Kurt Gödel; La prova matematica dell’esistenza di Dio; Bollati Boringhieri, 2006
Da Anselmo a Gödel
Il primo atto di questa lunga storia si situa intorno al 1077: in quegli anni il monaco benedettino Anselmo di Canterbury scrisse il Proslogion, “colloquio”, nel quale, per la prima volta, viene avanzata una dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio.
Nel precedente Monologion, “soliloquio”, Anselmo aveva proposto alcune argomentazioni a posteriori, ossia condotte a partire dall’esperienza; in quello che invece diventerà noto come argomento ontologico, invece, non vi sono presupposti esterni: tutto si basa sul semplice ragionamento.
Nel 1781, dopo sette secoli di discussioni che coinvolgono, per limitarsi ai principali, Gaunilone, Tommaso, Duns Scoto, Descartes e Leibniz, Kant sembra chiudere definitivamente la questione, scrivendo, con la Critica della ragion pura, l’atto conclusivo della storia dell’argomento ontologico.
Tuttavia già Hegel riapre la questione: le vicende della dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio continuano.
L’argomento in breve
Un concetto non può attraversare indenne i secoli, e così la dimostrazione di Anselmo non può essere la stessa di Leibniz o di Hegel, sia per il diverso contesto storico che per il diverso valore che tale argomentazione trova all’interno del discorso filosofico del singolo autore.
Vi è comunque una certa “aria di famiglia” in tutte queste argomentazioni, una sorta di nucleo invariante, che si può così riassumere:
Il concetto di Dio include, o implica, la sua esistenza; poiché il concetto di Dio esiste, esiste anche Dio.
La prova (teo)logica
Kurt Gödel, il famoso logico e matematico, si cimentò anche lui con il problema. Questo il suo contributo, con delle leggere modifiche nella notazione:
Breve spiegazione della prova (teo)logica
Il lavoro di Gödel è notevole, ma rischia di essere completamente incompreso da chi non è pratico di logica modale. Grazie agli ottimi apparati che offre l’edizione italiana della dimostrazione, a cura di Gabriele Lolli e Piergiorgio Odifreddi, è possibile tentare una breve spiegazione del teorema.
Gödel, innanzitutto, introduce il concetto di proprietà positiva. Introduce alla maniera dei logici matematici, ossia senza sbilanciarsi in una definizione o, peggio, descrizione di questo concetto: si limita a tratteggiarne alcune proprietà formali.
Il primo assioma stabilisce, ad esempio, che se due proprietà sono positive, allora lo è anche la loro unione. Intuitivamente, se essere azzurro è una proprietà positiva e lo è anche essere pesante, allora anche essere azzurro e pesante è una proprietà positiva.
Per il secondo assioma, o una proprietà è positiva oppure lo è il suo contrario, ma non lo possono essere entrambe.
Il terzo assioma prevede che, se una proprietà è positiva, allora essa è necessariamente positiva e, viceversa, se una proprietà non è positiva, allora non lo è necessariamente. Secondo la interpretazione standard della logica modale, un certo enunciato è necessario se esso è vero in tutti i mondi possibili, mentre è possibile se è vero solamente in alcuni di questi mondi. Ciò significa che, se in un qualsiasi mondo essere azzurro è proprietà positiva, allora lo è in tutti i mondi, incluso quello attuale.
Dopo le proprietà positive, Gödel può, con la prima definizione, introdurre il concetto di Dio come ciò che gode di tutte le proprietà positive.
In base ai due assiomi il concetto di Dio, o meglio di divino, è coerente ed è quindi possibile che Dio, o meglio che qualcosa di divino, esista. Occorre adesso dimostrare che queste esistenza è necessaria.
Gödel dedica le definizioni 2 e 3 ai concetti di essenza e di esistenza necessaria.
Con essenza di x Gödel intende una certa proprietà dalla quale necessariamente discendono tutte le altre proprietà di x.
L’esistenza necessaria è definita a partire dalla essenza: x esiste necessariamente se la sua essenza esiste necessariamente, ossia se in tutti i mondi possibili esistono individui che godono della proprietà essenziale di x.
