Agosto 1942, il Consiglio federale svizzero decise, tramite un decreto, di eseguire un maggior numero di rinvii di profughi civili stranieri: in altre parole, di chiudere le frontiere a chi cercava rifugio in Svizzera, anche se in pericolo di morte.
Particolarmente significativa la testimonianza di Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz che nel dicembre del 43 tentò di passare il confine:
All’alba del 7 dicembre passammo il confine e ci sembrava impossibile avercela fatta e quando fummo al di là su questa cava di sassi, guardavamo la montagna ed eravamo felici, ci abbracciavamo, io, mio padre e due cugini che si erano uniti a noi. Ma la sentinella che ci prese in custodia in quel boschetto, ci accompagnò al comando di polizia del paese più vicino del Canton Ticino (esiste ancora adesso e si chiama Arzo), e dopo una lunga attesa dentro il comando, senza un bicchiere d’acqua, senza una parola da parte di nessuno, ci ricevette nel suo ufficio un ufficiale svizzero e ci disse, con disprezzo: “Ebrei impostori, non è vero che succede tutto quello che accade in Italia, in Svizzera non c’è posto per voi” e ci rimandò indietro con le guardie armate che ci scortavano.
Lecito, e doveroso, chiedersi che cosa sapeva la Svizzera quando, nel ’42, prese quella decisione.
È di questi giorni la notizia, peraltro non proprio inaspettata, che già in quell’anno sapeva dello sterminio degli ebrei. «Si può dimostrare che dal maggio 1942 informazioni relative all’uccisione di ebrei sono giunte fino a Berna», ha detto il direttore dei Documenti diplomatici svizzeri Sacha Zala.
Il dossier “La Svizzera, i rifugiati e la Shoah” raccoglie la documentazione, anche fotografica, e non lascia indifferenti. Ad esempio questa foto era stata inviata dall’ambasciata di Colonia il 14 maggio del 1942:
“La Svizzera sapeva già nel 1942” è un po’ il titolo ricorrente di questa notizia.
Un titolo semplice che nasconde alcune insidie filosofiche non da poco: come fa una nazione a conoscere? Uno Stato o un governo sono istituzioni complesse, assimilabili fino a un certo punto a persone.
Da notare che la citazione di Zala è in effetti più prudente: “informazioni relative all’uccisione di ebrei sono giunte fino a Berna”. Non sono in grado di quantificare la quantità di informazioni che arriva ogni giorno a un governo, ma immagino che sia moltissima e che lo fosse anche nel 1942, nonostante non esistessero le email. Un documento sepolto insieme ad altri mille in un cassetto della sede distaccata di una divisione di una sezione del dipartimento degli esteri non basta certo per dire “il governo sapeva”.
Sembra comunque che il consigliere federale responsabile fosse stato informato.
Rimane il quesito filosofico: quando si può affermare che un governo è a conoscenza una tale informazione? Quando ne sono a conoscenza i ministri? Difficile da sostenere: per fare un esempio, immagino che nessun ministro della cultura di una qualsiasi nazione conosca a memoria il numero di biblioteche pubbliche presenti nel Paese, eppure non si può per questo sostenere che lo Stato non sappia quante sono le biblioteche pubbliche. Diverso il caso se nessun funzionario del governo è in grado di comunicare quel dato al ministro, oppure se quel funzionario esiste, ma nessuno sa chi sia. In entrambi i casi si può affermare che lo Stato non dispone di quella informazione.
Poco cambia, peraltro, dal punto di vista della responsabilità: questa credo dipenda più che altro dalla possibilità di sapere. Ecco, forse invece di “La Svizzera sapeva” sarebbe stato più corretto, e più a effetto, “La Svizzera non ha voluto sapere”.
Sempre a proposito della responsabilità: in che misura le autorità e i cittadini svizzeri di oggi – pochissimi dei quali erano nati o comunque capaci di intendere e di volere negli anni Quaranta – sono responsabili?
Io mi sento in parte in colpa, ma non so spiegare perché.
Voi filosofi ce l’avete nel sangue la mania di complicare tutto. 🙂
E’ evidente che in Svizzera, come già in Austria e tra i Sudeti, c’erano tante persone che avevano in simpatia il nazismo e le sue idee. Con molta probabilità, assai più di quello che oggi si vorrebbe far credere.
Se le informazioni di cui parli sono state filtrate da quelle persone (e credo che si trattasse d’una eventualità più che probabile) di certo l’opinione pubblica non avrebbe mai potuto esserne messa al corrente, a prescindere da come poi l’avrebbe presa.
…alcuni dei tuoi neutrali e civili compatrioti si preparavano a zufolare “heil massenzio”, tutto qui – su con la vita… 🙂
@lector: Sì, noi filosofi complichiamo tutto. Poi in realtà qui c’è poco da complicare: la situazione è abbastanza chiara, e la mia è solo una riflessione “a latere”.
Sicuramente la società era piena di antisemiti più o meno espliciti (come del resto accade anche adesso). Ciò non toglie che si poteva sapere e quindi che si è voluto non sapere.
@ricco&spietato: Già, tutto qui…
@–>Ivo
Ciò che dovevo sottolineare meglio era il seguente inciso: con molta probabilità, assai più di quello che oggi si vorrebbe far credere.
E aggiungere: … e a cui conviene a tanti credere.
C’est l’argent qui fait la guerre, mon ami.
@lector: Il denaro sicuramente. Ma non sottovaluterei quelli che la guerra la fanno anche solo per passione…