Illuminati

Solitamente, con il buio si può solo dormire: per tutto il resto, serve la luce. Per l’Illuminismo, questa luce tanto necessaria all’agire umano è la ragione.

Dopo oltre due secoli di storia e di filosofia, dopo Schopenhauer, Nietzsche e il romanticismo è lecito domandarsi cosa rimane di questa bizzarra idea della ragione come lume naturale grazie al quale avanzare e progredire. Per Umberto Eco (“Illuminismo e senso comune” in A passo di gambero; Milano, Bompiani, 2006), non è sicuramente possibile mantenere una concezione forte della ragione: l’eredità dell’Illuminismo che possiamo e dobbiamo accogliere è al contrario la ragionevolezza della ragione, il buon senso che invita, con linguaggio poco filosofico ma molto chiaro, a tenere i piedi per terra.
Il buon senso al quale ognuno dovrebbe dare retta suggerisce che le cose vanno in una certa maniera, anche se si ignora quale sia, questa certa maniera. Le cose ci sono e, almeno su alcune questioni minimali di banale osservazione, vale la pena discutere a partire da questo fatto.

Le cose ci sono e così anche i fatti, dal momento che è l’esistenza delle cose è un fatto. Il problema è vedere se questi fatti sono abbastanza solidi e abbastanza numerosi per costruirci sopra l’Illuminismo, per quanto minimale si sia disposti ad accettarlo.
Perché se l’affermazione “non esistono fatti ma solo interpretazioni” è esagerata e falsa, rimane comunque vero che il mondo è pieno di interpretazioni e, soprattutto, che buona parte di quello che diciamo è interpretazione.
Quelli che chiamiamo fatti sono un residuo della discussione, una sorta di precipitato delle domande e delle risposte; in altre parole: che oggi un asserto sia un fatto non dubitato non significa che in generale non sia dubitabile o che un domani non sia messo effettivamente in dubbio o considerato del tutto falso.

L’appello alla ragionevolezza e, soprattutto, all’autentico dialogo rimane comunque valido e, forse, urgente.

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