Ivo Silvestro

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Io ho un po’ di problemi con l’oratoria libertaria.
Capisco – o almeno credo di capire, perché non mi sono mai dedicato seriamente al tema – il ragionamento complessivo, lo Stato come imposizione e sopruso, l’intervento statale come intromissione e limitazione dell’autonomia individuale eccetera. Le mie difficoltà riguardano i discorsi con cui queste teorie vengono presentate, discorsi che mi sembrano sempre deboli e poco convincenti, addirittura meno convincenti della semplice enunciazione della tesi.

Prendiamo la questione dei tributi, insomma le tasse, immancabilmente – e tautologicamente, se si assume l’illegittimità dello Stato – assimilate al furto.
Contro l’ineluttabile accettazione che molte persone hanno nei confronti delle tasse, mi imbatto1 nel seguente ragionamento:

Se qualche volta vi è capitato di mettere piede in un asilo infantile o in un parco giochi dove stiano giocando dei bambini, allora avrete sicuramente realizzato che, sebbene i bambini siano troppo piccoli per capire troppe cose, hanno già sviluppato un sorprendente senso della giustizia.

A me è capitato, e anche più volte, di metter piede in un asilo infantile o in un parco giochi. Penso che la prima cosa che un adulto noti non sia il senso di giustizia, ma la baraonda.
Comunque, al di là di quello che un normale adulto può osservare, ci sono studi scientifici sul senso di giustizia dei neonati; io mi ricordo quelli citati in Nati per credere di Telmo Pievani, Vittorio Girotto e Giorgio Vallortigara. Riferirsi a questi studi sarebbe forse stato più corretto, ma il riferimento a cosa conosciute e quotidiane come un parco giochi rendono sicuramente più convincente il ragionamento. Non è certo questo il problema che ho con l’oratoria libertaria.
Il testo, infatti, prosegue:

Provate a portar via un gioco a un bimbo, talmente piccolo da non essere nemmeno capace di parlare, e solleciterete sicuramente una chiara e vibrata protesta. Per come concepisce il fatto il bimbo, tu gli hai rubato il suo giocattolo, tu hai esercitato violenza, e quindi scatenerai il suo pianto. Magari il suo ragionamento non sarà così sofisticato, ma questo è il senso.

Qui mi viene il dubbio che a non essere mai stato insieme a dei bambini sia l’autore di questo testo. È vero, i bambini si lamentano con veemenza se qualcuno prova a portargli via un gioco e, più in generale, un qualsiasi oggetto con cui loro vogliono giocare – inclusi coltelli, accendini, taniche di benzina, bombe a mano e altri oggetti che penso anche un libertario toglierebbe dalle adorabili sgrinfie di un bambino.
Però è anche vero che quello stesso bambino che strilla se qualcuno gli toglie il camioncino dei pompieri, difficilmente esiterà a prendere a un altro bambino quello stesso giocattolo. Il concetto di proprietà che hanno i bambini – ammesso che si possa parlare di un concetto di proprietà – è insomma molto diverso da quello che ha in mente l’autore del testo.
E il problema, mi sembra, è proprio qui: si pensa a un concetto semplice e primitivo di proprietà, senza rendersi conto di quanto complicato e stratificato possa essere questo concetto, quanto sia diverso possedere un giocattolo dal possedere una macchina, un terreno o un’azienda.

Non penso che questo sia un problema per la teoria che vede nello Stato un violento e illegittimo usurpatore; temo però che sia un problema per molta oratoria che si muove in questa direzione.

  1. Mi imbatto nel senso che qualcuno ha segnalato un articolo che ho messo tra le cose da leggere, dimenticandomi completamente l’autore della segnalazione []

Editor's Pick

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  1. broncobilly 25 Aprile 2012 at 09:00

    Per dissipare questo genere di dubbi l’ autore più indicato è lo Steve Landsburg di Fair Play: non è l’ asilo ma il cortile a fornire lezioni di vita! Qui un assaggio.

    http://fahreunblog.wordpress.com/2012/03/12/lezioni-dal-cortile/

  2. Yoshi 25 Aprile 2012 at 09:21

    Capisco il post perché l’esempio non è dei migliori.
    Però aggrapparsi a un esempio non corretto per demolire il concetto libertarian di proprietà… 🙂

    “si pensa a un concetto semplice e primitivo di proprietà, senza rendersi conto di quanto complicato e stratificato possa essere questo concetto, quanto sia diverso possedere un giocattolo dal possedere una macchina, un terreno o un’azienda.”

