Quanto segue è una nota a margine di un brevissimo incontro che ho avuto con l’immoralist Roberto Mordacci, durante il quale si è fugacemente accennato alle morali perdute.
Che cosa è una morale perduta? Se ho capito bene, si tratta di una teoria etica che presuppone una errata concezione della moralità umana: una simile teoria, per quanto interessante possa essere, sarà perduta perché inapplicabile.1
Prendiamo il classico dilemma morale dello scambio ferroviario (il trolley problem).
Un treno fuori controllo sta per investire cinque persone. Azionando uno scambio è possibile salvare i cinque deviando il treno, che però investirebbe così un’altra persona. Azionereste lo scambio? La maggior parte delle persone risponde di sì. Un altro treno fuori controllo sta per investire cinque persone, ma questa volta non ci sono scambi da azionare, ma solo una persona da buttare sui binari per far deragliare il treno (voi non potete buttarvi: siete troppo esili). Buttereste questa persona per salvare i cinque? La maggior parte delle persone risponde di no.
Una teoria etica che non tiene conto di questa differenza è una morale perduta. Non solo come teoria descrittiva (banale) ma anche come teoria prescrittiva (meno banale), in quanto non applicabile. Per essere chiari: l’approccio utilitarista, che si limita a contare costi e benefici, è una morale perduta, perché non viene seguito nel secondo caso ed è, quindi, in contrasto con la moralità umana.
È vero: non sarebbe una teoria applicabile. In una situazione come quella descritta dal dilemma. Ma, per fortuna, non capita tutti i giorni di dover prendere decisioni in un simile contesto.
Invece di essere un tizio qualsiasi che cammina nei pressi di una linea ferroviaria, supponiamo che siate il responsabile sanitario di una certa regione all’inizio degli anni ’60. Per combattere la poliomielite potete scegliere se continuare a utilizzare il vaccino di Salk oppure adottare quello, più recente, di Sabin. La differenza? Eccola, nelle parole di Dario Bressanini:
Il vaccino Sabin era più efficace del Salk, forniva una maggior protezione e per un periodo di tempo più lungo, ma comportava rischi maggiori. Il vaccino di Sabin infatti (OPV Oral Polio Vaccine), a differenza del Salk, era basato su un virus attenuato, indebolito in laboratorio in modo da non risultare più pericoloso ma in grado solo di stimolare le difese immunitarie dell’organismo. In alcuni casi però il virus poteva riprendere virulenza ricombinandosi, come solitamente fanno i virus, all’interno del corpo umano e ridiventare pericoloso causando la paralisi da vaccino, indicata con VAPP (Vaccine-Associated Paralytic Poliomyelitis). Succede molto raramente: le stime, per eventi così rari, non sono precise ma siamo intorno ad un caso ogni 2.4 milioni di dosi, tenendo però presente che un ciclo di vaccinazione può richiedere più dosi. Raramente ma succede, e putroppo non è un evento prevedibile o da imputare ad una cattiva qualità del vaccino o alla azienda produttrice . È purtroppo la tipica roulette del DNA: mutando e mutando ogni tanto si produce qualche cosa di pericoloso e non è possibile prevedere in quali soggetti un evento del genere può accadere.
La situazione è simile a quella del trolley problem.
Salk: lascio che il treno continui la usa corsa e investa cinque persone (le persone non protette dal vaccino); Sabin: aziono lo scambio, salvo le cinque persone (che si ritrovano protette dal nuovo vaccino, più efficace), ma condanno a paralisi la persona che si imbatte nella VAPP.
Come responsabile sanitario avete qualche mese di tempo per decidere; potete consultare altre persone, valutare i dati, fare proiezioni, e così via. Cosa decidete?
Indipendentemente dalla decisione (per la cronaca: si è adottato il vaccino di Sabin fino a quando il virus non è stato debellato – si sono tolti i cinque dai binari – e a quel punto si è tornati al vaccino di Salk), siamo sicuri che teorie in contrasto con la moralità umana sarebbero, qui, inutili e non applicabili?
