Niente di nuovo sotto il sole

Grazie alla meritevole opera di traduzione di Maurizio Colucci, ho modo di approfondire un po’ la teoria del gene egoista di Richard Dawkins.

Breve riassunto: tutte le forme di vita, dagli esseri unicellulari all’uomo passando per le alghe, le querce e i cani, altro non sono che involucri di geni, strutture che i geni hanno inventato e costruito per riprodursi. La vita nasce e si evolve per questo: per permettere ai geni di diffondersi.

DNALa mia prima impressione è: niente di nuovo sotto il sole.
Dawkins riprende, immagino senza saperlo, le conclusioni de Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer. Sostituite la volontà con i geni, e avete Dawkins.
Non a caso i due autori sono profondamente anticristiani: la loro visione della natura è tragicamente lontana dalla teleologia giudaico-cristiana.

La seconda impressione è: Dawkins è immerso in questa tradizione teleologica e non se ne accorge (in questo mi sembra meno smaliziato di Schopenhauer).
La storia delle “macchine di sopravvivenza”, ossia gli esseri viventi, è comunque una storia teleologica, ha un fine, anche se questo fine non ha nulla di trascendente. Il gene egoista è una interessante chiave di lettura, che però da questo punto di vista (e solo da questo) differisce di poco dalle teorie del Progetto o Disegno Intelligente: introduce un orientamento, un senso negli eventi.

11 commenti su “Niente di nuovo sotto il sole

  1. Il finalismo che si perpepisce nel libro l’ho sempre inteso come una forma espositiva del testo. Non ho mai pensato che Dawkins voglia sostenere che i geni hanno un progetto nel senso stretto del termine.

    Un saluto

  2. Sì, non credo neppure io che Dawkins sia così ingenuo.
    Però la sua forma espositiva fornisce anche buona parte del contenuto, mi sembra…

    Quando (e se) leggerò il libro mi potrò permettere qualcosa di più di due impressioni…

  3. il libro io l’ho trovato noiosissimo, ma non dirlo a richardino mio 🙂

    comunque, anch’io penso sia solo un “problema” di esposizione.

  4. Caro Ivo, il libro è splendido e scommetto che ti piacerà. Quanto alla tua seconda impressione, Dawkins mette in guardia i lettori ogni due per tre che il suo occasionale linguaggio finalistico è solo un modo abbreviato di parlare. Se uno ha la pazienza di leggere il Gene egoista con attenzione, vede facilmente che i ragionamenti di Dawkins sono basati al 100% su cause efficienti.

  5. Wow, non credevo che due semplici impressioni potessero interessare tante persone!
    Mi fido di Angelita: il libro è bello e Dawkins si basa al 100% su cause efficienti e non finali.
    Nel post non mi ero spiegato bene (o forse non avevo neppure io le idee molto chiare, chi lo sa): il problema non è cause finali o efficienti (che le cause finali fossero solo espositive lo aveva già capito Kant, senza bisogno di aspettare Dawkins o Darwin). La mia perplessità riguarda proprio il fatto di parlare di cause in generale.

    Nulla di male, ma il processo di selezione naturale mi sembra renda quantomeno complicato parlare di cause e quindi assumere un punto di vista “privilegiato” (quello dei geni che causerebbero le macchine di sopravvivenza) rispetto ad altri.

    In poche parole, quello che mi lascia perplesso non è che Dawkins si esprima in termini finalistici, ma che ponga un soggetto (i geni) e un oggetto (le macchine di sopravvivenza).

    Ripeto, si tratta di perplessità dovute ad alcune letture secondarie. Prometto di scriverne una recensione quando leggerò il testo

  6. Ultima piccola precisazione: nel Gene egoista il concetto di “macchine di sopravvivenza” non c’è. Il motivo di interesse del libro (e la sua novità, trent’anni fa, rispetto al darwinismo classico allora ancora diffuso, quanto meno a livello popolare) è di chiarire che è il gene, e non l’individuo (e tanto meno la specie), l’unità di selezione. Gli individui secondo Dawkins sono al massimo “macchine da replicazione (dei geni)”. Dico “al massimo” perché in realtà Dawkins pensa che la replicazione sia affidata a quella cosa più ampia che chiama “fenotipo esteso”. Nel capitolo finale (se non ricordo male) spiega anche perché ciò sia filosoficamente liberatorio: il fatto che l’individuo non sia un oggetto privilegiato dell’evoluzione spiazza il darwinismo sociale et simili e ci lascia liberi di darci significati e fini a prescindere da quello che “vogliono” (linguaggio finalistico di comodità) i nostri geni (casomai qualcuno pensasse di trasformare – illecitamente – leggi biologiche in leggi morali).
    Scusa, è venuta fuori una precisazione lunga e piena di parentesi. 🙂

  7. caro dodo tua moglie l’ha appena scoperto… e ha in serbo per te una punizione migliore…. domani viene a pranzo il tuo amato cognatino 🙂

  8. E non dimenticare di ordinare anche “L’orologiaio cieco: come l’evidenza dell’evoluzione rivela un universo privo di progettista”, un completamento necessario al Gene Egoista. 🙂

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