Venticinque centesimi per Wilt Chamberlain

Corrado Del Bò, I diritti sulle cose

Supponiamo che all’interno di una società le risorse siano distribuite in un certo modo e che questa distribuzione, che chiameremo D1, sia considerata giusta, per esempio perché tutti possiedono la stessa quota di risorse oppure perché tutti ne possiedono in proporzione a una certa variabile ritenuta moralmente rilevante.
Supponiamo anche che le persone amino il basket e siano disposte a spendere parte della propria quota di risorse pur di vedere giocare un campione come Wilt Chamberlain. Supponiamo poi che Chamberlain stipuli un contratto in base al quale gli spettano venticinque centesimi del biglietto d’ingresso delle partite casalinghe della squadra in cui gioca, cosicché ogni spettatore verserà a Chamberlain venticinque centesimi per ogni partita che va a vedere; e aggiungiamo l’ulteriore assunzione che gli spettatori sono consci del fatto che venticinque centesimi vanno al campione.
Ora, ipotizzando che nel corso della stagione un milione di persone vada a vedere giocare Chamberlain pagandogli ogni volta venticinque centesimi, a fine anno egli avrà guadagnato 250’000 dollari e la distribuzione D1 si sarà trasformata della distribuzione D2, in cui (a parità di tutte le altre condizioni) Chamberlain avrà molte più risorse di ogni altro membro di quella società.
Come ovviare a questa sperequazione e salvare lo schema, cioè la distribuzione D1? Evidentemente in uno di questi due modi: o impedendo alle persone di dare ogni volta venticinque centesimi a Chamberlain, oppure attuando ridistribuzioni periodiche che restituiscano alle persone quel che hanno dato a Chamberlain. In entrambi i casi però si deve ammettere che si finirà per interferire continuamente con le scelte delle persone.

Corrado Del Bò, I diritti sulle cose. Teorie della giustizia e validità dei titoli, Carocci, 2008 (p. 35)

In questo interessante libro non c’è, ovviamente, solo l’argomento di Wilt Chamberlain (presentato da Robert Nozick in Anarchia, Stato e Utopia). Eppure credo che, in un certo senso, esso sia la pietra angolare del saggio, tutto dedicato alla giustizia distributiva e alla validità dei titoli.

Cosa significa dire “Questo è mio”? Cosa ho fatto per per poter affermare questa cosa?

12 commenti su “Venticinque centesimi per Wilt Chamberlain

  1. Supponiamo che all’interno di una società le risorse siano distribuite in un certo modo e che questa distribuzione, che chiameremo D1, sia considerata giusta, … perché tutti ne possiedono in proporzione a una certa variabile ritenuta moralmente rilevante. … Chamberlain avrà molte più risorse di ogni altro membro di quella società. Come ovviare a questa sperequazione e salvare lo schema, cioè la distribuzione D1? Evidentemente in uno di questi due modi: o impedendo alle persone di dare ogni volta venticinque centesimi a Chamberlain, oppure attuando ridistribuzioni periodiche che restituiscano alle persone quel che hanno dato a Chamberlain. In entrambi i casi però si deve ammettere che si finirà per interferire continuamente con le scelte delle persone.

    mi pare un non sequitur. Se come “variabile moralmente rilevante” si sceglie la capacità di soddisfare i consumatori, allora la distribuzione di Chamberlain è perfettamente giusta e non necessita correzioni. Quindi è falso che per preservare lo schema D1 sia necessario applicare violenza. Per salvare D1 non devi fare assolutamente nulla.

    Il parlante sembra fare un discorso generale, che vale per ogni D1, ma poi fa delle inferenze che valgono solo con particolari scelte di D1.

  2. Non ho mai capito perché nel conto non si includa il piacere degli spettatori di avere visto giocare Chamberlin. Banali assunzioni sulla volontarietà degli scambi garantiscono che quel piacere valga più di 25 centesimi a testa. E se l’idea è che quel piacere è passeggero, mentre la ricchezza è stabile, qualcuno mi deve spiegare perché la giustizia debba tenere conto della sola ricchezza, invece che della ricchezza + i flussi di consumo.

  3. a nozick piaceva il basket. tanto che in anarchy etc. usa anche un altro esempio che coinvolge jerry west [link ->], ma per spiegare le gerarchie basate sui paragoni. evidentemente era un tifoso dei lakers: sia chamberlain che west ci sono passati e insieme hanno vinto un titolo nel ’73. anarchy etc. è uscito nel ’74.

