Sera tardi. Lui (ateo / illuminato / sano di mente)1 spegne la luce e si accoccola, a mo’ di gattino, vicino a lei (credente / obnubilata / psicopatica).
Lei: Ma secondo te, sei più ateo tu o credente io?
Lui – sospettoso: Non lo so: non credo esista una unità di misura per l’ateismo.
Lei: Voglio dire: tu davvero credi che non ci sia nulla?
Lui – si allontana leggermente da lei: Cosa vuoi che ti dica: secondo me non c’è nulla.
Lei: Capisco.
Lui: C’è solo una cosa che mi dispiace.
Lei – incuriosita: Sarebbe?
Lui: Beh, che se per caso hai ragione tu, quando saremo di fronte a San Pietro avrai modo di dirmi «Te lo avevo detto io!». Se invece avrò ragione io, semplicemente non ci saremo più e io non potrò rinfacciarti nulla.
Lei – rannicchiandosi a mo’ di gattina vicino a lui: Questa prospettiva mi piace!
Ivo, questo è stato sempre un mio cruccio, ma l’ho superato. Come? Semplice: ho teorizzato che tra la vita e il nulla ci sia una “intercapedine” in cui si materializzano le prove che ci stanno togliendo la luce definitivamente ed è disponibile lo stretto tempo necessario per tirare un coppino* liberatorio a un credente a scelta. Purtroppo, secondo i miei calcoli, non si hanno i secondi sufficienti per proferire la frase fatidica.
Un saluto
*coppino: colpo secco inferto con la mano aperta sulla nuca del malcapitato. Di notevole efficacia quando il destinatario ha il capo chinato sulle mani giunte in atto di preghiera.
Mi accontento del coppino!
Ne ero sicuro. Gli atei sono notoriamente persone che sanno accontentarsi.
Ma siccome noi siamo buoni, non diremo solo “Ve l’avevamo detto”, ma metteremo pure una buona parola (per potervi sbeffeggiare poi per l’eternità, altrimenti che gusto c’è?).
Perché, buoni noi non lo siamo? Anziché sul coppino, ci si poteva orientare sul “lopez”, che fa decisamente più male.
farfintadiesseresani e Marcoz: siamo tutti più buoni, quando sappiamo di aver vinto!
Ne riparleremo davanti a San Pietro… 😉
Carina questa!
Ma se invece ci troviamo di fronte Shiva o Zeus o Thor, rimangono fregati tutti e due…
La scommessa di Pascal
[…]
Esaminiamo allora questo punto, e diciamo: «Dio esiste o no?» Ma da qual parte inclineremo? La ragione qui non può determinare nulla: c’è di mezzo un caos infinito. All’estremità di quella distanza infinita si gioca un giuoco in cui uscirà testa o croce. Su quale delle due punterete? Secondo ragione, non potete puntare né sull’una né sull’altra; e nemmeno escludere nessuna delle due. Non accusate, dunque, di errore chi abbia scelto, perché non ne sapete un bel nulla.
«No, ma io li biasimo non già di aver compiuto quella scelta, ma di avere scelto; perché, sebbene chi sceglie croce e chi sceglie testa incorrano nello stesso errore, sono tutti e due in errore: l’unico partito giusto è non scommettere punto».
Sì, ma scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, ci siete impegnato. Che cosa sceglierete, dunque? Poiché scegliere bisogna, esaminiamo quel che v’interessa meno. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l’errore e l’infelicità. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che dall’altra, dacché bisogna necessariamente scegliere. Ecco un punto liquidato. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell’esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste.
[…]
Sbaglio o questo è un atteggiamento utilitarista bell’e buono?
marcoz: Storicamente, no: Pascal era morto da più di un secolo quando Bentham iniziò a cianciare di utilitarismo. Per il resto, questo argomento (che andrebbe inquadrato nel contesto del pensiero di Pascal) è sicuramente utilitarista o, meglio, consequenzialista.
L’argomento nei Pensieri- lo ricordo bene perché quei due capitoli li ho letti con cura alle superiori per dimostrare, a ragione, che la prof era un somaro– è preceduto nei Pensieri da un caveat chiarissimo: Pascal non invita nessuno a scommettere.
Dice che secondo i principi stessi degli “atei” che “sospendono il giudizio sulla fede”, ma ritengono ugualmente di poter dare un giudizio d’errore sul credente( nel loro linguaggio: di chi sceglie) sarebbe insensato non scommettere.
E’ più sottile di quanto non sembri, il ragionamento.
Pascal pare utilitarista, eccome, ma appunto: probabilmente pensava che il ragionamento non fosse buono, ma che comunque discendesse dalle premesse dei non meglio precisati “atei”.
ciao! Eno
Ci sono più cose nei testi filosofici, eno, di quante ne sognino i manuali e gli insegnanti…