Beati monoculi in terra caecorum

Beati monoculi in terra caecorum o, con una traduzione leggermente creativa, nel paese dei ciechi, chi ha un occhio solo è re.
Se chi ha un occhio solo è re, chi li ha ancora tutti e due, come minimo, può diventare imperatore.

H. G. Wells, nel suo racconto Nel paese dei ciechi, immagina una isolata valle nelle Ande nella quale tutti sono ciechi. Nuñez, uno scalatore con entrambi gli occhi perfettamente funzionanti, precipita nella valle e si convince di poter diventare, con la sua facoltà visiva eccezionale, il dittatore del piccolo villaggio di non vedenti.
È quello che si aspetterebbero tutti – magari animati da intenzioni più nobili del dominare gli indigeni.

Wells ribalta l’aspettativa: la vista, nel paese dei ciechi, può essere uno svantaggio. Le case non hanno finestre e gli abitanti della valle preferiscono lavorare con il fresco della notte e dormire durante il giorno. E così Nuñez riconosce gli oggetti senza toccarli o ascoltarli solo di giorno, perdendo questo dono di notte e all’interno degli edifici. Gli abitanti della valle non sanno che cosa sia la luce, la loro lingua ha infatti perduto tutte le parole relative alla vista, e così Nuñez non riesce neppure a spiegarsi: viene considerato un disadattato dalla fervida immaginazione.

La luce è spesso utilizzata come metafora della verità.
Interpretando così la curiosa avventura di Nuñez, possiamo affermare che la società e la ricerca del consenso non necessariamente portano alla verità, anzi: possono portare alla sua negazione. La vista è un dono, ma in un paese di ciechi questo dono non viene capito e si cerca di cancellarlo.

È però possibile una altra lettura. Nel paese dei ciechi non sono in grado di vedere la cima delle montagne, ma sentono e toccano e annusano tutto quello che è a fondovalle, e con notevole abilità.
La verità si manifesta in varie forme: la vista è solo una di queste, probabilmente più efficace di altre, ma non è l’unica forma della verità. E, se si vuole convivere con altre persone, bisogna concentrarsi non sulla propria forma di verità, ma sulla traduzione, sul passaggio da una forma di verità all’altra.
Un compito non facile: non invidio Nuñez e non mi stupisco del suo fallimento.

10 commenti su “Beati monoculi in terra caecorum

  1. Pensando al finale del racconto (che non cito a scanso di spoiler), credo che Wells avesse in mente la prima interpretazione: nel paese dei ciechi vederci è un difetto.

  2. A rafforzare la mia difficoltà di agnostico a maneggiare il concetto di verità, la morale della storia mi pare proprio che pensare di possederne una è un limite alla conoscenza.

  3. Hai letto “Cecità” di Saramago? (A proposito: chissà se lo scrittore portoghese si è ispirato al racconto di Wells). Se sì, mi piacerebbe tu comparassi Nuñez alla “moglie del medico” anch’essa unica vedente in un mondo di ciechi.

  4. @Rufo: Sì, sono convinto anche io che Wells sposasse la prima lettura. Ma il bello di questo racconto è che regge abbastanza bene anche la seconda lettura.

    @ugolino: Io la metterei così: pensare di possedere l’unica verità è un ostacolo alla convivenza civile – e forse anche alla conoscenza.

    @fabristol: Ho fatto copincolla da Wiki… e in ogni caso, l’errore di lettura è divertente: perché correggerlo? 😉

    @Luca Massaro: No, non l’ho letto. Mi hai incuriosito, penso che prima o poi lo leggerò…

    @Weissbach: Serendipità!
    In fondo, la vista è occhi è cervello – se ho capito bene l’articolo, quesi sostituiscono gli occhi con le orecchie ma ugualmente “vedono”.
    Avevo letto di un soluzione simile solo basata su sensazioni tattili (mi pare di ricordare sull’addome).

  5. @ivo: da sottoscrivere la prima, leverei il “forse” dalla seconda; chi ha già la verità smette di cercare e di conoscere.

  6. Giustamente è già stato nominato Cecità, anche se c’è una differenza sostanziale: la vedente è regina in un mondo di persone che hanno perso la vista da un momento all’altro; e però è costretta a nascondere le sue doti, ed interpreta il suo ruolo di guida come un servizio.

    In un bel passaggio il suo gruppo si scontra con un gruppo capeggiato da uno che cieco lo era di nascita, e quindi aveva affinato i sensi in maniera molto più acuta. E lui è un dittatore “sanguinario”, nel suo piccolo.

    Mi sono sempre chiesto il significato di questo passaggio, del libro complessivamente, come di ogni libro di Saramago. Ci sono dosi massicce di allegoria e simbolismo, insegnamenti morali e amorali, che non riesco mai a cogliere a fondo. E forse non c’è nulla da cogliere. E forse questo ne ha fatto il grande scrittore che era.

  7. @Rufo: Notevole.
    Sarebbe interessante seguire una partita tra una squadra di non vedenti e una di vedenti con il sole negli occhi…

    @tomate: Facciamo così: ne parliamo quando avrò letto il libro.

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