quanto giusto, ad essere amato dagli dei, oppure è l’uomo amato dagli dei a essere giusto? In altre parole, una certa azione è approvata dagli dei perché buona oppure è buona perché approvata dagli dei?
Se è buona perché approvata dagli dei, allora gli dei approvano ciò che approvano, in un circolo vizioso privo di senso. Se invece gli dei approvano qualcosa perché buono, allora l’approvazione degli dei è, tutto sommato irrilevante.
Eutifrone, alla fine, si allontana con una scusa. Continua a leggere “Eutifrone”