Fisiologia o patologia dell’Europa?

Recensione fenomenologica: invece di descrivere il contenuto del libro, si vuole provare a descrivere la particolare, personale e limitata lettura del libro. Un esperimento forse interessante, forse banale, forse noioso. Sicuramente lungo, perché è possibile riassumere i contenuti di un libro, non le sensazioni che questo libro ha generato.

L’acquisto

Libreria XXX. Con i libri trovati sinora (Vincenzo Vitiello ed Emanuele Severino, Ricordati di santificare le feste e Eugenio Lecaldano, Un’etica senza Dio) la spesa totale è di 27 euro. Se voglio usufruire dello sconto di 30 euro devo trovare qualche altro libro da acquistare, interessante e non troppo costoso. Esclusi, a malincuore, alcuni corposi saggi in edizione rilegata: attenderanno un momento più propizio. L’occhio cade su un libercolo dalla orribile copertina viola: Relativismo, nichilismo, individualismo. Il sottotitolo è decisamente intrigante: Fisiologia o patologia dell’Europa? L’autore è Dario Antiseri, l’editore Rubbettino. Quarta di copertina: solo sette euro, il prezzo è perfetto. Cerchiamo di capire se è anche interessante:

Se nell’individualismo si insiste a vedere la resa al basso istinto dell’egoismo e della rapina, il relativismo e il nichilismo sarebbero addirittura il cancro dell’Occidente. Le accuse, dunque, sono delle più gravi. Ma sono esse anche sostenibili e ben fondate?

Sì, sembra interessante.

Alcuni minuti dopo, mentre aspetto il tram, inizio a sfogliare l’imprevisto acquisto.

Una prima lettura

Come esergo, ben quattro citazioni: Einstein, von Hayek, Wittgenstein, Kelsen. Insieme formano un interessante percorso: sulla verità non esiste alcuna autorità umana (Einstein), la ragione deve comprendere le proprie limitazioni (von Hayek), a le credenze fondate poggiano su credenze infondate (Wittgenstein), la democrazia non può funzionare se si suppone la conoscenza della verità assoluta (Kelsen).
Girando pagina, scopro altre due citazioni: Moltmann e Heim. Il percorso prosegue: il cristiano non può conformarsi alla realtà data, ma è sempre coinvolto nel conflitto tra speranza ed esperienza (Moltmann) quindi i cristiani dovrebbero sostenere la relativizzazione del mondo e dell’uomo (Heim).
Ho la sensazione che in queste sei citazioni sia racchiuso il contenuto del libro: potrei quasi smettere di leggere senza perdere l’essenziale. Sfoglio altre parti del libro e scopro che ogni capitolo ha una citazione iniziale, le quali comunque non scarseggiano neppure nel testo.
Questa abbondanza di citazioni mi disorienta: due o tre citazioni possono aiutare nell’esposizione, una decina di citazioni iniziano a valere come principio di autorità, ma nelle poche pagine del suo libro Antiseri ne collezionerà grosso modo un centinaio! Troppe per richiamare autorevolezza sulle proprie tesi, sembrano più un vuoto esercizio di erudizione, ma meglio non lasciarsi sviare e iniziare, finalmente, la lettura del testo.

Introduzione e primo capitolo

L’introduzione è ottima, inquadra alla perfezione i termini del problema: il relativismo, il nichilismo e l’individualismo vengono accusati di lesa identità, di tradire la civiltà occidentale. Accuse prive di senso.

Il primo capitolo, intitolato Alle radici dell’Europa: ragione critica e valori cristiani, inizia con una osservazione sconcertante nella sua banalità, eppure continuamente dimenticata e ignorata: l’Europa non ha una tradizione unica. L’Europa è un insieme di tradizioni, di fedi e di religione. Per Antiseri ciò significa ragione critica, pluralismo e tolleranza. A supporto di queste affermazioni, abbiamo Burckhardt e Popper. Purtroppo le lunghe citazioni sono completamente prive di riferimenti: non ci si può che fidare di Antiseri.
Origine delle citazioni a parte, come non essere d’accordo?
Antiseri tuttavia prosegue con due tesi che definire impegnative è dir poco: le altre culture non conoscono questa pluralità di idee che l’Europa possiede unicamente grazie al cristianesimo. Si può essere d’accordo che per l’Europa lo sviluppo della ragione, del pluralismo e della tolleranza abbia in buona parte coinciso con lo sviluppo del cristianesimo: è andata storicamente così, e c’è poco da discutere, per quanto la storia non abbia avuto una evoluzione proprio così lineare. Antiseri, tuttavia, si spinge decisamente oltre: attribuisce una relazione necessaria, quasi logica, tra il cristianesimo e l’affermarsi di ragione, pluralismo e tolleranza. Confondere storia e logica è un grosso errore: un conto è affermare “è successo questo”, un altro sostenere “è successo questo ed è impossibile anche solo immaginare avvenimenti diversi o che questi avvenimenti accadano altrove”.

