Il cervello del XXI secolo

Il cervello – è più vasto del cielo

Steven Rose ne Il cervello del XXI secolo affronta il tema della relazione tra mente e cervello a partire da una poesia:

La poetessa americana Emily Dickinson una volta ha scritto una poesia, molto amata dai neuroscienziati, che inizia affermando: «Il cervello – è più vasto del cielo». Bene, io affermerò, senza fare ricorso al misticismo e scusandomi con la Dickinson, che la mente è più vasta del cervello. I processi mentali e coscienti – insisterò opponendomi a gran parte della filosofia contemporanea – sono essi stessi proprietà evolute e funzionalmente adattive essenziali per la sopravvivenza umana: non sono scesi dal cielo e nemmeno sono proprietà addizionali prive di funzione, conseguenze epifenomeniche del possesso di grandi cervelli che non hanno di per sé un potere causale. [p. 108]

[…] è in questo senso che le menti sono attivate dai cervelli ma non riducibili ad essi; esse sono il prodotto di quel sistema biosociale aperto che è il bambino che si sviluppa, comunica e impiega simboli. Come osserva [Merlin] Donald [A mind so rare, Norton, New York, 2003], sono “ibride”, simultaneamente un prodotto e un processo di questo sistema biosociale evolutosi e in via di sviluppo. [p. 170]

Qui, al confine tra scienza e filosofia, Steven Rose afferma alcune cose molto interessanti: la mente è non solo più vasta del cervello (prima citazione), ma è persino più vasta persino dell’individuo stesso (seconda citazione).
Brain toss (Brittany G) L’introduzione del sistema biosociale rende però tutto più sfumato e, a questo punto, non si capisce più bene cosa sia la mente: è qualcosa che ha a che fare con (ma non si lascia ridurre a) il cervello, l’evoluzione e il sistema biosociale. Resta da capire in che senso questi livelli così diversi e lontani possano cooperare per produrre qualcosa di unitario.

La sensazione che Steven Rose guardi le cose troppo da lontano e confonda i particolari viene confermata quando affronta il tema della coscienza:

[…] Esiste la coscienza freudiana, con il suo mondo inconscio di desideri e paure. Esiste la coscienza sociale, di classe, etnica o femminista, il riconoscimento di possedere un punto di osservazione da cui è possibile interpretare e agire sul mondo. Tali molteplici significati sono perduti nel mondo impoverito condiviso da filosofi e neuroscienziati, i quali riducono tutti questi svariati mondi a quello dell’essere consapevoli, svegli, non anestetizzati. [p. 208]

La parola “coscienza” significa molte cose, ciò significa che questa parola viene usata per dire molte cose. Viene impiegata per descrivere una persona consapevole delle proprie azioni, in contrapposizione a chi agisce soprappensiero; viene anche impiegata per descrivere le persone sveglie e per quelle non anestetizzate; per descrivere la consapevolezza che ha una persona di essere un operaio e non un padrone, un cattolico e non un ortodosso o un ateo, un uomo del XXI secolo e non del XIX, e così via. Vi è poi la coscienza freudiana, che è un altro discorso ancora.
Steven Rose, prima di rimproverare filosofi e neuroscienziati di ridurre a poca cosa un così vasto mondo, dovrebbe prima dimostrare che tutti questi fenomeni hanno qualcosa di unitario, che insomma siano la stessa cosa.

Steven Rose non vuole perdersi nei dettagli e cercare la mente nella biochimica o nelle sinapsi; tuttavia non sembra rendersi conto che ci si può perdere anche nei generali.

Consentire e determinare

Una distinzione molto interessante è quella tra consentire e determinare:

Queste [di Penrose e Eccles] sono voci potenti, ma io continuerò a sottolineare la distinzione tra consentire e determinare o addirittura “essere la stessa cosa”. La vita mentale e la coscienza, come non sono riducibili alla biochimica, non possono nemmeno essere abbassate al livello delle singole sinapsi o dei singoli neuroni. [p. 183]

Hannover Neurosurgery Hospital (tragesessel4350)Sinapsi e neuroni non sono la vita mentale di una persona e neppure determinano la vita mentale, al massimo la consentono.
In concreto, cosa sta dicendo qui Steven Rose?
C’è una cosa che è il cervello, e c’è un’altra cosa che è la mente. La prima cosa consente la seconda, ne permette l’esistenza senza vincolarla, o almeno senza vincolarla troppo strettamente. Il cervello lascia una certa libertà alla mente.

Reificazioni

Continuando la lettura ci si imbatte in un passaggio, molto interessante, a proposito della memoria:

Parlare di “memoria” è una reificazione, vuol dire trasformare un processo in una cosa. L’uso del termine suggerisce l’esistenza di un singolo fenomeno chiamato memoria. Gli psicologi riconoscono una tassonomia multidimensionale della memoria. [p. 202]

La memoria non è una cosa, non esiste un singolo fenomeno chiamato “memoria”.
E se lo stesso valesse per “mente”? La distinzione tra consentire e determinare non andrebbe, semplicemente, a ramengo? Se la mente, semplicemente, non è una cosa, un fenomeno unitario, ma un insieme di più cose diverse e collegate, ha senso chiedersi se il cervello determina o consente questo variegato insieme di fenomeni?

Relativamente

Dopo alcune pagine, Rose inizia una ispirata analisi della pratica scientifica:

Questa conoscenza è stata influenzata dalla storia delle nostre diverse scienze, dagli approcci filosofici che abbiamo in vario modo applicato ai nostri oggetti d’indagine e dalle tecnologie in via di sviluppo di cui abbiamo potuto disporre. Gli scienziati tendono a scrivere dei nostri oggetti di studio come se fossero ciechi rispetto al nostro stesso passato e certamente sordi ad altre tradizioni di conoscenza, soprattutto a quelle derivanti da culture diverse della nostra. Ma una cosa del genere non dovrebbe essere accettata. Se, come ho sostenuto, il cervello non può essere compreso se non in un contesto storico, a maggior ragione la nostra stessa comprensione del cervello non può essere compresa se non in un contesto storico.
Le nostre conoscenze sono contestualizzate e vincolate, al punto che sia le domande sia le risposte che oggi ci sembrano autoevidenti non lo erano in passato e non lo saranno in futuro. E nemmeno vedremmo le cose come le vediamo se le scienze stesse si fossero sviluppate in una differente cornice socioculturale. [p. 237]

Non si può non apprezzare una simile descrizione. Tuttavia rimangono alcuni dubbi: in che senso le nostre conoscenze sono vincolate? Ha senso chiedersi come vedremmo le cose se le scienze si fossero sviluppate in una differente cornice, senza prima chiedersi cosa sia una cornice socioculturale, un concetto che rischia anch’esso di essere, purtroppo, il frutto di una cornice socioculturale?

Il sofista

Steven Rose mostra, nel suo saggio, una sensibilità filosofica assolutamente da non disprezzare. Purtroppo la utilizza come un sofista dei manuali di filosofia: senza nessun interesse per la verità, ma con il solo obiettivo di avere la meglio sugli avversari intellettuali.

Rispetto a questo uso retorico della filosofia, preferisco a questo punto gli sfottò che Rose dedica alla psicologia evoluzionista: impegnano per poche pagine e strappano un sorriso.

Foto di Brittany G e tragesessel4350

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