Qualche dubbio sull’etica a lungo termine

Marco Annoni ha scritto un lungo articolo sul lungo-terminismo, l’idea etica che dovremmo basare le nostre decisioni morali guardando anche alle conseguenze sulla vita delle persone che esisteranno in futuro.

Alla base del lungo-terminismo ci sono tre idee:

1. La vita delle persone future è moralmente importante.

2. Noi viviamo sul “precipizio” o “cardine” della storia.

3. Esistono diversi rischi esistenziali che potrebbero compromettere, forse per sempre, il futuro della vita intelligente nell’universo.

I punti 2 e 3 sono affermazioni fattuali; su 3 non ho particolari obiezioni (a parte che non mi pare che ne sappiamo poi così tanto, sulle condizioni per l’evolversi di vita intelligente); 2 mi pare un atto di superbia: perché il “cardine della storia” sarebbe adesso e non – poniamo – la Seconda guerra mondiale, la Grande peste, l’estinzione dei Neanderthal o l’invenzione del teletrasporto tra un migliaio di anni? Ma alla fine 2 non mi pare così essenziale: che sia o no un momento cruciale nella storia dell’umanità, è quello in cui viviamo adesso e in cui possiamo prendere delle decisioni.

Il problema vero secondo me è in 1, nell’argomento morale: non che la vita delle persone future non sia importante, ma è ugualmente importante di quella delle persone esistenti?

Mi spiego riprendendo l’esperimento mentale citato da Annoni:

Immaginiamo uno scenario di questo tipo: davanti a noi si trovano due bottoni. Il primo permette di incrementare la possibilità (diciamo, dello 0,000001%) che 1058 persone che non sono ancora nate vengano al mondo in un futuro molto distante. Il secondo permette di salvare la vita a un miliardo di persone che sono già in vita, oggi. Non potete premere entrambi i bottoni: quale dei due scegliete di premere?

Se ho fatto correttamente i conti, il primo bottone permette di salvare 100’000’000’000’000’000’000’000’000’000’000’000’000’000 volte le vite del secondo. Una differenza che dovrebbe convincere anche chi non si riconosce completamente nell’utilitarismo e nel suo calcolo morale che la cosa giusta da fare sia premere il primo bottone. Non fosse che quelle 1058 vite esattamente da cosa le abbiamo salvate? Non dalla morte, visto che non sono ancora nate, ma al massimo dalla non esistenza. Se fossimo una specie di quelle che troviamo in alcuni racconti di fantascienza, che si muovono nel tempo come noi ci muoviamo nello spazio, forse il discorso sarebbe diverso, ma così non è.

Il che non significa che non dovremmo interessarci delle generazioni future: semplicemente non possiamo fare il calcolo utilitaristico considerando le due cose equivalenti, neppure con qualche fattore di correzione tipo “1 vita presente ne vale 1000 future”. È come chiedersi se 2 metri sono più grandi di un miliardo di ore: il calcolo non si può fare.

Il che non significa che il presente vince sempre. Se riformuliamo l’esperimento mentale dei due bottoni mettendo da una parte la sofferenza di molte persone esistenti e dall’altra un mondo migliore tra cento anni (che è grosso modo lo scenario della lotta alla crisi climatica), la scelta su cosa sia giusto fare rimane secondo me aperta. Il problema non è prendere in considerazione il futuro, ma pensare di poter decidere cosa è giusto fare con un semplice calcolo di vite salvate oggi o tra miliardi di anni. Sono decisioni complesse: sarebbe bello poter trovare la risposta semplicemente applicando una regola, ma è più una questione di “saggezza pratica” – che va certamente “allenata” ragionando su esperimenti mentali come questi sui due pulsanti.

Conclude Annoni:

Il lungo-terminismo è, con tutta probabilità, una delle idee più affascinanti, controverse e importanti degli ultimi decenni. È una di quelle idee che, nel bene o nel male, è destinata a segnare la riflessione e il dibattito per anni, non solo in filosofia o in ambito accademico, ma anche a livello sociale e culturale.

Concordo, anche se non sono molto ottimista sulla qualità del dibattito e sulle possibili conseguenze.

Una riflessione scorretta

Una premessa iniziale: questo post è una riflessione scorretta, moralmente riprovevole e poco opportuna; la si potrebbe definire una provocazione, se non fosse che questo termine è usato, oramai, soprattutto dai codardi che lanciano la pietra e nascondono la mano.

Telethon: una corazzata della raccolta fondi per attività benefica. Inventata, pare, da Jerry Lewis negli anni Sessanta del Novecento, le varie fondazioni Telethon raccolgono ogni anno parecchi soldi. Soldi che vengono usati per varie iniziative, tra le quali sembra spiccare1 la ricerca sulle malattie genetica rare.
Malattie rare. Continua a leggere “Una riflessione scorretta”

  1. In base a come solitamente viene presentata Telethon; sarebbe interessante indagare, al di là del problema di che cosa si intende con malattia rara, l’effettiva suddivisione dei fondi. []

Una frittata chiamata Osama

Hanno ucciso Osama bin Laden.
Alla radio ho sentito affermare che forse è stato ucciso da una guardia del corpo per evitare la cattura (meglio un martire, morto e muto, che un prigioniero, vivo e forse ciarliero?), e anche che i soldati avevano l’ordine di ucciderlo, non di prenderlo vivo.
Insomma: una certa incertezza su quanto accaduto c’è.

