Verità plausibili

Carlo Cellucci, La filosofia della matematica del NovecentoCarlo Cellucci, nel suo La filosofia della matematica del Novecento (Laterza, 2007), oltre a tracciare un impietoso ritratto delle riflessioni di Frege, Hilbert, Brouwer e delle altre correnti filosofiche del XX secolo, espone brevemente il programma di una filosofia della matematica futura e, soprattutto, matura.

L’idea forte di Cellucci è: la filosofia che si occupa di chiarire ciò che già sappiamo è irrilevante, per essere rilevante deve contribuire al progresso della conoscenza. Occorre quindi lasciar perdere il problema dei fondamenti, e concentrarsi sulla scoperta: la matematica non è dimostrazione di teoremi, ma soluzione di problemi.

In questo ragionamento ci sono alcuni presupposti che Cellucci, evidentemente, considera pacifici. È davvero irrilevante chiarire le nostre conoscenze? Perché la filosofia della matematica dovrebbe essere rilevante nell’accezione di Cellucci, ossia contribuire al progresso della conoscenza? Dopotutto sono numerose le attività umane che, da questo punto di vista, sono irrilevanti.
La matematica è soluzione di problemi, d’accordo, ma non è detto che la scoperta di queste soluzioni possa essere oggetto di analisi interessanti e proficue.

La filosofia della matematica di domani dovrà riconoscere e accettare alcune caratteristiche della matematica in passato negate:

La matematica è un prodotto dell’evoluzione, perché si basa su capacità che sono il prodotto dell’evoluzione.
(p. 51)

D’accordo. Ma, ancora una volta, non è detto che dallo studio dell’evoluzione venga fuori qualche conoscenza rilevante. Inoltre, le teorie evoluzioniste fanno uso della matematica (la genetica delle popolazioni) e questo, anche se Cellucci non ha proposito fondazionisti, è comunque curioso.

La matematica non è un insieme di verità, né tanto meno di verità assolutamente certe. È solo un insieme di proposizioni plausibili, cioè compatibili con i dati esistenti. […]
Dal punto di vista della certezza, la matematica è soggetta a quella stessa aleatorietà che è propria di tutti i prodotti umani.
(p. 155)

Proposizioni plausibili, non verità, dunque. Affermare che il teorema di Pitagora non è vero ma solo plausibile, ossia compatibile con i dati esistenti (quali?), non sembra essere un contributo al progresso della conoscenza. Sembra anzi una stravaganza da filosofi.
Occorrerebbe forse chiarire meglio i concetti di certezza, plausibilità e verità.

