Pausa pranzo

ParmigianaMezzogiorno.

L’una.

Le due.

Le due e mezza.
Lo stomaco è vuoto. Un vuoto che chiede di venire riempito. Senti l’addome che si contorce: il corpo avverte l’horror vacui e cerca di rimediarvi come può.
I due taralli, impietosamente mendicati al vicino di scrivania, hanno soddisfatto il palato, non le viscere. Squisiti taralli di Martina Franca… meglio non pensarci, meglio spostare altrove l’attenzione.
Lavoro. Molto lavoro. Troppo lavoro. Si lavora senza sosta, non pensando al pranzo, non pensando ai taralli di Martina Franca (come suono buoni!), ma sapendo che, nella borsa, c’è la ricompensa. Parmigiana di melanzane. Ma adesso non c’è tempo. Dopo, alle tre, quando il lavoro sarà finito, quando si avrà una lunga ora di tempo prima del lavoro successivo.

Le tre. Tutto funziona a meraviglia. Manca solo una firma e poi via, la parmigiana attende.
Un tonfo. Sarà caduto qualcosa. Dettagli insignificanti: la firma è l’unica cosa davvero importante. La firma. La firma!
Appena usciti dalla stanza, la sorpresa: ad essere caduto non è qualcosa, bensì qualcuno. Il caldo, il troppo lavoro, la sete: ti alzi in fretta e un velo nero ti si cala davanti. Fortunatamente, la caduta pare essere stata poca cosa.

Ma chi è caduto? Purtroppo non è il vicino di scrivania: si poteva approfittare della sua incoscienza per mangiare qualche altro tarallo.
Fortunatamente non è neppure la persona che può apporre la firma liberatrice: lei non è svenuta, non è caduta, è perfettamente in grado di firmare il foglio e… si trova lì, vicino allo svenuto, a prendersi cura di lui.

Le tre passate. Andare lì, privare il moribondo dell’amorevole sostegno, sottrarre l’infermiere per apporre un burocratico sigillo? Aspettare che lo sciagurato si riprenda? Fingere uno svenimento?
Ecco, si alza, sta meglio. Applausi. Scusa mi puoi firmare questo foglio che vado? Bene grazie ciao.

Le tre e mezza. La pausa si è drasticamente ridotta. Il buco si è drammaticamente allargato.
La parmigiana attende fiduciosa.
Tocca mangiare viaggiando.
Arriva il tram.
Mi siedo. Apro la borsa. Estraggo il contenitore, lo apro. Il profumo della parmigiana provoca qualcosa di simile alle visioni di Ildegarda di Bingen. La mano inizia a cercare la forchetta… la forchetta… la forchetta! Non c’è.Non c’è la forchetta di plastica. La semplice, banale, elementare, sobria, modesta, essenziale forchetta di plastica.

Mangiare con le mani? Lordarsi di passata di pomodoro, ungersi per bene le dita e i vestiti? Trasformarsi, agli occhi degli altri passeggeri, in un barbaro, in un essere più vicino alla bestia che all’uomo? No.
Rinunciare alla parmigiana, dunque?

Ad un certo punto, la visione: il sommo poeta mi appare, mi porge una fetta di pane toscano e inizia a recitare:

Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno.

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