Diciamo, come riassunto, che una nazione ha organizzato un intervento del proprio esercito nel territorio di un’altra nazione, che non ha chiesto nessuna autorizzazione, che lo scopo di questo intervento militare è stato la cattura o l’eliminazione di un cittadino di un’altra nazione. Pare infine che la cattura sia avvenuta grazie alle informazioni raccolte, con metodi quantomeno discutibili, a Guantanamo. Continua a leggere “Una frittata chiamata Osama”

Nota a margine sulle morali perdute

Quanto segue è una nota a margine di un brevissimo incontro che ho avuto con l’immoralist Roberto Mordacci, durante il quale si è fugacemente accennato alle morali perdute.
Che cosa è una morale perduta? Se ho capito bene, si tratta di una teoria etica che presuppone una errata concezione della moralità umana: una simile teoria, per quanto interessante possa essere, sarà perduta perché inapplicabile.1

Prendiamo il classico dilemma morale dello scambio ferroviario (il trolley problem).
Un treno fuori controllo sta per investire cinque persone. Azionando uno scambio è possibile salvare i cinque deviando il treno, che però investirebbe così un’altra persona. Azionereste lo scambio? La maggior parte delle persone risponde di sì. Un altro treno fuori controllo sta per investire cinque persone, ma questa volta non ci sono scambi da azionare, ma solo una persona da buttare sui binari per far deragliare il treno (voi non potete buttarvi: siete troppo esili). Buttereste questa persona per salvare i cinque? La maggior parte delle persone risponde di no.
Una teoria etica che non tiene conto di questa differenza è una morale perduta. Non solo come teoria descrittiva (banale) ma anche come teoria prescrittiva (meno banale), in quanto non applicabile. Per essere chiari: l’approccio utilitarista, che si limita a contare costi e benefici, è una morale perduta, perché non viene seguito nel secondo caso ed è, quindi, in contrasto con la moralità umana. Continua a leggere “Nota a margine sulle morali perdute”

  1. We may not have a general theory of the moral brain or of human morality (something we will probably never have), but we may have some scientifically based reasons to reject theories which imply unrealistic conceptions of human morality. To look for these unsustainable theories would be, so to say, like being in a kind of Proustian Search of Lost Theories. Roberto Mordacci, “Morality and the Telescope“, Etica e Politica, Vol. XI, No. 2, 2009 []

Non ne ho trovata nessuna

In quale categoria di reati dovremmo inserire queste deviazioni dell’appetito sessuale, classificate come contro natura? Nel caso in cui non siano pubbliche, non le is potrebbe considerare in altro modo, se non riconducendole ai reati contro se stessi. Per anni mi sono tormentato nel tentativo di cercare una ragione sufficiente a giustificare la severità con cui simili reati vengono puniti ai nostri giorni da tutte le nazioni europee: ma in base al principio di utilità, non ne ho trovata nessuna.

Jeremy Bentham, Reati contro se stessi: la pederastia, 1785 (in Jeremy Bentham, Difesa dell’omosessualità, il melangolo, 2009, p. 15)

Volessi scrivere un testo sull’omosessualità, mi ritroverei in serio imbarazzo: l’aspetto centrale della faccenda è già analizzato in questo libro scritto oltre due secoli fa.1
Certo, Bentham mostra alcuni segni dell’età (si riferisce all’omosessualità con termini spregiativi come deviazione, infamia, eccetera), ma il succo giuridico e morale c’è tutto, e magnificamente espresso: «la punizione [dell’omosessualità] non può essere giustificata in base alla capacità di nuocere ma in base all’antipatia» (pp. 57-58). Punto.

  1. Senza nulla togliere a chi ha recentemente, e ottimamente, scritto sull’argomento.Le nozze di Sodoma []

Il fine e i mezzi

Bar molto frequentato del centro. In disparte, seduto ad un tavolino, Ludovico beve un tè e legge il giornale. Entra Tommaso e, superata la folla nei pressi del bancone, lo raggiunge.

Ludovico: Benvenuto, Tommaso. Come stai?

Tommaso: Bene. Ti ho visto assorto nella lettura del giornale: qualche notizia interessante?

Ludovico: Notizie? Non ti facevo così ingenuo! I giornali contengono oramai pochissime notizie: il loro contenuto principale è la pubblicità. Per questioni di equilibrio, alle pagine pubblicitarie ricche di immagini affiancano pagine piene di testi: le opinioni, sempre legate alle misteriose alleanze politiche ed economiche dell’editore, qualche notizia, se non si è trovato di meglio, e infine i riempitivi. Io ero attratto proprio da un riempitivo: un articoletto chiaramente inventato da un qualche redattore per riempire la pagina. Continua a leggere “Il fine e i mezzi”