Si tratta forse dei passaggi più difficili, soprattutto per chi non è abituato alle sottigliezze della logica matematica. Tuttavia essi costituiscono il punto centrale del ragionamento di Gödel: è infatti grazie a queste due definizioni che è possibile superare la critica kantiana all’argomento ontologico. Utilizzando i termini della logica, l’obiezione di Kant si può così esprimere: l’esistenza non è una proprietà ma un quantificatore, pertanto non è possibile dimostrare l’esistenza di un qualsiasi individuo a partire da qualche sua proprietà.
L’esistenza necessaria è invece, una proprietà rigorosamente definita. Inoltre, in base al quarto assioma, è una proprietà positiva.
È a questo punto semplice verificare, nel primo teorema, che la proprietà di essere divino è una proprietà positiva.
Si può adesso procedere alla dimostrazione vera e propria. Se Dio esiste, allora esiste necessariamente, essendo Dio una proprietà positiva. Quindi se è possibile che Dio esista, è allora possibile che Dio esista necessariamente, e se è possibile che Dio esista necessariamente, allora Dio esiste necessariamente.
La dimostrazione è valida unicamente se è possibile che Dio esista, ossia se è possibile combinare tra loro tutte le proprietà positive. Come nota Odifreddi (p. 92) ciò è vero per un universo finito, composto da un numero limitato di individui, ma può non essere vero se l’universo è infinito. Gödel è quindi costretto a introdurre un quinto assioma, il quale prevede che, se una certa proprietà è positiva e questa proprietà ne implica necessariamente una seconda, allora anche quest’ultima è positiva.
Le proprietà positive
Nel corso della dimostrazione, Gödel non dice quasi nulla sulle proprietà positive limitandosi, come si è detto, a stabilire alcune loro proprietà formali. Solo una breve nota spiega che «positivo significa positivo nel senso morale estetico (indipendentemente dalla struttura accidentale del mondo)».
Nei taccuini «Max-Phil» sono riportate alcune osservazioni che possono aiutare a comprendere meglio cosa siano queste proprietà positive.
In queste osservazioni le proprietà positive ricevono un connotato etico decisamente più marcato.
La prova ontologica deve basarsi sul concetto di valore (p migliore di ~p) e su [alcuni] assiomi. (pag. 68)
1. L’interpretazione di «proprietà positiva» come «buona» (cioè come una di valore positivo) è impossibile poiché il massimo vantaggio + il minimo svantaggio è negativo.
2. È possibile interpretare il positivo come perfettivo; cioè «puramente buono», tale quindi da non implicare alcuna negazione di «puramente buono». (pag. 70)
Con questa interpretazione di “positivo” come “puramente buono” Gödel si avvicina alla versione dell’argomento ontologico data da Leibniz. Tuttavia queste osservazioni, per quanto riguarda la dimostrazione vera e propria, sono inessenziali, ed è facile comprendere perché non ve ne sia traccia nell’esposizione definitiva: meglio limitarsi agli aspetti meramente formali.
Dio e il mondo
R. M. Adams e Roberto Magari, rispettivamente nell’introduzione e nella seconda appendice, analizzano nel dettaglio i vari passaggi della dimostrazione di Gödel evidenziando come, nonostante alcune ambiguità, egli sia riuscito nel suo intento: fornire una dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio.
Occorre tuttavia evidenziare che si tratta di un Dio immanente e non trascendente, si tratta cioè di un ente che esiste all’interno del mondo. Questo aspetto non costituisce evidentemente un problema per Gödel che, ricorda Lolli nell’introduzione (pag. 11), si definì «teista non panteista», tuttavia rende la dimostrazione sostanzialmente inutile per chi considera Dio un essere trascendente.
Un altro limite della dimostrazione è costituito dagli assiomi. Gödel ne introduce ben 5, e sono soprattutto gli ultimi due a suscitare qualche perplessità: si tratta infatti di assunzioni molti vicine alla tesi da dimostrare e, come nota Odifreddi (pag. 93), «non è difficile dimostrare un risultato assumendolo (quasi) come ipotesi».
In conclusione, una dimostrazione più interessante per logici e matematici che per teologi, e questo forse spiega la ritrosia di Gödel nel rendere pubblico il suo lavoro.
Davvero nel secondo assioma Gödel usava v come disgiunzione esclusiva, cioè come aut aut? Curioso! Di solito si usa nel senso di disgiunzione inclusiva, di vel…
Comunque sia, quello è un punto debole del sistema assiomatico perché- aut o vel- si afferma un principio del terzo escluso… Se dovesse valere non potrebbero esserci proprietà neutre quanto a positività o non positività.
