A proposito di un servizio del TG5

È con un certo disagio che scrivo questa riflessione: il disagio di chi teme di essere frainteso.
Non sempre è possibile evitarlo: il fraintendimento a volte è inevitabile, soprattutto quando l’argomento è emotivamente coinvolgente, come in questo caso.

Questo è lo spezzone1 di un servizio del TG5 del 19 ottobre:

Non conosco il meccanismo della «messa in prova» citato nel servizio e non conosco neppure i dettagli della decisione dei giudici – che può, come tutte le decisioni, essere sbagliata. Viviamo in una società maschilista, nella quale il primo pensiero, in caso di stupro, va all’imprudenza della vittima – e sarebbe ipocrita pensare che i giudici, che sono persone come tutti noi, non siano influenzati da questa terribile forma mentis.

Quello che mi ha lasciato perplesso in questo servizio è l’accostamento tra la possibilità di riabilitazione data ai ragazzi e il dolore della ragazza. Un dolore che non riesco a immaginare e per il quale non riesco a trovare parole sufficientemente forti, ma un dolore che, mi chiedo, sarebbe forse alleviato dal sapere i violentatori rinchiusi in carcere a vita?
Forse sì: se io fossi stato coinvolto direttamente nell’accaduto – se la ragazza violentata fosse stata mia figlia o la figlia di qualche mio amico e conoscente –  penso che la tentazione di rompere qualche grosso bastone sulla schiena di quei ragazzi sarebbe stata irresistibile, e penso anche che, dopo, non mi sarei sentito in colpa.2 Ma ha senso questo comprensibile desiderio di vedere soffrire chi ha inflitto sofferenza?
Non sarebbe più giusto impegnare le risorse disponibili (che non sono infinite) nel cercare di evitare che simili episodi si ripetano? E, soprattutto, cercare di aiutare la vittima a superare l’accaduto. Perché la ragazza è stata, evidentemente, lasciata sola, e per esserle vicini non basta desiderare una punizione esemplare dei colpevoli, come sembra suggerire il servizio del TG5.

Ho anzi il sospetto che la punizione esemplare serva più che altro a noi spettatori, come conferma che i valori sociali nei quali crediamo, o fingiamo di credere, vengono mantenuti.

  1. La prima parte del servizio è dedicata a un altro caso di stupro: perché unire le due notizie – che a parte la violenza a scopo sessuale non hanno nulla in comune – in un unico servizio? []
  2. Anche se, forse, mi sarei sentito in colpa di non sentirmi in colpa. []

8 commenti su “A proposito di un servizio del TG5

  1. Penso che sia giusto che chi commetta un crimine grave sperimenti la funzione educativa del carcere.

    La tentazione di “rompere un grosso bastone nella schiena di uno stupratore” è naturale, ma non va assecondata: chi lo fa, scende in fondo al livello dello stupratore (e di questo non può che rammaricasi, alla fine): non si rimedia a un crimine compiendo un altro crimine.

    Sono certo, Ivo, non solo che la pensi come me, ma che il bastone non lo useresti mai!

  2. La prima parte del servizio è dedicata a un altro caso di stupro: perché unire le due notizie – che a parte la violenza a scopo sessuale non hanno nulla in comune – in un unico servizio?

    Pro Santa Audience. Mi immagino già le “discussioni” al varietà di infotainment successivo.

  3. E, soprattutto, cercare di aiutare la vittima a superare l’accaduto. Perché la ragazza è stata, evidentemente, lasciata sola

    Questo è il punto. Purtroppo è facile fare il moralista da bar dello Sport (“la pena di morte ci vuole” ed altre amenità, dette da gente che con questa vicenda non ha alcun legame), meno facile fare in modo che le vittime vengano assistite.

  4. Mi sembra però che qui si corra il rischio di cadere in una falsa dicotomia. L’alternativa non è (solo) fra la «messa in prova» da una parte e l’ergastolo o «rompere qualche grosso bastone sulla schiena» dall’altra; saresti contrario anche a – poniamo – cinque anni di carcere senza sconti? Possibilmente in una struttura più civile degli odierni carceri italiani?
    A me pare che la funzione retributiva della pena non possa essere accantonata troppo facilmente a tutto vantaggio di quella riabilitativa. Non riesco a capire cosa ci possa essere di sbagliato nel far sì che come minimo il reo non tragga alcun guadagno netto (inteso in senso ampio, a comprendere anche il guadagno infame di uno stupro) dal suo crimine. Anche la funzione preventiva – in particolar modo special-preventiva – non può essere messa da parte a cuor leggero. Ed esiste forse una riabilitazione più sicura dell’accettazione della propria punizione? Mi pare che l’insistenza attuale su servizi sociali e rieducazione dei criminali puzzi un po’ di eccessivo paternalismo – il reo come bambino non responsabile delle proprie azioni…
    La libertà, mi pare, esige – entro i limiti del buon senso – la responsabilità.

