A New York la borsa apre alle nove di mattina, che sono le tre del pomeriggio in Italia. I momenti migliori per chiamare un amico in Australia sono la mattina presto, prima che lui vada a dormire, e la sera tardi, quando si dovrebbe essere già alzato.
Queste affermazioni suonano quasi assurde, nella loro banalità: non c’è alcun mistero nei meccanismi dei fusi orari, non c’è nulla di insolito nel fatto che se a Berlino sono le due, a Londra sono le tre e ad Atene le quattro.
Infatti nessuno si mette a dare spiegazioni in proposito: i giornali non scrivono nulla sui cambiamenti d’orario, quando annunciano che vi è stata una telefonata tra un certo politico europeo e un altro politico americano; lo stesso avviene nei romanzi o nei film.
Se gli spostamenti tra est e ovest non racchiudono stranezze, lo stesso non si può dire di quelli tra nord e sud. Il fatto che l’estate boreale corrisponda all’inverno australe non è così scontato. Per un europeo, la primavera inizia il 21 marzo e finisce il 20 giugno senza bisogno di specificare il luogo. Infatti i giornalisti ricordano questo spostamento ai lettori, quando danno qualche notizia climatica relativa all’Australia o all’America del Sud.
Il senso comune ha evidentemente relativizzato il giorno e la notte, ma curiosamente non l’estate e l’inverno. Forse perché i cambiamenti di orario sono un’esperienza più frequente, oppure perché le stagioni sono qualità ambientali globali e non locali.
Oppure perché siamo talmente fieri di abitare al nord che non pensiamo mai al fatto che ci sono luoghi dove, per trovare fresco, occorre migrare a sud mentre per il caldo ci si sposta a nord.