Polemica sterile

Joseph RatzingerEssere persona significa infatti (anche) percepire la vita nello stesso tempo come un dono e come un compito: chi ha avuto la vita in dono ha il dovere di comunicarla, fisicamente nella generazione e spiritualmente nell’amore, nella prossimità e nella solidarietà.

Così Francesco D’Agostino su Avvenire di giovedì 8 febbraio 2007.

Se essere una persona significa avvertire il dovere di comunicare la vita attraverso la generazione, il Papa, che evidentemente avverte altri doveri, è una persona?

8 commenti su “Polemica sterile

  1. Credo che banalmente quella serie di congiunzioni “il dovere di comunicarla, fisicamente nella generazione e spiritualmente nell’amore, nella prossimità e nella solidarietà” andassero intese in senso disgiuntivo: la vita umana( non in senso solo biologico ) in sé ha questi lati del prisma, ma non è necessario attuarli tutti. Si tratta di opzioni che a seconda dei fini particolari che ci scegliamo( o che troviamo già pronti in noi stessi ) possono escludersi.
    Basta che la scelta di una delle parti non sia un modo sottile per negare il legame potenziale con le altre. E non essere troppo malizioso: “percepire” vuol dire “esser strutturalmente in grado di percepire quell’aspetto prismatico”… 😉
    Tutto sommato sono d’accordo con D’Agostino: io dico che non c’è stato un solo modello di “famiglia”, lui ricorda che la famiglia è sempre esistita ed è qualcosa al contempo biologico e relazionale, privato e pubblico, affettivo e di mutuo aiuto( economico )… Beh, questo significa dare il pieno riconoscimento alle relazioni umane!
    Davvero due omosessuali sarebbero soddisfatti di una leggina che tutela i loro interessi, ma si dimentica di affermare pubblicamente e davanti alla società tutta che sono una coppia?
    D’Agostino è un filosofo del diritto, preciso preciso, e se si legge bene l’articolo non fa mai menzione polemica di “omosessuali” o “famiglia tradizionale”. No, se la prende con i pacs perché tendono ad appiattire il matrimonio ad una questione nel “privato”.
    Ma col cavolo! E perché mai i pacs dovrebbero essere una buona soluzione alle coppie di fatto e alle coppie omosessuali…? Quest’idea è diffusa, ma a mio avviso infondata.
    Soprattutto nel testo di D’Agostino non vedrei fini polemici, libellistici o strumentali: dice solo quello che dice.
    ciao, eno!

  2. Sì, ma molto sminuito, all’acqua di rose…
    Sono registrati in un ufficio pubblico, ma là non si registra che hanno un valore pubblico in sé, oltre che legale, e non sono un affare privato. Non è molto diverso da registrare una società a responsabilità limitata o depositare presso un notaio un testamento.
    ciao

  3. Non ti seguo…
    Se la proposta fosse: basta matrimoni, d’ora in avanti saranno tutti PACS, allora il discorso di D’Agostino lo capirei: il matrimonio è una cosa pubblica, il pacs rischia di essere privato e quindi è una cavolata.
    Ma i pacs si aggiungono ai matrimoni, quindi:
    – se sono un fatto privato, nessun problema, lasciando comunque il matrimonio con tutti gli effetti pubblici;
    – se sono un fatto pubblico, anche qui, ovviamente, nessun problema.
    Non vedo gravi conseguenza sociali, anche perché per molti aspetti il matrimonio è un fatto privato (tra moglie e marito non mettere il dito…).

  4. Ti rispondo con un post sul mio blog tra qualche giorno, forse addirittura solo martedì. Ho un esame imminente e poco tempo.
    ( Quello che metterò sul blog- ti svelo un segreto di Pulcinella- sarà, se ci sarà, roba già pronta e scritta giorni fa )
    ciao! 🙂

  5. Hai ragione, rischio di rovinarti il post…
    Cmnq, non temere: non intendo rispondere a te. Sia mai! 😉 Sarà solo la seconda parte dell’altro post sul tema.
    buona notte, Marco

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