Libero alcol in libero stato

Spesso le tasse su prodotti dannosi per la salute – tipicamente alcol e tabacco; più recentemente anche lo zucchero – vengono presentate come un disincentivo al consumo.

È una misura che mi lascia perplesso perché colpisce in maniera diseguale ricchi e poveri, lasciando intendere che chi ha tanti soldi è sufficientemente virtuoso da non abusare, mentre se uno è povero è anche incapace di autocontrollo.
Però sembra funzionare: ho trovato un articolo scientifico, pubblicato sull’American Journal of Public Health, nel quale analizzando 50 ricerche precedenti si arriva alla conclusione che raddoppiare la tassa sui prodotti alcolici porta a una riduzione della mortalità per alcol di circa il 35% e degli incidenti stradali dell’11%, con anche effetti, per quanto meno importanti, sulle malattie a trasmissione sessuale, atti di violenza e crimine in generale.

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La tesi “tassiamo l’alcol per disincentivarne il consumo” sembrava quindi solida. Poi arrivano le autorità giapponesi che, stando a quanto riporta la BBC, chiedono ai giovani di consumare più alcol per sostenere l’economia.
Il consumo di alcol è infatti passato, dal 1995 al 2020, da 100 a 75 litri (immagino per persona all’anno), con conseguente riduzione delle tasse sugli alcolici e quindi ecco che si raccolgono idee per convincere ventenne e trentenni a bere di più. Perché evidentemente quello che conta davvero non è la salute, ma le entrare fiscali.

Forse in Giappone la storia della tassa come disincentivo non c’è mai stata. Ma il passaggio dal “vi tassiamo perché bevete troppo” al “bevete di più sennò vi tassiamo troppo poco” porta a guardare alle politiche di salute pubblica con un po’ più di scetticismo.

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