    In realtà il concetto di proprietà è molto dibattuto in ambito libertarian, anche per il semplice fatto che è uno dei cardini di quel pensiero.
    Per esempio alcuni libertari riconoscono la proprietà intellettuale come proprietà, altri invece no e altri non sanno bene cosa pensare, come il sottoscritto 🙂
    http://libertarianation.org/2012/02/29/proprieta-o-no/

  3. Ivo Silvestro 25 Aprile 2012 at 10:25

    @broncobilly: Era quello che temevo mentre scrivevo l’articolo: consigli su altre letture da fare! Troppo testi da leggere, e adesso con Steve Landsburg la pila di cose che vorrei leggere ma non riesco è adesso un po’ più lunga di prima…

    @Yoshi:

    Però aggrapparsi a un esempio non corretto per demolire il concetto libertarian di proprietà.

    Mai voluto demolire il concetto libertaria di proprietà, almeno per adesso.
    È solo con l’oratoria – e nota il ricorso a questo termine un po’ desueto, scelto perché retorica può avere una accezione negative che ho voluto evitare – o meglio con certa oratoria che me la prendo.
    È la confusione concettuale che mi dà problemi.
    Tra l’altro, le difficoltà col concetto di proprietà non riguardano solo la proprietà intellettuale…

  4. alex 25 Aprile 2012 at 11:47

    io invece credo che il concetto di proprietà di un libertariano sia proprio quello: “è tutto mio, anche quello che hanno altri bambini”.

  5. lector 25 Aprile 2012 at 14:27

    L’esempio significato da Ivo, è infatti piuttosto infelice.
    Da neocontrattualista sono comunque piuttosto scettico sulle formule suggerite dai Libertarians per risolvere gli indubbi problemi creati dall’eccessiva ingerenza dello Stato nella vita di ciascuno. A mio modestissimo avviso, lo Stato ha una sua precisa e irrinunciabile funzione, rappresentando peraltro una sicura evoluzione nel percorso della socialità umana. Esiste, tuttavia, una continua tensione tra la sfera dell’individuale e quella del sociale, dove l’equilibrio si perde e ritrova incessantemente.

  6. Ivo Silvestro 26 Aprile 2012 at 11:31

    @alex: non fare il trol attaccabrighe! 🙂

    @lector: mi piacerebbe approfondire il discorso sul neocontrattualismo, che mi pare interessante e forse più fecondo dell’approccio “no allo Stato”.

  7. lector 26 Aprile 2012 at 13:32

    @–>Ivo
    Quando vuoi, con molto piacere.
    Volevo andar oltre, ma poi mi sono fermato per timore di uscire dal treat (me lo hai rimproverato in varie occasioni).
    Infatti, se noti, l’intervento è monco.

  8. Ivo Silvestro 26 Aprile 2012 at 14:30

    @lector: touché. Non sono mai contento: se qualcuno divaga lo redarguisco perché non resta sul tema, se accenna un altro tema gli chiedo di approfondire… Facciamo così, prima o poi – spero prima che poi – butto giù qualcosa di vagamente sensato sul tema, e ti lascio carta bianche per intervenire.

  9. il più Cattivo 26 Aprile 2012 at 15:03

    Se il succo di tutta la vicenda è che la proprietà è il bene (o addirittura il fine) …. già mi annoio.
    Inoltre, ameno io, non mi considero nè primordiale nè un bambino.
    Sull’essenza degli istinti e sulla loro corrispondenza a qualcosa di significativo direi che c’è più da imparare da altri autori che ovviamente non citerò rispetto ai libertarians. Certo che utilizzare l’osservazione polarizzata e preconcetta per giustificare le proprie tesi è veramente triste, fa assomigliare i libertarians ad esponenti di una qualsivoglia religione costringendomi poi a dover dare ragione ad Alex.
    Un Sorriso

  10. lector 26 Aprile 2012 at 20:59

    @–>Ivo
    Ok. Ti ringrazio e attendo.

  11. Ivo Silvestro 28 Aprile 2012 at 23:02

    @il più cattivo: Non bisognerebbe confondere le tesi libertarie con le a volte manchevoli esposizioni… Comunque cogli un punto importantissimo, che giusto per darmi un po’ di arie, chiamerò fallacia naturalistica: il fatto che un comportamento risulti naturale – ad esempio perché diffusi nei bambini – non significa che per questo sia anche giusto.

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