Il relativismo

Con il secondo capitolo inizia la difesa del primo dei tre presunti nemici dell’Occidente: il relativismo.

La difesa di Antiseri è molto semplice e per questo molto potente: associare il relativismo al pluralismo e quest’ultimo alla democrazia. Chi vuole criticare il relativismo si ritrova così a criticare la democrazia, ed è una mossa che, almeno si spera, in pochi osano fare.

Le scienze empiriche non hanno certezze, come possono averle le scienze etiche? Alla base della morale vi è l’indimostrabile, l’infondato, la libera scelta.
Meglio tuttavia non esagerare, ed ecco Antiseri subito a specificare che non tutte le concezioni etiche sono equivalenti: il relativismo, o meglio il pluralismo, ci dice che non ce ne è nessuna perfetta, non che una vale l’altra. Questo bellissimo attacco di Antiseri alle (false) certezze si conclude con una notevole stoccata agli «amici cattolici» (dei comunisti si è già occupato prima, con un imbarazzante aneddoto su Brecht che si segnala anche per essere forse l’unica citazione con riferimenti del libro). Cercando di dimostrare razionalmente la validità di un qualche valore cristiano, i cattolici cercano di conoscere ciò che è buono e ciò che è cattivo: un peccato commeso prima di loro da Adamo ed Eva.

Nichilismo

Nella sua difesa del nichilismo, Antiseri ricorre allo stesso meccanismo già messo in atto per il relativismo: chiamare in causa un positivo membro della società che certifichi la bontà dell’imputato. In questo caso è la tolleranza a venire invocata, e questo rende meno potente il discorso: se per la democrazia è difficile trovare detrattori (forse perché è possibile piegarla con il populismo), di detrattori della tollerenza ve ne sono parecchi.

Il nichilismo, tuttavia, non è solo sorgente della tolleranza, ma anche riconquista dello spazio del sacro. In quanto negazione della conoscenza da parte dell’uomo di ogni senso assoluto della vita, il nichilismo si ritrova così al servizio dell’Assoluto. Geniale, a patto di concepire il nichilismo come negazione della conoscenza, e non semplicemente come negazione tout court di ogni senso assoluto.

Entr’acte: i valori cristiani

Il quarto capitolo dovrebbe essere dedicato alla difesa dell’individualismo. Invece ci si ritrova con una ripresa del discorso sulle radici cristiane dell’Europa, della razionalità, del relativismo eccetera. Che senso ha un capitolo simile?

Viene il dubbio che Antiseri abbia scritto questo libro collezionando articoli scritti in altre occasioni. Questo spiegherebbe le citazioni senza riferimenti e curiosi doppioni come questo capitolo. Perplessità.

Individualismo

L’individualismo non è l’affermazione dell’autonomia, della libertà e della responsabilità dell’individuo. Il suo contrario è il collettivismo, l’affermazione della supremazia della collettività sull’individuo. Il collettivismo tende a negare l’individuo, a privarlo della sua esistenza, ed è come tale inaccettabile: solo l’individuo esiste, il resto non esiste.

Antiseri collega la contrapposizione tra individualismo e collettivismo alla diatriba tra nominalisti e realisti. Ed è una affermazione curiosa: dovrebbe citare per nome tutti i filosofi nominalisti e tutti i filosofi realisti: se soltanto gli individui esistono, parlare così in generale di “nominalisti” è una palese assurdità.
Sarei anche curioso di leggere un libro di storia scritto da Antiseri: immagino ad esempio il resoconto della Gold Rush, la corsa all’oro del 1849, quando 300000 persone raggiunsero la California. Tutte quante citate per nome e cognome, senza dimenticare chi in California già ci viveva, altrimenti si nega l’individuo.

L’appello di Antiseri alle libertà individuali è condividibile, tuttavia il suo negare qualsiasi realtà alle collettività si scontra, prima ancora che con la seria riflessione filosofica e sociale, con il buon senso: è impensabile comprendere la storia avendo in mente soltanto individui. Ed è anche impensabile concepire una libera scelta individuale senza una società che fornisca gli strumenti di questa libertà.

Citazioni

Gli ultimi tre capitoli non aggiungono praticamente nulla di nuovo, se non una lunga serie di citazioni. Leggendo si ha una sensazione che si potrebbe definire nausea da virgolette.
Come dice giustamente Umberto Eco, citando Emerson: «Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.»

