Non sempre la verità ha importanza. Vi sono discorsi, ad esempio le fiabe, dove l’essere vero o falso non ha praticamente alcun ruolo.
Questo non avviene solo con le fiabe: la storia dei Protocolli dei Savi di Sion è una tragica conferma di questo fatto.
Questa storia è narrata da Will Eisner ne Il complotto. La storia segreta dei Protocolli dei Savi di Sion (Einaudi Stile Libero, 2005). Nonostante il titolo, in realtà questa storia non è affatto segreta: è al contrario molto conosciuta, anche se purtroppo la cosa, come accennato, non ha importanza.
Tutto ebbe inizio con Maurice Joly, sfortunato autore di un pamphlet contro Napoleone III: Dialogo all’Inferno tra Machiavelli e Montesquieu (Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu). Nel dialogo, pubblicato a Bruxelles nel 1864, l’autore intendeva smascherare le ambizioni politiche dell’imperatore, che proprio un campione di democrazia non era. Infatti Joly fu incarcerato per diffamazione.
Il secondo atto di questa storia si svolge in Russia, ai tempi dello zar Nicola II.
Due consiglieri dello zar, Gorymikine e Rachkovskij, per meglio influenzare la politica russa indirizzandola verso posizioni conservatrici, decisero di spaventare lo zar, presentando la modernizzazione dello stato russo come parte di un complotto ebreo di conquista del potere. Ovviamente avevano bisogno di un documento in grado di provare l’esistenza di questa congiura, e dal momento che gli ebrei a tutto pensavano tranne che a conquistare il potere mondiale, un simile documento non era reperibile. L’unica soluzione praticabile, ovviamente, era scriverlo. Il prestigioso incaricato venne affidato ad un certo Mathieu Golovinskij che, forse per questioni di tempo, utilizzò come modello proprio il dialogo di Joly, fingendo che le idee espresse da Machiavelli fossero le conclusioni di un congresso ebraico.
Il libro venne pubblicato in Russia nel 1905 ed ebbe notevole diffusione.
Il terzo atto della storia si svolge invece a Costantinopoli, nel 1921.
Michail Raslovev, esula russo, incontra il giornalista Philip Graves e gli consegna una copia del dialogo di Joly invitandolo a confrontarla con i Protocolli. Il lavoro di copiatura risulta evidente, e il 17 agosto il Times di Londra pubblica un articolo dal significativo titolo Complotto Mondiale Ebraico. Alla fine la verità. Qualche anno dopo, anche la giustizia stabilì l’inautenticità dei Protocolli: così infatti si espresse, il 19 maggio 1935, il tribunale cantonale di Berna, alla fine di un procedimento iniziato l’anno prima contro il nazista svizzero A. Zander.
In una storia simile, non dovrebbe esserci nessun quarto atto: in teoria, tutto dovrebbe finire qui, e i Protocolli dovrebbero appartenere esclusivamente al passato.
Purtroppo non è così. Il libro è ancora oggi pubblicato e viene spesso considerato autentico o comunque non necessariamente falso. Come è possibile?
Come si è detto all’inizio, vero e falso non sono categorie universali: vi sono discorsi per i quali non ha importanza la verità o falsità. Le favole, innanzitutto: che importanza ha sapere se la volpe ha davvero rinunciato all’uva perché troppo in alto? Ma insieme alla favole, vi sono anche i discorsi incentrati sulla paura e sull’odio. Paura dell’altro, odio verso il diverso. Perché chi odia e ha paura si lascia guidare, non ragiona, non vuole ragionare. E per chi non vuole ragionare, la verità o la falsità di quello che ascolta è secondario.
Le favole siamo tutti d’accordo che non ha importanza quanto sia tutto proprio vero vero… sono una metafora e per questo la licenza poetica, o meglio “favolistica” è concessa. Ma, come dici tu, è molto, troppo, tragico il proclamare “verità” distorte, manipolate, elaborate ad arte… Tragico, ma questa sta diventando sempre di più la realtà di ogni “verità” proclamata! Ghat
L’articolo si chiude con la frase chi odia ha paura. sono daccordissimo. ciao