Ma davvero blu o rosso sono positivi o negativi? E se la disgiunzione è esclusiva, davvero c’è un solo colore positivo e oltretutto necessariamente quello? e di che colore è Dio?
A meno di non porre delle restrizioni su quali proprietà entrano in gioco, l’assioma sarebbe falso per molte interpretazioni, e quindi il calcolo non sarebbe valido( in senso tecnico ).
Se non mi sbaglio…
ciao, Eno! 🙂
Sì, di solito v ha il senso di vel (questo o quello o anche tutti e due) e non di aut aut (o questo o quello, ma non tutti e due). Suppongo che, per brevità, abbia preferito aggiungere un “esclusiva” invece di una più complessa formalizzazione del tipo: (P v ~P) & ~(P & P) (non ho riletto).
Sulle proprietà neutre… Gödel usa una logica binaria, quindi suppongo che per lui l’affermazione “la vocale è azzurra” sia semplicemente falsa, e non insensata. Pertanto Dio può tranquillamente non avere colore in quanto le proprietà “non essere blu” “non essere azzurro” “non essere giallo” e così via sarebbero positive.
Aggiungo che la domanda “di che colore è Dio” può aprire nuovi orizzonti alla teologia contemporanea e, per quanto non sia un esperto in materia, credo non sia mai stata posta prima.
Io ci scriverei un bell’articolo per inaugurare la teologia cromatica. 😉
Gradirei mai nel caso di nuovi commenti
Dalla teosi matematica alla cromosi teologica… 😉
Io penso che la disgiunzione non possa che essere esclusiva dal momento che è o p o non p. L’assioma 2 è proprio la formulazione del terzo escluso!
Il principio del terzo escluso stabilisce che un qualsiasi predicato o è vero o è falso: o è vero che io mi chiamo Ivo oppure è falso che io mi chiamo Ivo. Applicato alle proprietà positive introdotto da Gödel, il principio del terzo escluso diventa: “o è vero che questa proprietà è positiva oppure è falso che questa proprietà è positiva”.
Il secondo assioma stabilisce una cosa un po’ diversa: “o questa proprietà è positiva oppure è positiva il suo contrario”.
Supponiamo di scoprire che la proprietà “essere blu” non sia positiva.
Con il principio del terzo escluso non vado molto lontano: “essere blu non è proprietà positiva”, quindi “essere blu” non è una proprietà positiva.
Con il secondo assioma invece un po’ di strada la faccio: stabilisco che “non essere blu” è una proprietà positiva. In definitiva, che Dio necessariamente non è blu.
Ma formulato in quel modo quello è il principio del terzo escluso, che poi, tra l’altro fa anche parte del calcolo modale che è usato per formalizzare l’argomento.
Che poi il principio del terzo escluso sia problematico, per esempio nei contesti intuizionistici e minimali, siamo tutti d’accordo, ma una volta accettati (dal momento che viene accettato il calcolo) non ci sono problemi. Il calcolo è un estensione di PIES5
Il problema fondamentale dell’argomento goedeliano credo che sia il passaggio dalla possibilità logica a quella reale. Quindi problemi che piu che riguardare la sfera sintattica riguardano quella semantica
PIES5? Ma allora sei un logico! Potevi anche dirlo subito, che mi risparmiavo gli esempi…
Premessa: non ho la minima idea di come si renda il principio del terzo escluso in PIES5. Immagino tuttavia che riguardi i predicati, non le proprietà, mentre il secondo assioma riguarda appunto le proprietà, stabilendo che o la proprietà phi è positiva oppure lo è la proprietà non-phi.
Il principio del terzo escluso in PIES5 si rende esattamente come nel calcolo dei predicati del primo ordine.
L’argomento di Godel è corretto, i problemi sono a livello semantico
La dimostrazione di Dio non è in quanto presente come somma di positivi o di qualsiasi altra forma, ma come assenza assoluta.
Nella logica cosmica, egli è ciò che manca, perciò non potrà mai essere concepito in qualsiasi formula e in nessuna forma.
