Fatti e interpretazioni

La relazione genealogica tra pratiche di vita e di sapere e nozioni di mondo storicamente determinate impedisce di pensare ingenuamente il mondo come un fatto o come una totalità n sé. Non ci sono fatti senza interpretazioni, disse Nietzsche. Il mondo è piuttosto “tutto ciò che accade”, scrisse Wittgenstein: was der Fall ist. Der Fall: la caduta, l’accadere e anche il “caso”. Il mondo, possiamo dire, se è profondamente inteso nel suo riferimento, non è semplicemente un significato, non è una “cosa”. Essenzialmente il mondo accade in infiniti significati, esso è un evento.

Carlo Sini, Da parte a parte. Apologia del relativo, ETS, 2007, p. 97

Una quinta del tempo

Sull’origine dell’Universo:

Thomas Mann amava asserire che l’origine è sempre una quinta del tempo. Il che è come dire: non c’è origine. Ogni volta che siamo di fronte all’origine, in realtà siamo di fronte all’originato, non all’origine. Non ha senso pensare un’origine «una» di cui si possa dire: questa è l’origine. Ecco, per l’intelligenza umana, un paradosso insostenibile.

Ogni volta che si parla di origine si opera quella che io chiamo la «retrocessione del testimone». Non si può parlare di altro modo. Non è infatti possibile alcun discorso sull’origine che non comporti la retrocessione del testimone. Prendendo un esempio dalla cosmologia odierna: si dice, per esempio, 10-40 secondi dall’origine dell’Universo, o dal Big Bang. Che cosa significa questa frase se non per esempio questo: se un osservatorio attuale, ad esempio quello di Harvard, fosse stato presenta alla 10-40 dal Big Bang, avrebbe osservato quello che noi diciamo che ipoteticamente sarebbe successo. Questo, però, senza qualificazioni, è privo di senso. Anzitutto, bisognerebbe chiarire qual è il privilegio di questo osservatore di oggi rispetto ad altri osservatori. Perché l’insieme delle pratiche, delle tecniche, delle teorie di un osservatorio odierno avrebbe un privilegio rispetto all’origine? Intendo proprio l’origine in quanto tale, non semplicemente l’origine come attuale problema scientifico. Come, rispetto all’origine in quanto tale (che è poi ciò di cui la scienza pretenderebbe di parlare), le pratiche attuali avrebbero un privilegi, per esempio rispetto alle osservazioni astronomiche dei Magi persiani? Questo non significa che io, come uomo del mio tempo, non sia ovviamente inclinato ad accogliere le opinioni della scienza contemporanea a preferenza di quelle dei Magi: però questo privilegio va argomentato e chiarito.

Carlo Sini, “Ha davvero senso parlare di origine dell’Universo?” in G. V. Coyne, G. Giorello, E. Sindoni (a cura di) La favola dell’universo, Casale Monferrato, Piemme, 1997

Il gioco del silenzio

Parolario 2006

Venerdì 1º settembre ore 18:30
Piazza Cavour – Como

Incontro con il filosofo: Carlo Sini “Il gioco del silenzio”. Introduce e dialoga Alfredo Tomasetta

CARLO SINI
Docente di Filosofia teoretica all’università di Milano, socio dell’Accademia dei Lincei dal 1994, ha tenuto lezioni e conferenze negli Stati Uniti, in Canada, Argentina e diversi paesi europei. Collabora con testate quotidiane, la RAI e la Radio Televisione Svizzera. È autore di numerosi studi sul pensiero greco, sulla fenomenologia e sulla filosofia anglosassone, che ha contribuito in modo decisivo a far conoscere in Italia. Negli ultimi anni si è dedicato allo studio del rapporto tra filosofia e scrittura. Tra le sue ultime opere: Idoli alla conoscenza (Cortina Raffaello, 2000), Figure dell’enciclopedia filosofica (Jaca Book, 2004 e 2005).
Nel 2006 è uscito per Mondadori il gioco del silenzio, un intervento filosofico su un tema importante da riscoprire: il silenzio come spazio per l’ascolto di sé e degli altri, interruzione del rumore e della chiacchiera. Il silenzio come gioco e condizione per l’insorgere della parola; il silenzio di Dio e degli dei, il silenzio della ragione che, finalmente addormentata, apre a nuovi tipi di comprensione; il silenzio del vuoto, il suono del silenzio. Carlo Sini introduce il lettore in questa inusuale dimensione e lo accompagna per le possibilità che nell’esperienza del silenzio sono riposte.