7 commenti su “Fisiologia o patologia dell’Europa?

  1. Per quello che conosco Antiseri( ovvero: mister “laudato sit Carlus Popper, hora et in eternum” ) non penso che le parole andassero prese alla lettera: per un individualista metodologico le collettività esistono, e si può parlare sensatamente di esse. Ma bisogna essere cauti: una collettività è innanzitutto una stenografia, un nome breve, un po’ arbitrario e riassuntivo, per tutti i suoi membri. Come tale una collettività non “fa” e non “pensa”- al massimo “è” qualcosa, e in modo molto approssimativo.
    In seconda battuta la collettività è anche di più, e perfino “fa”: è l’intreccio delle azioni individuali, il sorgere di effetti involontari da azioni volontarie, il sorgere di norme spontanee. Tutto questo intreccio non è estraneo a istituzioni create dall’uomo, come le città, gli stati, gli enti di previdenza etc.
    C’è poi il sentimento dei singoli di appartenere ad un unico stato, un’unica religione, un’unica lingua etc. etc. La collettività in questo terzo senso più che un oggetto sono soprattuto un movente per l’azione degli individui.
    Ma questo “essere di più” noi possiamo capirlo solo se cominciamo dal basso, cioè pensiamo che gli individui sono i basamenti e il resto, lungi dall’essere fuffa o nuda nomina, ci poggia sopra. Se cominciamo alla rovescia( sarebbe pensare che è una cosa costruita dal tetto in giù ), cominciamo a vedere il nomen gloriosium “Occidente” come fosse qualcosa di tangibile, o la classe operaia come se fosse un unico enorme individuo senziente che viene a protestare con il ministro dell’economia.
    Ne vengono fuori cose strane…

    Comunque sono d’accordo con te: il parallelo tra nominalismo e individualismo, e tra realismo e collettismo non regge.
    Il realismo è una posizione ontologica( solo una? non è piuttosto una classificazione di comodo per diverse ontologie, come tu fai notare con la battuta? ), l’individualismo è una questione epistemologica.
    Certo, un nominalista sarà sempre anche individualista e un collettivista sarà realista, ma affermare il legame inverso è un erroraccio!
    Ed è l’erroraccio di Antiseri- io sospetto anche che l’unica ragione per cui difende il suo “relativismo” è che poi fonde questo con il “nominalismo”.
    In generale io posso dire che esiste la “società”, non dico la società in generale, ma p.e. la microsocietà di un ospedale, senza pensare che sia un macrorganismo che ingolla tutti gli individui.
    Ma che è, BLOB?
    ciao, eno! 🙂
    ( E come avrai capito sono un individualista metodologico… brutta razza… )

  2. Una domanda: non credi che popper, antiseri e gli altri liberali soffrano della mancanza di una vera antropologia? Com’è quest’uomo libero? Che rapporto ha con i desideri, con la sua ragione, con il suo contesto etc..

  3. ( Mi permetto di rispondere: vedasi von Mises, l’Azione umana, o Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith. Ma ce ne sono molti altri: il liberalismo nasce come teoria antropologica, e resta SEMPRE tale… è Antiseri ad essere solo un divulgatore. ciao! 🙂 )

  4. Sono d’accordo con eno. E’ che oggi si dimentica spesso che esiste una filosofia liberale e non solo un’ideologia del cittadino odierno per essere lasciato in pace. Locke parlava di legge di natura, in Smith c’è la teoria dei sentimenti morali, non parliamo di Kant e del suo uomo razionale…Oggi abbiamo solo la libertà da.
    jl

  5. Inizio con il discorso sull’antropologia liberale… non sono sicuro che il liberalismo nasca come antropologia, come sostiene eno. Sono comunque convinto che il liberalismo incorpori una seria analisi dell’uomo. Il concetto di libertà che sta alla base delle teorie liberali si accorda benissimo con i desideri, i sentimenti e il contesto sociale…

  6. Brevemente, qualcosa sul tema dell’individualismo e collettivismo (mi sa che prima o poi ci tornerò con un post).
    Credo che il senso della tua posizione sia racchiuso in quel innanzitutto una stenografia e in seconda battuta qualcosa di più.
    Sono sostanzialmente d’accordo, anche se il tuo individualismo metodologico mi sembra assumere una differenza molto forte tra ontologia e epistemologia, differenza che secondo me non c’è… e qui si ritorna sul tema dell’ontologia sociale!
    Credo comunque che tu abbia colto nel segno: Antiseri difende il relativismo perché lo può far confluire nel nominalismo e infine nell’individualismo a lui tanto caro.

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