  5. @Lorenzo: Dubito molto che il carcere possa avere un qualche effetto educativo, anzi.
    Quanto alla tentazione di randellare i colpevoli: lo so anche io che è sbagliata ma, in tutta onestà, non mi sento di escludere un mio cedimento nella situazione descritta nel post.

    @Kirbmarc: Però le discussioni da bar sport vanno molto – il che conferma la conclusione: la punizione esemplare serve più a noi spettatori che alla vittima o ai colpevoli.

    @Giuseppe Regalzi: Lo strumento della messa in prova sembra essere riservato ai minorenni – che sono responsabili fino a un certo punto e per i quali un atteggiamento paternalista mi sembra essere meno problematico rispetto a degli adulti capaci di intendere e di volere.
    Più in generale: certo che sono d’accordo che il colpevole venga considerato responsabile e debba subire le conseguenze delle proprie azioni. Il problema è come: non capisco bene dove stia la retributività in cinque anni di carcere senza sconti (non che sia in assoluto contrario al carcere: per la funzione special-preventiva mi sembra un ottimo sistema, anche se non l’unico).
    Ancora più in generale: non credo che l’attuale sistema penale sia da rottamare interamente – però ho il sospetto che sia mantenuto in piedi, con tutto il buono e il cattivo che ha, per motivi poco razionali e molto emotivi.

  6. Ivo, se uno commette un crimine, ci sono diverse possibilità.

    1. Non si fa niente.
    2. Ci si vendica personalmente.
    3. Si lascia che la giustizia faccia il suo corso.

    Il carcerce ha una (qualche) funzione educativa. Tu dici che non ne ha alcuna, ma non sono per niente d’accordo: uno che si è fatto n anni dentro per un crimine non credo che quando esce la prima cosa che farà sia ricommettere quel crimine. Il fatto è che quando dico “educativa” forse tu pensi a Socrate, ma io intendo una cosa molto più spiccia.

    Il carcere ha poi una funzione punitiva (perché no? E’ giusto che chi ha compiuto un crimine paghi: la funzione punitiva qui è legata a quella “educativa”, nel senso che ho detto prima).

    Infine, il carcere ha una funzione di deterrenza: uno è spinto a rispettare la legge, per paura di finirci dentro.

    Quindi, fra i tre punti di cui dicevo all’inzio, mi pare che il punto 3 sia di gran lunga il migliore, senza dubbio.

  7. Anche l’etica è un condizionamento, magari più razionale dello stupro o della vendetta personale, e razionale deve intendersi come la soluzione che ha i maggiori aspetti positivi per il buon mantenimento sociale, che è il bene supremo.
    Quindi, sdoganato il condizionamento, userei il carcere per ri-condizionare i detenuti. Chi accetta di sottomettersi usufruisce di sconti di pena (ovvio, se non bara) altrimenti la sconta per intero.
    Prevenire episodi del genere? Come ci si riesce? Pensi che il paternalismo sia uno strumento efficace? L’accettazione di un concetto passa per la sua inclusione emotiva, e penso che sia interessata anche l’accettazione di una teoria. Il condizionamento (attenti, non pensate a cose del genere arancia meccanica) serve a garantire la società dalle ripetizioni del reato limitando leggermente la libertà degli individui di fare tutto quello che vogliono. Per chi non accetta c’è la retribuzione di pena e lasciare la completa libertà di scelta al soggetto: delinqui quanto vuoi io ti terrò in prigione per tutto questo tempo, dopo di che una volta fuori potrai fare ciò che vuoi. O ci interessa di formare individui più consapevoli? Perchè questo è anche quello che hanno fatto con noi, che magari non abbiamo mai commesso questi crimini, proprio per codesta ragione.
    Bye

  8. @Lorenzo: Sicuramente il punto 3 è il migliore – il problema è appunto capire come è meglio che la giustizia faccia il suo corso.
    Ho ad esempio il sospetto che quella che chiami “educazione” sia in realtà intimidazione – il che non significa che non vada bene, basta saperlo!

    @paopasc: Se è razionale, non è un condizionamento, ma semplice persuasione. Una dimostrazione matematica non mi condiziona a credere nel teorema di Pitagora, mi convince della sua validità a partire da alcune premesse.
    L’idea di condizionamento dei consenzienti non è male.

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