Ma forse sono io che ho frainteso il concetto di morali perdute (invaghito dalla indubbia poesia del termine).
- We may not have a general theory of the moral brain or of human morality (something we will probably never have), but we may have some scientifically based reasons to reject theories which imply unrealistic conceptions of human morality. To look for these unsustainable theories would be, so to say, like being in a kind of Proustian Search of Lost Theories. Roberto Mordacci, “Morality and the Telescope“, Etica e Politica, Vol. XI, No. 2, 2009 [↩]
Ciao Ivo.
L’adottare il Sabin mi ricorda più l’azionare lo scambio che il buttare qualcuno sui binari.
C’è un altro caso che mi viene in mente, quello che ho scoperto essere passato alla storia come “Crisi del teatro Dubrovka“. In quell’occasione i militari ceceni addormentarono tutti con un gas potentissimo ad alto effetto tossico. Morirono i terroristi e quasi 200 ostaggi. Si salvarono 600 ostaggi. I terroristi minacciavano di far saltare tutto il teatro.
@renzo: L’idea è che le due situazione dovrebbero essere uguali.
Anche la crisi Dubrovka si presta, con la complicazione dei terroristi (trattare, salvando gli ostaggi ma dando via libera ad altri terroristi, oppure non trattare, rischiando la vita degli ostaggi ma dismotrando che i terroristi non ottengono risultati?).
Vengono in mente i darwinian conservative per cui il comando etico predominante è quello “rooted in human biology”. Per questo i diritti della famiglia tradizionale, tanto per fare un esempio, dovrebbero essere privilegiati.
Ma perchè una morale con comandi difficilmente applicabili dovrebbe essere “perduta”? Forse perchè conduce all’ estinzione? Non è detto. In virtù del teorema di Coase un sistema con diritti distribuiti sulla base di una “morale perduta”, dal punto di vista evolutivo è efficiente quanto un sistema informato alla “morale biologica”, purchè i costi di transazione siano bassi e i suddetti diritti “negoziabili”.
@Ivo: mi sembra di ricordare che la differenza tra movimentare lo scambio o gettare giù il “ciccione” fosse legata al “contatto” visivo/umano che richiede l’intervento diretto sul “sacrificato”. In questo caso direi che l’adozione del vaccico Sabin (a parte il rapporto rischio beneficio statistico) sia più simile ad uno scambio con qualche migliaio di persone da una parte e degli “sconosciuti” dall’altra. La situazione non è mai simpatica, ma chi ha detto che gestire pandemie o infezioni lo sia?
Un Sorriso
Una morale che contiene precetti “inapplicabili” viene considerata “perduta”?
In ambito giuridico il “paradosso della giurisprudenza” spinge a considerare taluni comandi inapplicabili come già applicati, proprio perchè irrinunciabili.
Esempio: un dovere è tale solo se conosciuto. Del resto “la legge non tollera l’ ignoranza”. Ma quest’ ultimo comando (fondamentale) non viene nemmeno scritto in quanto palesemente inapplicabile. Cionondimeno viene considerato convenzionalmente come già applicato.
come ci sono varianti genetiche/biologiche che non hanno funzionato e si sono estinte, il punto è: ci sono varianti culturali/morali che non hanno funzionato e si sono estinte? e per quale motivo si sono estinte? perché l’idea è che la moralità sia normativa, quindi slegata dal contingente e in qualche modo legata alla razionalità della forma di ciò che “si deve” fare. la razionalità cambia? o è sempre la stessa? per esempio, è sempre stato vero e sempre lo sarà che sono ben pochi, compresi la maggior parte degli utilitaristi, coloro che spingerebbero un tizio sotto un treno per salvarne 5? se è vero, cosa lo rende tale? il fatto che tutti quelli che usavano gettare persone sotto i treni si sono trovati a corto di persone, o il fatto che non è razionale farlo? ovvero, il fatto che siamo fatti in modo da ritenere irrazionale farlo.
