Forse abbiamo un problema con la teoria della ‘spinta gentile’

La prima volta che ho sentito parlare di nudge o spinta gentile era il 2009; si tratta di uno strumento che, grosso modo, prende gli studi di psicologia cognitiva e li applica per sviluppare dei “suggerimenti” (dai piatti più piccoli per mangiare meno a come vengono presentate le informazioni) che indirizzano le persone verso la scelta più razionale.

Una bella idea, che almeno sulla carta permette di influenzare il comportamento delle persone lasciando loro la libertà di scegliere, e infatti in questi anni i nudge hanno avuto larga diffusione, sia a livello di ricerca accademica sia di applicazione.

Tuttavia il gigante rischia di avere i piedi di argilla e curiosamente per un problema legato proprio ai bias cognitivi che i nudge vorrebbero sfruttare: negli studi c’è infatti un forte publication bias, in pratica la tendenza a privilegiare i risultati positivi e scartare quelli negativi. Se fai una ricerca e scopri che un nudge non funziona, il tuo lavoro resta nel cassetto; se invece scopri che il nudge funziona, l’articolo viene pubblicato e quando si passano in rassegna le varie ricerche pubblicate, i risultati positivi superano quelli negativi.

Questo publication bias c’è; meno chiaro quanto sia importante. Gli autori di una meta-analisi pubblicata su PNAS concludono che anche tenendone conto gli effetti positivi ci sono. Di diverso avviso gli autori di una lettera, pubblicata sempre su PNAS, secondo i quali se si tiene conto del bias di pubblicazione non ci sono prove che i nudge siano effettivamente in grado di influenzare il comportamento delle persone (“After correcting for this bias, no evidence remains that nudges are effective as tools for behaviour change”), anche se con importanti differenze nei vari campi di applicazione, lasciando pensare che per alcune cose i nudge funzionino bene, per altre meno bene e per altre ancora non funzionino affatto.

La discussione prosegue; altri hanno sollevato critiche e gli autori della meta-analisi hanno risposto. Dubito che alla fine tutta la teoria dei nudge si rivelerà essere pseudoscientifica, ma non mi stupirebbe scoprire che una parte importante è da ignorare.

Al di là di come andrà a finire, mi sento di concludere che fanno bene i filosofi della scienza fallibilisti a considerare ogni teoria scientifica “provvisoriamente vera”.

Paternalismo libertario

Leggendo Le Scienze di agosto scopro l’esistenza del paternalismo libertario.
Arrivo in ritardo: il libro Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness di Richard H. Thaler  e  Cass R. Sunstein è uscito nel 2008, mentre la traduzione italiana è nelle librerie da maggio; ne hanno inoltre parlato Roberto Casati e Simona Morini.

L’idea è semplice: dal momento che l’uomo non è un essere razionale e spesso prende decisioni irrazionali e illogiche, è necessario aiutarlo. Secondo il paternalismo classico, questo aiuto consiste nel prendere le decisioni al suo posto; secondo il paternalismo libertario, basta aiutarlo a scegliere bene, fornendo tutte le informazioni necessarie nella forma più chiara possibile e ricorrendo ad alcune spinte (in inglese Nudge) per indirizzare le persone verso la scelta corretta.
Si lascia la libertà di scelta ma si aiutano le persone a scegliere bene: ecco sciolto l'(apparente?) ossimoro.

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