In questo periodo utilizzo il treno per andare al lavoro.
Lavoro serale, quasi notturno: al ritorno, scendo dal treno intorno a mezzanotte, talvolta anche all’una.
Ultimamente, nella saletta di attesa — un grosso gabbiotto in vetro e acciaio sul marciapiede, molto utile e apprezzato d’inverno per non congelare aspettando il treno —, ultimamente, dicevo, in questa saletta di attesa dorme, all’apparenza serenamente, una persona.
Tutte le sere in cui lavoro lo trovo lì, sdraiata sulle panche, con la testa appoggiata a una borsa rossa a mo’ di cuscino.
Chi è? Quale è la sua storia? Quali storie lo hanno fatto arrivare lì, in quella stazione del luganese?
Sono tutte domande che mi balzano in mente praticamente ogni sera. Sarei quasi tentato di porgliele direttamente; mi trattiene il rispetto, la paura di disturbarlo.
Solitamente sono l’unico a scendere da quel treno. A volte capita che vi scenda anche qualcun altro.
È capitato qualche sera fa. Anche l’altro passeggero ha notato la persona sdraiata. Non si aspettava di trovare lì uno intento a dormire. Stupore, certo, ma sul suo viso mi è sembrato di vedere anche un po’ di fastidio, forse persino di disgusto.
La cosa non mi ha stupito più di tanto, ma mi ha un po’ infastidito.
Ieri sera, il gabbiotto era vuoto: all’interno non c’era nessuno. Sono preoccupato