Il rito di vivere

Il termine rito è solitamente usato in riferimento a una cerimonia religiosa (il rito della comunione, il rito del battesimo e così via) o comunque ad un evento sacro, legato al divino: il rito serve essenzialmente per propiziarsi gli dei evitando così le sciagure. In questo senso, il rito per eccellenza è il sacrificio, sia esso cruento o meno.
Ma con rito di intende spesso semplicemente alludere ad una consuetudine o prassi abituale e avvertita come inderogabile, senza riferimenti al sacro: ad esempio, il discorso del Presidente della Repubblica a Capodanno è indubbiamente un rito.
La differenza tra questi due significati sembra essere il contesto: il rito sacro allude ad un significato che supera l’azione umana, il rito laico, se così si può definire, termina invece in se stesso, non sembra indicare altro.

Tuttavia, in un’ottica più generale, si potrebbe definire rito ogni prassi o consuetudine, non solo quelle considerate irrinunciabili. In questo senso tutta la nostra vita è dominata dai riti: dall’alba al tramonto, dallo svegliarsi al mattino al coricarsi la sera, sempre gli stessi gesti sempre nello stesso ordine; solo minime trasgressioni possono essere tollerate, altrimenti si incorre in sciagure immane come arrivare tardi o restare di cattivo umore tutto il giorno.

L’uomo è un animale cerimoniale: ha bisogno del rito, e il rito pervade ogni agire umano. Tenendo conto di ciò, viene da chiedersi: è giusto quanto scritto poco fa, sulla mancanza di sacro nei riti laici? Oppure vi è del sacro ovunque, in ogni rito e quindi in ogni gesto.
Se sacro è il gesto che supera se stesso, la risposta sembra essere affermativa.

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