La giornata della memoria. Ma quale memoria?

Il 27 gennaio è, da alcuni anni a questa parte, la giornata della memoria. Una giornata dedicata al ricordo, all’inquietante e insopportabile ricordo dell’Olocausto.
Perché una giornata del ricordo? Quale tipo di ricordo si vuole celebrare con una giornata come questa?

Ricordare è riportare al presente qualcosa che appartiene al passato. Ricordare è un lavoro temporale: rendere presente qualcosa che non è più ora. Un eccesso di ricordo può portare alla paralisi del presente, all’incapacità di andare avanti, alla impossibilità di ogni futuro. Un difetto di ricordo, invece, rischia di rendere l’uomo cieco, di trasformare il presente e il futuro in eventi privi di significato.
Io credo che l’uomo sia naturalmente portato all’eccesso di ricordo. Vi sono esperienze che monopolizzano la memoria, che occupano con la loro ingombrante mole il presente, impedendo qualsiasi evoluzione futura. In questi casi, è necessario un lavoro di contenimento, è necessario riuscire a confinare quella esperienza nel passato, affinché ci aiuti a leggere il futuro, non a distruggerlo.

L’Olocausto, questo terribile evento, è indubbiamente un ricordo di questo tipo: la sua incommensurabile crudeltà rischia di monopolizzare la memoria, di trasformarsi in un incubo angosciante e non in chiave di lettura. Il vero problema, per il sopravvissuto alle persecuzioni e ai campi di sterminio, non è di ricordare, ma di dimenticare. E questo non solo per i sopravvissuti, ma per tutti: chiunque conosca la storia e visiti un campo di sterminio rischia di rimanere soffocato dall’orrore.

Il 27 gennaio è quindi una giornata inutile o forse addirittura pericolosa?
Assolutamente no. Perché a dover ricordare non sono gli individui singolarmente presi, bensì la comunità. Se l’uomo è naturalmente portato all’eccesso di memoria, la società tende invece al difetto di memoria.
La memoria collettiva non è la semplice somma delle memorie dei singoli, e quindi un evento può essere, contemporaneamente, fin troppo presente nei ricordi delle persone, ma quasi del tutto dimenticato dalla comunità.
Il ricordo dell’Olocausto rischia appunto di avere questa doppia e paradossale conseguenza: schiacciare il singolo e insieme non riuscire a svegliare la società, che rischia di non riuscire a leggere il presente e, fatto ancora più grave, il futuro.

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