Se è vero, come ho già sottolineato, che l’evoluzione culturale si svolge in base a meccanismi che non sono solo di tipo darwiniano (mutazione e selezione), ma anche, e soprattutto, di tipo lamarckiano (eredità dei caratteri acquisiti, cioè imitazione e diffusione), allora non si possono ignorare le ragioni per cui in biologia il lamarckismo non può funzionare. Infatti esso porterebbe a una perdita irreversibile e fatale di flessibilità, perdita che nella realtà biologica non si osserva.
Ma se il meccanismo primo dell’evoluzione culturale è l’eredità dei caratteri acquisiti, l’argomentazione precedente porta a concludere che, a causa della globalizzazione, la cultura è soggetta a una perdita nefasta di flessibilità: e di fatto si osservano oggi i segni di una preoccupante tendenza all’uniformità culturale su scala mondiale.
Giuseppe O. Longo, “La Creatura Planetaria ovvero l’immortalità virtuale” in Homo immortalis. Una vita (quasi) infinita, Springer 2012
Ho alcune perplessità su questo ragionamento, innanzitutto perché applicare le categorie dell’evoluzione biologica all’evoluzione culturale è una metafora della quale occorrerebbe innanzitutto chiarire i limiti.
Davvero l’evoluzione lamarckiana porta a una perdita irreversibile di flessibilità? Dopotutto, se i caratteri acquisiti sono ereditabili, allora basta mettersi a fare cose nuove per ricuperare la caratteristiche perse.
Davvero la globalizzazione porta all’uniformità culturale? A me sembra il contrario: con la globalizzazione c’è una crescita di piccole comunità globali, di nicchie ecologiche, per riprendere la metafora biologica. Se prima l’appassionato di sgorbie1 o quello di gruppi gothic black metal svedesi della prima metà degli anni Novanta avevano difficoltà a trovare persone con cui condividere i propri interessi, adesso basta un computer o uno smartphone per entrare in una comunità globale. Il problema della globalizzazione è, al massimo, la carenza di contatti tra queste comunità, il fatto che le proprie preferenze diventino una “filter bubble” che isolano le persone.
- scalpello con lama a doccia, usato per fare sgusci e intagli [↩]
Darwin era sotto molti punti di vista Lamarckiano; capiva benissimo che mutazione e selezione non sono sufficienti per spiegare l’evoluzione veloce di certe strutture complesse, per esempio gli organi, e cercò a lungo di capire come l’ambiente influenza la trasmissione dei caratteri ereditari. Oggi implicitamente le intuizioni di Lamarck sono recuperate nella distinzione tra caratteri genotipici e fenotipici (v. Marc W. Kirschner, The plausibility of life), ma per qualche motivo la storia della giraffa ha ingiustamente fatto di Lamarck una barzelletta, e al contempo le intuizioni di Darwin sono diventati dogmi ben oltre i dubbi che lo stesso Darwin aveva.
Quindi, anche la premessa del Prof. Longo è fallace.
Il “qualche motivo” credo si chiami “dogma centrale della biologia molecolare”, ma forse la barzelletta della giraffa è precedente…
Non conosco il testo di Kirschner citato. Merita?
Io l’ho trovato rivelatorio. Finalmente mi si sono chiarite le idee su un aspetto della sua teoria che lo stesso Darwin riteneva insoddisfacente: mutazioni puramente casuali rendono l’evoluzione troppo lenta. Il succo del discorso di Kirschner è che le mutazioni non sono veramente casuali, ma vanno nel verso indicato dall’espressione dei caratteri, la quale a sua volta è in larga parte dovuta a fattori ambientali. Una perfetta sintesi tra Lamarck e Darwin, in un certo senso.