Hanno ucciso Osama bin Laden.
Alla radio ho sentito affermare che forse è stato ucciso da una guardia del corpo per evitare la cattura (meglio un martire, morto e muto, che un prigioniero, vivo e forse ciarliero?), e anche che i soldati avevano l’ordine di ucciderlo, non di prenderlo vivo.
Insomma: una certa incertezza su quanto accaduto c’è.
Diciamo, come riassunto, che una nazione ha organizzato un intervento del proprio esercito nel territorio di un’altra nazione, che non ha chiesto nessuna autorizzazione, che lo scopo di questo intervento militare è stato la cattura o l’eliminazione di un cittadino di un’altra nazione. Pare infine che la cattura sia avvenuta grazie alle informazioni raccolte, con metodi quantomeno discutibili, a Guantanamo.
Non so come reagirebbero gli Stati Uniti se l’esercito indiano intervenisse in territorio Usa per arrestare Warren Anderson (presidente della Union Carbide ai tempi dell’incidente a Bhopal), rintracciato grazie a interrogatori di cittadini americani molto al limite della legalità.
Ma non è questo il punto: probabilmente l’eliminazione di Bin Laden giustifica l’uso di mezzi così estremi, mezzi che, invece, non vale la pena impiegare per Anderson. Non sono ingenuo da pensare che il fine non possa giustificare i mezzi.
Il nemico numero uno andava eliminato; con i mezzi leciti non si riusciva a farlo: è normale che si ricorra ai mezzi meno leciti.
È, utilitaristicamente, questione di valutare il rapporto prezzo/prestazioni. Come ho scritto due giorni fa, per fare le frittate occorre rompere le uova. Basta saperlo e organizzassi per smaltire i gusci rotti.
Quanto è costato eliminare Bin Laden? Quanto si è guadagnato dalla sua scomparsa? Vedo alcuni minimizzare i costi, quasi che aver mandato a puttane quel poco di diritto internazionale che c’era fosse cosa da poco, e valutare forse eccessivamente i ricavi, quasi che sparito Bin Laden tutti i cattivi se ne andassero tutti al mare a prendere il sole.