La rivista diario dedica un numero speciale allo stupro.
Le oltre centocinquanta pagine di diario del mese affrontano il tema da numerosi punti di vista: una lunga e completa ricognizione per capire cosa sia lo stupro.
Uno degli aspetti più interessanti è l’antropologia dello stupro: la violenza sessuale verso i deboli è un aspetto naturale, culturale, sociale o psicologico? In altre parole, a muovere uno stupratore sono stimoli animali, aspetti culturali, schemi sociali oppure è la sua psiche?
La domanda è filosofica ma anche tragicamente pratica: a seconda della risposta si dovrà affrontare con modalità diverse il problema dello stupro.
Raffaella Ida Rumiati e Sylvie Coyaud espongono la storia del bonobo in un bell’articolo intitolato Compagno bonobo (pagg. 22-23)
Il bonobo è una scimmia antropomorfa, genealogicamente vicina all’uomo e allo scimpanzé. Tuttavia, mentre questi ultimi praticano lo stupro e l’assassinio, i bonobo ignorano completamente queste pratiche.
La struttura sociale degli scimpanzé è caratterizzata, come quella umana, dal vincolo maschile:
Ogni gruppo ha un proprio territorio, i maschi solitamente rimangono dove sono nati mentre le adolescenti migrano in uno dei gruppi confinanti.
Ai membri originari di un gruppo di possono aggiungere altri maschi cui sono legati da una parentela patrilineare e, insieme, formano coalizioni aggressive ai danni degli altri gruppi, ne eliminano i maschi e ne occupano il territorio.[…]
Nella società degli scimpanzé, ogni adulto è dominante su tutte le femmine le quali o si mostrano ubbidienti o sono convinte con le maniere forti a diventarlo. la violenza dilaga quando quando esse sono in calore, o poco dopo che hanno partorito il figlio di un altro maschio e capita che lo stupro sia preceduto da infanticidio.
I bonobo, invece, hanno una struttura sociale diversa, pur vivendo anch’essi in gruppi a discendenza maschile.
In gergo, si dice che «maschi e femmine sono codominanti a tutti i livelli di gerarchia». Tradotto in italiano: non è il sesso a determinare il rango.
I giovani tendono a rimanere nell’associazione temporanea in cui si trova la madre. A loro conviene: lei protegge la prole in moltissime altre specie, ma una bonobo non lo fa da sola, le altre arrivano subito alla riscossa. I maschi adulti si aggregano soltanto di rado e ancor più di rado si azzardano ad attaccare le femmine, anche loro sanno che queste possono contare sulla pronta mobilitazione delle altre.
Come scrivono Wrangham e Peterson, fra i bonobo il potere femminile non è il ribaltamento del potere maschile. Crea una società diversa. Secondo loro, la linfa della solidarietà femminile non è la consanguineità ma l’esperienza.
I bonobo hanno rapporti sessuali molto frequenti, ma questi hanno scopi riproduttivi solo occasionalmente: il più delle volte il sesso diventa strumento per fare amicizia o per sedare comportamenti aggressivi.
La conclusione delle due autrici è che è difficile sostenere lo stupro sia geneticamente determinato: le origini di questo comportamento sembrano più che altro risiedere nella struttura sociale.
Questa tesi viene confermata dalle ricerche di Robert Sapolsky e Lisa Share. In un interessante articolo dell’aprile 2004 i due ricercatori descrivono una comunità di babbuini nella quale, in seguito alla morte del gruppo di maschi dominatori, sono le femmine a governare: la nuova società femminile è basata sull’accoglienza e sul rispetto dei deboli, con grande vantaggio di tutti.
La storia di Lyndie England, raccontata con dovizia di particolari da Roberto Festa alle pagine 84-91, sconfessa solo in parte questa tesi: la presenza femminile ad Abu Ghraib non ha certo migliorato l’ambiente del carcere iracheno, ma anche se la struttura era diretta da una donna, il generale di brigata Janis Karpinski, è difficile parlare, per l’esercito degli Stati Uniti, di società femminile.
Le torture di Abu Ghraib, tuttavia, insegnano come nello stupro, e nella violenza in generale, siano molti i piani di discorso che si intrecciano.