Nel 1940 uscì nelle sale Il grande dittatore di Charlie Chaplin.
Il film è una grandiosa dimostrazione del potere del comico: la retorica fascista di Mussolini e Hitler viene smascherata con estrema abilità, mostrandone la inconsistenza.
Adenoid Hynkel che sbraita parole senza senso terrorizzando i microfoni ridicolizza i discorsi di Adolf Hitler, insinuando il sospetto che anche i suoi discorsi siano privi di senso e, soprattutto, che chi si lascia incantare dalle sue parole sia stupido quanto un microfono.
La comicità di Chaplin, soprattutto in questo film, è essenzialmente non verbale: i dialoghi e i discorsi dei vari personaggi costituiscono momenti seri e didascalici, comiche sono le scene nelle quali i personaggi non parlano.
La famosa sequenza del balletto del dittatore con il mappamondo è completamente priva di dialogo: si ode unicamente la bellissima musica del Lohengrin di Wagner. Ed è priva di dialogo anche la scelta dell’attentatore suicida (dovrà sacrificarsi per la libertà chi troverà una moneta nel dolce, ma in tutte le porzioni di dolce è presente una moneta!).
In un’altra sequenza, anch’essa priva di dialoghi, il barbiere senza nome interpretato da Chaplin rade un cliente ascoltando la radio e muovendosi in perfetta sintonia con la danza ungherese n. 5 di Brahms.
Il filosofo non può fare a meno di chiedersi, relativamente a quest’ultima scena, in cosa consista il comico. Che la colonna sonora di un film segua gli eventi della pellicola non è certo una novità e non ha neppure un effetto particolarmente comico: è anzi normale che così avvenga.
Brahms non è tuttavia semplice colonna sonora bensì trasmissione radiofonica: subito prima che inizi la rasatura si sente la voce dello speaker che annuncia il brano. Il barbiere e il suo cliente ascoltano dunque la musica. In altre parole non sono è la musica a seguire gli eventi, ma sono gli eventi che si adattano alla musica.
Il comico, evidentemente, è tutto in questo capovolgimento.