Contro le guerre culturali

Sono stato tentato di scrivere qualcosa sulle modifiche apportate ad alcuni romanzi di Roald Dahl.

Il caso, del resto, apre molti interrogativi interessanti.
Chi gestisce i diritti d’autore può modificare i testi come faceva lo stesso autore in vita? Il fatto che parliamo di letteratura per l’infanzia cambia qualcosa? Perché importanti cambiamenti nella trama o nei personaggi in opere derivate (vedi i molti film realizzati a partire dai romanzi di Dahl) ci indignano meno di una correzione al testo? Se correggere quanto scritto dell’autore è sbagliato, lo è anche pubblicare uno scritto che l’autore non voleva pubblicare?
Immaginando che la correzione di un refuso sia non solo tollerata ma anche auspicata, a che punto una correzione diventa inopportuna? Se una parola ha cambiato significato o accezione, è lecito sostituirla con una parola più vicina al significato originario e quindi alle intenzioni dell’autore? E se – cambiando autore e genere – qualcuno ripubblicasse le opere di Asimov sostituendo le anacronistiche schede perforate che ogni tanto compaiono con dei file caricati in rete?
Quanto è importante tenere pubblicamente traccia delle modifiche e mantenere accessibili le opere originali? Lasciare in nota i passaggi originali andrebbe bene? Come deve comportarsi chi traduce i testi di fronte a termini problematici o non più attuali? E cosa accadrebbe se fosse l’autore stesso a chiedere di aggiornare le sue opere affinché restino al passo con i tempi?

Lo scontro finale

Queste sono alcune delle domande che mi sono posto e sulle quali sarebbe interessante (e forse anche urgente) ragionare. A queste domande possiamo poi aggiungere tutte le riflessioni sugli effetti del linguaggio dispregiativo, giusto per mettere in contesto alcune delle modifiche apportare ai testi di Dahl. Questo non per condannare o assolvere l’operazione, ma per capire di preciso quali sono i problemi e quanto sono gravi.
Solo che per ragionare e discutere serve un ambiente adatto: nulla di troppo complicato, diciamo un posto dove chi dice la sua opinione non si sente come l’eroe che da solo affronta il nemico – e non una divisione che è lì per occupare una via di comunicazione, ma l’intero esercito arrivato per sterminare l’intera popolazione e spargere sale sulle macerie.

Questa metafora bellica merita un chiarimento, perché vi vedo due difficoltà. Il primo è proprio l’idea di concepire una divergenza di opinioni come uno scontro, invece di un’occasione per chiarirsi le idee e stabilire un terreno comune di discussione – il che non vuol dire arrivare a un compromesso, il terreno comune può semplicemente essere il fatto di pensarla diversamente. La seconda difficoltà riguarda il tipo di conflitto al quale si pensa. È un semplice diverbio, un duello mortale, uno scontro di poco conto, la battaglia dalla quale dipendono le sorti della guerra e forse della civiltà? A seconda di quale situazione immaginiamo cambiano le strategie.

Molte cose che ho letto su questa vicenda dei libri di Roald Dahl avevano lo spirito dello scontro finale. Aragorn che con pochi uomini affronta l’esercito di Mordor sperando che Frodo riesca a distruggere l’unico anello; il protagonista di Le streghe trasformato in topo che per eliminare le streghe inglesi deve versare la pozione magica nella minestra che tra poco mangeranno; Poirot che si taglia i baffi per sconfiggere i temibili Quattro e sventare il loro diabolico piano di impadronirsi del mondo.
Certo, restiamo nell’ambito di una guerra figurata in cui le armi sono perlopiù reboanti post sui social media, articoli indignati e che attirano l’indignazione, accuse di ipocrisia per mostrarsi i più puri e intransigenti. Se qualcuno dovesse davvero ricorrere alla violenza fisica, la cosa sarà solo in parte riconducibile agli eccessi retorici di questi giorni.

Va anche detto che non tutti hanno denunciato la più grande catastrofe culturale dall’incendio della biblioteca di Alessandria, sollecitato indignazione generale, invitato al boicottaggio eccetera. C’è chi ha provato a ragionare e a discutere, ma direi con scarsi risultati, almeno in questi primi giorni. Forse più avanti – quando sarà calata un po’ l’attenzione – ci saranno le condizioni per discussioni più lucide.

Un possibile manifesto: disinnescare le bombe culturali

Da quanto ho ripreso in mano questo sito, aggiornandolo più o meno regolarmente, mi sono chiesto se dovessi seguire una qualche “linea editoriale”. Insomma se scegliere un tema specifico invece di scrivere semplicemente quello che mi passa per la testa – come si poteva ancora fare all’epoca d’oro dei blog.
La risposta finora è sempre stata negativa. Del resto scrivo perché mi aiuta a chiarire le idee e a riordinare i pensieri. Che quello che scrivo possa essere utile ad altri è una speranza (probabilmente un’illusione), non un obiettivo. Eppure questa vicenda dei libri di Dahl – e soprattutto delle discussioni che ne sono seguite – mi convince della bontà dell’idea di un progetto di comunicazione. Disinnescare le bombe culturali, riflettere su come creare spazi di discussione in cui si costruisce qualcosa, evitando la facile indignazione.

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