(ps per inciso, è proprio l’esistenza di questi dilemmi morali, come il teatro russo, che mi fa propendere per una visione strategica della moralità – che è in parte una teoria della decisione basata sui giochi, sul rapporto costi-benefici, e in parte altro che ancora non capisco bene. per me, per dire, non ha senso chiedere se hanno fatto bene o male i militari russi a usare i gas nel teatro)
@alex: scrivi una montagna di cose “stimolanti” ma che meriterebbero verifiche e maggiori approfondimenti. Partirei dalla tua prima osservazione che presenti come fosse un dato di fatto:
Per quanto ho compreso della “storia” della terra le cose non sono semplicemente come le poni tu. I dinosauri (solo per fare un esempio popolare) non credo che qualcuno abbia pensato che si siano estinti perchè semplicemente non funzionassero! Ti riferisci a variazioni nel senso più banale di individui? In tal caso il termine più corretto dovrebbe essere “incapaci di riprodursi” piuttosto che estinti anche se posso capire che sembri pignoleria ma principalmente è per comprendere a cosa ti stai riferendo….
Un Sorriso
P.S. temo di correre troppo, almeno per i miei mezzi, ma razionalità e moralità li definirei sempre contingenti…. se non applicabili dove vi siano menti e volontà in grado di applicarle… forse sembra fantascienza, ma come pensare la moralità o la razionalità, a tua scelta, applicabile sul pianeta Venere o semplicemente un milione di anni fa?
@broncobilly: Cosa intendi con paradosso della giurisprudenza (commento 5)?
Una legge impossibile è per forza di cose perduta, dal momento che esistono le cause di forza maggiore (e per una legge impossibile vi sarebbero sempre cause di forza maggiore).
@il più Cattivo: Sì, una delle interpretazioni della discordanza (credo confermata, almeno in parte, dalla fMRI) riguarda l’empatia. Nel caso della scelta del tipo di vaccino, questa differenza nel contatto umano non sembra esserci.
Il problema è se è giusto dare un valore normativo a questa empatia locale. È giusto che un morto vicino casa sia emotivamente più intenso di dieci morti in India?
@alex:
Non sapevo che le estinzioni avvenissero per un motivo: ero convinto che, al massimo, avessero una causa 😉
Lavoriamo per ipotesi (come è giusto che facciano i filosofi), senza conferme sperimentali. La mia ipotesi è che, nell’evoluzione della morale umana, ci sia stata unicamente la scelta tra essere umano con empatia e essere umano senza empatia. IL primo agisce come sappiamo: aziona lo scambio (per empatia verso i cinque investiti) ma non butta il grassone (per empatia verso di lui). Il secondo osserva la scena, la filma con il cellulare e vende il filmato alle tv private.
L’evoluzione premia i primi rispetto ai secondi, che si ritrovano in minoranza. Poi arriva la razionalità, che corregge l’aspetto irrazionale dell’empatia, sostenendo che è giusto buttare il grassone.
Se si limitasse a questo, sarebbe morale perduta: l’uomo è fatto così, ed è la morale a doversi adattare all’uomo, anche se è sbagliato (il vestito per un gobbo ha la gobba). Ma se si facesse carico di questa irrazionalità, tenendone conto? Ad esempio eleggendo come campi d’applicazione privilegiata quelli dove si ha il tempo di ragionare bene sul rapporto costi/benefici? E cercando correttivi che aiutino a prendere la decisione giusta in molti frangenti?
Ti faccio l’ esempio standard.
COMANDO 1: la legge non tollera l’ ignoranza
COMANDO 2: ogni dovere è tale solo se conosciuto
COMANDO 3: non rubare
Ogni ladro in tribunale dirà che “non sapeva” e varrà assolto. Il corto circuito dei comandi 1 e 2 rende l’ ordinamento inapplicabile (vedi Casati/Varzi “Semplicità insormontabili” Laterza p.62).
Come ovviare? “Naturalizzando” il comando 1 (Wittgenstein parlava di trasformare una “norma” in una “forma di vita”).
Una volta “naturalizzato” il comando diventa inutile e, in quanto scontato, puo’ essere trascurato; non a caso tutti gli ordinamenti giuridici lo tralasciano completamente per quanto fondamentale.
