Ciò che è familiare

Ciò che da lungo tempo non ha subito mutamenti sembra infatti immutabile. Da ogni parte incontriamo cose troppo ovvie perché ci si preoccupi di notarle. Quelle esperienze che gli uomini fanno tra loro, appaiono loo come le sole naturali all’uomo. Il bambino che cresce in un mondo di vecchi impara a vivere come i vecchi; impara le cose così come le vede andare. E se uno è abbastanza audace da desiderare qualcosa di diverso, troverà eccezionale il proprio desiderio. Anche se arrivasse a riconoscere che il destino riserbatogli dalla “provvidenza” in realtà è quello che gli impone la società, quest’enorme agglomerato di esseri consimili – quasi un tutto più grande della somma delle sue parti – gli sembrerà una cosa che a lui non è dato influenzare, gli parrà familiare, e chi diffida di ciò che che gli è familiare? Perché tutti questi fatti “naturali” giungano ad apparirgli come l’ “occhio estraneo” con cui il grande Galilei osservò la lampada oscillante. Costui guardò con meraviglia le oscillazioi, come se così non le avesse previste e proprio non le capisse; e in tal modo poté poi scroprirne le leggi. È questo sguardo arduo e fecondo che il teatro deve provocre con le sue immagini della convivenza umana. Esso deve meravigliare il suo pubblico; e a tanto può giungere mediante una tecnica che stranii ciò che è familiare.

Bertolt Brecht, Breviario di estetica teatrale (1948) in Scritti teatrali II, Torino, Einaudi, 1975