La sua assenza assoluta è il principio fondamentale che genera continuamente le idee e le forme della sostanza, fisica e psichica, figlie del DESIDERIO di colmare il vuoto di senso nell’uomo, e la mancanza di equilibrio assoluto nella sostanza.
La sostanza, a partire dal desiderio dello stato d’animo, che riflette la domanda arcaica stessa della sostanza nella psiche, ricerca una forma IDEALE di equilibrio che pur essendo stata raggiunta in ogni strato, lascia aperta la domanda nel tempo poiché Dio esiste ma non è qui.
Due atomi si uniscono per colmare la mancanza di energia negli orbitali generando una nuova molecola, appagando il loro “Desiderio” di equilibrio locale, ma alla molecola rimane un “Desiderio”, o forza gravitazionale, che cerca ancora qualcosa.
@Filippo: Immagino che la concezione di Dio come assenza assoluta verrebbe accolta da molti atei e agnostici…
@Ivo Silvestro: Mazza! Pensavo che dopo tanto tempo non rispondesse più nessuno….
Non è che l’uomo non può capire nulla come affermano gli agnostici, e nemmeno può dire che Dio non esiste come per gli atei. Può solo capire entro suoi limiti razionali. Ma, quali sono i suoi limiti razionali? E Dio è compreso entro questi limiti?
In quanto uomo, cerco un senso della vita e intendo questo senso come risposta che mi soddisfi un vuoto il cui riempimento è percepito come piacere. Essendo questo senso che mi muove alla base, è con esso che tento di distinguere la via migliore. Distinzione significa non coincidenza e da qui ricaviamo che questo non è quello: gli opposti ad una scelta per noi.
I nostri discorsi razionali, quindi, vertono, più o meno consciamente, sempre su due oggetti contrapposti che, in ultima analisi, si riducono inscindibilmente al piacere e dolore, sentimenti che nell’analisi matematica rimangono inconsci, ma si rivelano nell’immagine di quella ricerca più o meno percorsa dall’ansia di un risposta. Il distaccamento emotivo assoluto è impossibile poiché non s’inaugurerebbe nemmeno la domanda.
Noi, per la nostra natura, non possiamo andare razionalmente oltre questi sistemi di valutazione, per cui arriviamo alla radice di tutto solo con quei concetti contrari.
Così intendiamo ogni cosa alla radice come equilibri relativi di contrari: protone positivo- elettrone negativo, 1 neutrone = 1 protone + 1 neutrone. La luce che annulla il buio, il bene che lotta contro il male, il piacere che lenisce il dolore. Ma, di là da questi equilibri, la domanda continua poiché nessun sistema giace isolato. Questi sono i nostri limiti razionali che terminano nell’incontro dell’irrazionalità delle emozioni potendole spiegare solo con se stesse.
La risposta a ogni nostra formulazione si riduce quindi a un oggetto che appaga quel senso e restituisce un piacere. La nostra domanda è se Dio esiste. Nel formulare la domanda esprimiamo il fatto che non troviamo qualcosa capace di appagare in assoluto il nostro senso, ma allo stesso tempo confermiamo involontariamente che stiamo cercando qualcosa di assoluto. Quindi l’unico modo di dimostrare l’esistenza di Dio consiste nell’assoluto che stiamo cercando.
La domanda razionale di assoluto richiede una risposta razionale di assoluto che in questo cosmo non c’è – ogni oggetto muta per questo – e il tentativo razionale potrebbe essere se non nel concetto di TUTTO che però entra in conflitto con INFINITO in quanto TUTTO non riusciamo a concepirlo FINITO se non contenuto e così all’infinito… quel qualcosa che manca a terminare il processo che però non termina.
E che non può essere in una forma razionalmente concepibile, poiché la sua forma è ridotta a quell’emozione che noi cerchiamo. Dio c’è perché lo cerchiamo come senso assoluto, ma non lo possiamo comprendere poiché non è un fatto logico, ma risiede nell’irrazionalità della domanda delle nostre emozioni.
Per definizione un Dio è ciò da cui tutto dipende, ossia ciò che non dipende da nulla, che ha potere su tutto. Nel nostro cosmo tutte le forme dipendono da altro. Il Dio non può essere rappresentato in nessuna somma di forme poiché tale somma continuerebbe a dipendere da altro. Il Dio, semmai, si manifesta nella funzione stessa di “dipendenza da altro”.