Una norma viene quindi “naturalizzata” per essere resa inutile e tolta di mezzo. Cio’ segnala il rischio che il vero contraltare alle norme “contronatura” (quindi perdute) siano le norme “naturalizzate” (quindi inutili).
La tesi delle “morali perdute”, che lega la verità di una norma o il suo stato di norma all’efficacia, mi pare la generalizzazione eccessiva d’un principio dell’etica.
Un precetto morale per assolvere al proprio scopo, ossia dare indicazioni risolutive in un problema etico, deve essere seguito.
Se ciò è difficoltoso, perché i destinatari non vogliono o non possono applicarlo, l’esistenza stessa del precetto diventa parte del problema.
La situazione muta, incorporando un elemento nuovo, ed esige una soluzione diversa.
Questo non significa che il primo precetto fosse falso, che fosse inadeguato per il caso o che in assoluto la verità dell’etica sia legata al suo successo, ma solo che la percezione e l’applicabilità del precetto sparigliano le carte in tavola.
Non sappiamo se il precetto è estinto (qualsiasi cosa voglia dire), se ha fallito o se si deve naturalizzare assumendo connotati di condizione trascendentale.
A tutti questi quesiti possiamo rispondere: “Boh.”
Aggiungo che le ragioni d’inapplicabilità non devono per forza essere la “empatia” o la “emozione”.
Diamine, sempre loro! Contrapporre ragione e istinto pare tanto un sistema disegnato a tavolino.
Ci sono altre possibili “cause”: calcolo, uso sociale, coercizione, antinomia con altri doveri, odio per il sistema morale di cui il precetto è parte, disprezzo per il proferitore del precetto, animo anarchico ed antinomista (trad. “spacca tutto” e “long live punk“), spirito di innovazione sociale e morale, realismo politico, etc.
In realtà tutto questo caravanserraglio teorico è vecchio come Matusalemme.
Lo diceva anche Tommaso d’Aquino che la iustitia non è la prudentia: l’uomo è tenuto ad applicare nel caso concreto principi giusti, non concretare forme pure di giustizia.
@eno: Bentornato!
Hai ragione: ragione contro istinto è una contrapposizione un po’ artificiosa. Ma gli altri impedimenti citati mi sembrano meno filosoficamente interessanti, ma forse è perché non amo il punk!
Anch’io odio il punk.
Un ominide borchiato e pitturato di verde mi ha mezzo minacciato in centro città quattro anni fa.
Di lì trovo il fattore se non filosofico, almeno interessante.
Esperienze metropolitane a parte, io ho visto i miei consimili guidati da mille cose, ma poco dall’istinto: semmai si agitava il loro carattere.
E’ un concetto ormai relegato ai boudoir, alle vecchie zie e alle ex-fidanzate.
E’ sfumato ed impreciso.
Però io ho imparato tante cose esplicative ed applicabili dalla antropologia pragmatica di Kant.
Non ho appreso niente dalle discettazioni, tutte theory-internal, sui fondamenti biologici dell’etica, non un caso spinoso che mi abbiano dipanato.
Vorrà pur dire qualcosa.
@eno:
E cosa è il carattere? Ho il sospetto che in molte riflessioni, non sia affare molto diverso dall’istinto.
“Il servizio militare forma il carattere” vs “Il servizio militare forma l’istinto”.
Io punto 100 bori che la prima è sensata e la seconda no.
Quanto alla definizioni, non ho bisogno di definire il pane per mangiarlo.
Basta che sia riconoscibile, chiaro, utile, commestibile.
@eno:
Che, per un pragmatista, sono appunto i criteri di una definizione!
PS: Bori? Cosa sono?
Sarà anche una definizione, ma non mi puoi chiedere di dartela a voce in forma di elenco chiuso di proprietà… al più posso mostrarti esempi spicci tra loro imparentati.
Penso che la naja sia perfetta per illustrare il concetto.
I bori sono le palanche, i soldi, i pezzi.
@eno: Non mi piacciono le definizioni sotto forma di elenco chiuso di proprietà.