Diritti universali?

Tra pochi giorni ricorrerà il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948 con 48 voti favorevoli, nessuno contrario e ben 8 astenuti.

Ad astenersi furono i paesi del blocco sovietico, il Sudafrica e l’Arabia Saudita.
Curioso come una dichiarazione universale venga approvata soltanto da una parte, per quanto larga, delle nazioni.
Evidentemente questa dichiarazione venne percepita come espressione di una realtà storica particolare e non immediatamente adattabile alle altre nazioni. Con motivazioni diverse, i paesi comunisti, il Sudafrica dell’apartheid e l’Arabia Saudita islamica (alla quale si aggiunsero successivamente altri paesi musulmani arrivando, negli anni ottanta, alla Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo) non sentivano propria la dichiarazione del 1948.

La Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali di Gerhard Oestreich (trad. it. a cura di Gustavo Gozzi, Laterza 2001) è un bellissimo saggio che presenta il lungo percorso che ha portato alla Dichiarazione universale. È una storia essenzialmente occidentale, e nemmeno di tutto l’occidente, tenendo conto, ad esempio, delle critiche marxiste alle “libertà liberal-borghesi”.
Così scrive Oestreich nell’ultimo capitolo del suo libro, dedicato ai diritti umani dopo il 1945:

L’intera problematica, sollevata dal movimento internazionale per i diritti umani, è giunta a manifestarsi solo dopo il 1945, in un mondo soggetto a continue trasformazioni. La politica mondiale oggi non vede più partecipi solo 50 Stati, affini per tradizioni storico-politiche e retaggio culturale, ma 150 Stati differenti che, pur appartenendo alle Nazioni Unite, hanno avuto origini spesso assai dissimili e palesano la più ampia varietà d’idee giuridiche, abitudini di vita e condizioni materiali. Questo fa emergere in tutta evidenza le difficoltà insite nella formulazione sovrannazionale, nell’interpretazione e, da ultimo, nell’attuazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Volerli fissare con un pronunciamento a maggioranza della società degli Stati, e renderli così vincolanti per tutti, è cosa in aperto contrasto col senso storico. I patti e le dichiarazioni oggi in uso sono perciò progettati con una cura persino eccessiva e vengono formulati in modo sempre più concreto. Si assiste inoltre a una politicizzazione dei diritti umani, che ha il fine di adeguarli a determinati sistemi di potere e di imporli agli altri. Ma anche così, essi non possono risultare conformi a tutti i livelli dell’evoluzione umano-sociale, politico-culturale o economico-materiale che ha luogo nel mondo, né valere allo stesso modo per tutti gli Stati e i cittadini. In verità, i diritti umani sono sempre andati al traino dei mutamenti storici, verificatisi nella politica, nell’economia e nella società. […]
Gli assunti illuministico-giusnaturalistici, che segnarono l’idea dei diritti dell’uomo ai suoi esordi nel XVIII secolo, scomparvero quasi interamente, nel XIX secolo, per effetto del positivismo giuridico e dei diritti fondamentali e civili, da esso teorizzati su base nazionale. L’intento originario di difendere la proprietà e l’individuo dall’assolutismo monarchico o parlamentare è oggi in gran parte rientrato. […] L’uomo cacciato, torturato e vessato dai propri governanti – non importa di quale parte del mondo – rischia di essere relegato sempre più in secondo piano dal movimento istituzionalizzato e politicizzato dei diritti umani.

Oestreich sembra intravedere una speranza nelle associazioni private come Amnesty International, lasciando intendere che, forse, i diritti umani e le libertà fondamentali non sono cosa che si lascia codificare tanto facilmente, almeno a livello internazionale.

Nei diritti umani, forse, c’è qualcosa di universale, di comune a tutti i popoli, indipendentemente dalla loro storia. Non sembra, comunque, essere qualcosa di codificabile in maniera univoca. 

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