2 commenti su “Verità plausibili

  1. Non posso trattenermi dal commentare alcune affermazioni che, credo, dipendono più da una solo parziale comprensione della prospettiva di Cellucci, che non da reale divergenza.
    1. Anzitutto, per Cellucci (e, prima che per lui, per tutta la concezione euristica, a cominciare dallo stesso Platone) non solamente la matematica, ma la conoscenza tutta (ivi compresa, in essa, la conoscenza matemtica) non è giustificazione ma, essenzialmente, scoperta: come citi tu (senza spiegare), “soluzione di problemi” e non “dimostrazione di teoremi”: il che significa, in sostanza, che la conoscenza abbia un fine pratico, non sia mero contemplare, attività fine a se stessa, come voleva, ad es, Aristotele.
    Solo una volta chiarito questo punto, risulta più chiaro il fatto che la matematica non debba occuparsi tanto di giustificare, di dimostrare appunto, le proprie conoscenze già acquisite (in opposizione alla concezione fondazionalista), quanto, piuttosto, di formulare ipotesi feconde volte alla soluzione di problemi PRATICI. Scoperta, non giustificazione di conoscenze.
    Il che non significa affatto, come tu dici, che sia irrilevante la fase giustificativa: anzitutto, la fase della giustificazione non può essere separata da quella della scoperta; di più: il processo mediante cui vengono formulate ipotesi per la soluzione di problemi (il processo della scoperta, appunto)comprende esso stesso, intrinsecamente, la fase della giustificazione: di ogni ipotesi che viene formulata bisogna verificare la plausibilità, cioè che sia compatibile con i dati esistenti: bisogna, quindi, GIUSTIFICARLA. Solo nella misura in cui l’ipotesi risulta plausibile, essa potrà essere utilizzata nella soluzione del problema.
    2. Tu affermi che “non è detto che la scoperta di queste soluzioni possa essere oggetto di analisi interessanti e proficue”: se non può essere considerata irrilevante la fase della giustificazione, a maggior ragione non può esserlo quella della scoperta, che include la prima: l’importanza del metodo analitico (quello mediante cui è possibile formulare ipotesi) è proprio quella di sviluppare, di accrescere le nostre conoscenze! Come si può dire che il metodo per accrescere la conoscenza non sia “oggetto di analisi interessanti e proficue”?
    3. E’ vero, “non è detto che dallo studio dell’evoluzione venga fuori qualche conoscenza rilevante”, ma questa affermazione non fa che confermare quanto dicevamo prima: il dire “dallo studio dell’evoluzione viene fuori qualche conoscenza rilevante”, infatti, è essa stessa conoscenza. Poiché la conoscenza non è mai certa, vera, ma solamente plausibile, non potremo mai essere sicuri di tale affermazione. E questo, come vedi, non fa che sostenere la concezione della conoscenza secondo cui essa sia formulazione di ipotesi (che, per loro natura, non sono mai certe).
    4. “Affermare che il teorema di Pitagora non è vero ma solo plausibile, ossia compatibile con i dati esistenti (quali?), non sembra essere un contributo al progresso della conoscenza. Sembra anzi una stravaganza da filosofi”: la conoscenza progredisce mettendosi in discussione: ogni ipotesi costituisce, a propria volta, un problema e, come tale, va risolto. Solo così è possibile acquisire nuove conoscenze. Quindi non soltanto affermare la plausibilità del teorema di Pitagora E’ un contributo al progresso della conoscenza ma, di più: è il limitarsi a giustificarlo, a garantirgli validità universale, a non costituire un contributo al progresso della conoscenza!
    NB “compatibilità con i dati esistenti”: nulla vieta che, un domani, si scopra un particolare tipo di triangolo per il quale il teorema di Pitagora non vale. Esso è valido solamente sulla base delle conoscenze matematiche attuali, ESISTENTI (proprietà dei triangoli, tipi di triangoli etc).
    5. “Occorrerebbe forse chiarire meglio i concetti di certezza, plausibilità e verità”: nel testo “Filosofia e conoscenza”, Cellucci dedica un’intera sezione a confutare quelle che vengono comunemente considerate caratteristiche della conoscenza (che definisce “chimere”), tra cui, appunto, verità e certezza; e a dimostrare come, piuttosto, in riferimento alla conoscenza, si debba parlare di plausibilità ed incertezza.

    Sono disponibilissima ad eventuali obiezioni o chiarimenti, magari ho frainteso le tue affermazioni.
    Ciao!

  2. Non posso trattenermi dal commentare alcune affermazioni che, credo, dipendono più da una solo parziale comprensione della prospettiva di Cellucci, che non da reale divergenza.

    Io sarei anche più drastico: non c’è una comprensione solo parziale, ma proprio una non comprensione del pensiero di Cellucci. Ho letto solo il saggio citato, e non altri testi nei quali le idee qui sommariamente (e un po’ dogmaticamente) presentata vengono sicuramente discussi e approfonditi.

    Sul primo punto, sono sostanzialmente d’accordo con quello che scrivi e, a questo punto, immagino anche con quello che Cellucci ha (altrove) scritto.

    Sul secondo punto temo di essere stato frainteso. Nel libro si dice che la filosofia della matematica deve contribuire al progresso della conoscenza, e non è detto che lo studio del metodo analitico lo sia: non è detto che studiando il metodo analitico (che mi ricorda le abduzioni di Peirce, ma la cosa andrebbe approfondita) un matematico riesca a scoprire meglio e di più. La formulazione di ipotesi può essere benissimo un momento quasi artistico, di illuminazione divina eccetera. Non è detto che lo sia, ma neppure che non lo sia, e il tema andrebbe almeno affrontato.

    Il terzo punto non l’ho ben capito, ma non vedo un particolare disaccordo.

    Sul quarto punto ci sarebbe molto da scrivere: è semplicemente impossibile imbattersi in un triangolo per il quale non valga il teorema di Pitagora. Ci si può imbattere (e ci si è storicamente già imbattuti) in spazi nei quali ci sono oggetti che possiamo chiamare triangoli per i quali non vale il teorema di Pitagora, il che è molto diverso. Ed è appunto questo il nocciolo del problema: non è che, siccome non si possono prevedere le future scoperte della matematica, tutto è possibile.

    Infine, due parole du 5: questo mio testo è una sorta di recensione, e una recensione deve, per forza di cose, limitarsi al testo recensito, non può estendersi ad altri scritti. In questo libro Cellucci è stato poco chiaro.
    Prima o poi leggerò Filosofia e conoscenza e anche il suo Filosofia e matematica.

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