Categories: Pensieri diversi

Ivo Silvestro

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Time coverTime è il primo settimanale d’informazione pubblicato negli Stati Uniti. Fondato nel 1923, ogni anno elegge la Person of the Year, la persona o il gruppo di persone che più hanno influenzato gli avvenimenti dell’anno appena trascorso.
Per il 2006, la persona dell’anno è un gruppo indubbiamente numeroso, talmente numeroso da assumere i connotati di un concetto: i lettori-autori di internet, i blogger, gli utenti dell’enciclopedia libera Wikipedia, del sito di condivisione di video Youtube eccetera.

Una critica alla decisione di Time arriva proprio da uno dei nominati: per Wikipedia, che ha aveva praticamente cancellato la relativa voce dalla sua enciclopedia, si tratta di una caduta di stile o, per tradurre letteralmente una curiosa espressione inglese, di un “salto dello squalo“. Secondo altri si tratta del riconoscimento, da parte di una testata giornalistica, della imminente fine del giornalismo tradizionale. È sin troppo facile aspettarsi, sui quotidiani nostrani, illuminati editoriali sulla superiorità dei giornalisti rispetto ai blogger.

L’interrogativo che questa decisione di Time pone è abbastanza semplice: sopravviverà il giornalismo nell’era del nuovo internet? La mia posizione è molto semplice:

  1. il giornalismo è già morto;
  2. non è stato internet ad ucciderlo;
  3. non saranno i blog a resuscitare il giornalismo.

Morte del giornalismo

Partendo dal presupposto che i giornalisti lavorino con le notizie, chiediamoci: che cosa è una notizia? Una notizia non è altro che il resoconto di un fatto, la sua descrizione o il suo racconto. I giornali, quindi, dovrebbero raccontare fatti.
Da molto tempo praticamente nessun giornale racconta più fatti. Non si pensa qui alla tesi del libro di Marco Travaglio La scomparsa dei fatti (il Saggiatore, 2006), ossia dell’estinzione dei fatti in favore delle opinioni; il fenomeno al quale ci si riferisce è più generale: non si raccontano più i fatti perché si cerca di farli vivere. Il giornalismo non racconta più, non spiega, ma mostra e presenta, non parla più alla parte razionale delle persone, ma si appella ai sentimenti. Il motivo è molto semplice: deve vendere pubblicità, e alla fine è il giornalismo stesso a trasformarsi in pubblicità, e la pubblicità non spiega nulla, non racconta nessun fatto.

Internet è innocente

Con la scomparsa del giornalismo internet non ha nulla a che fare: non è la concorrenza, o la presunta superiorità, del mondo dei blog e di internet in generale a determinarne l’estinzione.

L’araba fenice

Il giornalismo può essere come l’araba fenice, il mitico volatile in grado di rinascere dalle proprie ceneri? Forse, ma non saranno i blog gli artefici di questa resurrezione.
Un blog è per sua natura qualcosa di personale, è una traccia lasciata da qualcuno. Una traccia non può essere una notizia, non può essere il racconto di un fatto.

Il mondo dei blog molto probabilmente fornirà gli strumenti di questa rinascita, se mai avverrà. Ma il risultato sarà un giornale, non un blog.

Editor's Pick

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  1. z 18 Dicembre 2006 at 04:13

    muovo un obiezione soprattutto al primo punto: se accettiamo quello che dici il giornalismo è morto da molto e quindi non vedo perché parlare adesso della sua morte. perché sostieni che il giornalismo non racconta più fatti ma li mostra, li presenta, mira alla pancia delle persone, che è esattamente quello che ha sempre fatto. e non vedo chiaro il nesso con la pubblicità. sostieni che il giornalismo diventa sostanzialmente pubblicità della pubblicità. che è affascinante. ma non mi convince del tutto. perché ha sempre venduto pubblicità. i giornali sono stati i primi ad ospitare la pubblicità moderna.

    curiosamente poi – ma non è una critica che ti muovo, solo un’annotazione – alcune indagini indicano che fra il 50 e il 70% dei blog (in lingua inglese) ospitano pubblicità. new media are old media?

  2. Ivo Silvestro 18 Dicembre 2006 at 13:11

    Una doverosa premessa: non sono un giornalista e neppure un esperto di comunicazione. Sono insomma una delle persone meno titolate per questi discorsi.

    Il problema non è la presenza della pubblicità: mi sta bene che a fianco di un articolo vi siano annunci commerciali.
    Il problema è quando gli articoli vengono scritti esclusivamente per vendere pubblicità, quando la redazione diventa una emanazione dell’ufficio pubblicità.
    Soprattutto, il problema è quando gli articoli prendono il linguaggio emotivo della pubblicità, e la cronaca nera viene raccontata come se fosse un giallo mondadori, la cronaca rosa una telenovela e così via. Non è giornalismo, non è dare la notizia.

    Mi chiedi perché parlare adesso della sua morte, se è già morto da tempo. La risposta è banale: perché si vendono meno giornali e perché parlando della morte dei giornali si leggono più copie, si fanno più spettatori e quindi si vende più pubblicità 😉

  3. zapping 18 Dicembre 2006 at 13:40

    Il raccontare la cronaca nera prendendo allo stomaco è proprio la nascita del giornalismo moderno, con la penny press e lo ‘yellow journalism’ (e proprio sui giornali nasce il feuilleton dal quale nascono i gialli, curiosamente). Un giornale solo di ‘fatti’ sarebbe piuttosto noioso, forse – paradossalmente – quasi illeggibile. Sarebbe un susseguirsi di necrologi, di quelli più asettici. La cosa che vi si avvicina di più sono alcuni giornali gratuiti fatti come un collage di agenzie di stampa.
    Non dico di apprezzare la cronaca nera patetica ma che i ‘fatti’ non sono mai stati al cuore dei giornali, quanto la ‘narrazione’.

    trovo più condivisibile l’analisi che fai del ruolo della pubblicità, e dello spostarsi dei giornali verso i temi che fanno vendere e che fanno vendere pubblicità c’è del vero in questo. e in quest’ottica si colloca anche il fenomeno – suicida – dei giornali che fanno da cassa di risonanza della tv, di cui oltre dieci anni fa già parlava umberto eco.

    un post interessante comunque. food for thought 🙂

    zapping

  4. Ivo Silvestro 18 Dicembre 2006 at 22:21

    Uhm… mi stai quasi convincendo di aver scritto, almeno in parte, una fesseria.
    Tutto il mio ragionamento è basato sulla differenza tra narrazione nel senso di resoconto (che ha il centro di gravità negli eventi narrati) e narrazione nel senso emotivo/artistico (che ha il centro di gravità nella narrazione). La differenza che dovrebbe esserci tra un romanzo di spionaggio e le gesta di Markus Wolf, per intenderci. Ma temo che sia una distinzione abbastanza priva di senso…

  5. marco 29 Novembre 2008 at 20:30

    condivido l’opinione dell’inserzionista

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