    “cosa ho fatto?”, chiudi il post. stando all’esempio di nozick, niente. il diritto di possesso a qualcosa è una concessione della società. magari la società non ha alcun interesse al possesso di quella cosa “tua”, magari è uno scambio: tu tieni quello e io tengo questo – quello è tuo se lasci che questo sia mio. possibilmente senza scannarci.

    diverso però è il caso delle prestazioni d’opera, dei servizi, credo: se ho una particolare abilità, posso vendere il mio tempo (non la mia abilità) a chi sia disposto a offrire qualcosa che mi serve in cambio. il denaro messo in mezzo è solo un metodo, ma poniamo che io ti posso insegnare a tirare i tiri liberi e tu puoi insegnarmi a suonare il piano: quello che viene “alienato” è il tempo necessario per imparare a fare le cose, tempo che ognuno potrebbe impiegare in modo diverso. il fatto di avere un’abilità particolare però è un vantaggio perché tramite la cessione di parte del mio tempo posso evitare di dover fare tutto da solo: es. chamberlain fa divertire la gente, la gente gli da soldi per comprarsi le cose che gli servono. il fatto che sia tanta gente a dargli soldi non cambia: se ci fossero meno spettatori prenderebbe meno soldi.

    sono un po’ uscito dal tema. riassumo: diritti sulle cose derivanti da concessioni della società; nozick sbaglia esempio, chamberlain non vende cose ma tempo.

  4. alex

    > diritti sulle cose (derivano) da concessioni della società;

    Quindi secondo te il diritto, in origine, è della società, la quale poi lo conferisce agli individui, e così nasce il diritto degli individui? E perché? Chi ha dato alla società questo diritto? Se è una convenzione, perché non postulare il contrario, cioè che il diritto è in origine dell’individuo?

  5. no, la società non ha diritto su niente, ma ti permette di prendere possesso di qualcosa. le cose non appartengono originariamente a nessuno.

  6. @Maurizio: In D1 tutti hanno le stesse risorse, in D2 no. È questo lo schema che si vuole provare a salvare, e che si riesce a salvare solo interferendo nelle scelte delle persone.

    @Caminadella: Perché non si conta l’appagamento delle persone? Immagino perché non sia una risorsa. Il denaro è una risorsa, la proprietà di un terreno è una risorsa, il mio divertimento di ieri sera no.
    Sono comunque d’accordo che limitare il discorso alle risorse possa essere un ostacolo.

    @Alex: Non sono sicuro che la tua obiezione colga nel segno: il tempo può essere considerato una risorsa al pari delle altre.

    @Maurizio: Sulla proprietà: immagino che Alex non intendesse dire che tutto è di proprietà della società che, gentilmente, cede il possesso all’individuo. Semplicemente, io posso affermare “questo è mio” solo se trovo un altro disposto a riconoscere “quello è suo”, e questo riconoscimento può avvenire solo in una società.
    Robinson Crusoe non possedeva nulla, almeno fino all’arrivo di Venerdì.

  7. L’argomento mi sembra contraddittorio in partenza (oppure circolare). Se la distribuzione D1 è considerata moralmente giusta (premessa), mi sembra moralmente corretto interferire con la volontà della persone allo scopo di redistribuire il reddito (conclusione).

    Cioè: se tutti i cittadini concordano con la distribuzione D1 e la considerano corretta, e se le persone che vanno a vedere Chamberlain sono perfettamente a conoscenza del meccanismo re-distribuitivo (tasse), così come sono a conoscenza del meccanismo dei 25 centesimi,
    allora non ci vedo nessun problema.

    La sentenza finale, “ … si finirà per interferire continuamente con le scelte delle persone” deriva non dal meccanismo di equilibrio, ma dalla premessa che esista una distribuzione D1 che sia corretta.

    Se invece non bisogna interferire con la volontà delle persone (premessa) a nessun costo, non credo che sia possibile cercare di imporre una distribuzione D1 che sia “moralmente giusta” (conclusione).

    Insomma, dove vuole andare a parare l’autore? Ha scritto un libro per mettere in risalto la contraddizione tra libertà personale e distribuzione del reddito?

    (come mi accade per molti testi di filosofia e di sociologia, dopo un po mi si annoda il cervello. Caro Ivo, mi illumini?)

  8. @Knulp: Il problema è appunto questo: da D1, stato di cose giusto in quanto equo, si arriva, tramite normali scambi, a D2, stato non più equo.

    Il vero problema è che qui ho solo citato, completamente fuori contesto, un passaggio di un libro che è molto interessante e comprensibile (lo dico in pieno confitto di interessi, dal momento che conosco l’autore), passaggio che si riferisce a un altro passaggio di Nozick… insomma, un bordello incomprensibile!

  9. il tempo è una risorsa, ma è una cosa? non credo. almeno non nel senso di cosa che intendiamo quando parliamo, per esempio, di un albero di mele o di una carrozza del tram. queste sono cose e hanno dei proprietari (a meno che l’abero non sia in terra nullius e il tram abbandonato). quindi l’alienazione di tempo facendosi pagare perché dotati di una certa abilità sposta i termini della questione. ma questo non c’entra, è solo che nozick ha mescolato due piani diversi.

    nozick sì, voleva evidenziare il problema della distribuzione delle risorse in una società liberale/liberista. le date sono quelle: 1974 anarchy etc., ma nel 1971 era uscito a theory of justice di rawls. in teoria, anche la nostra società dovrebbe avere questo problema e il welfare è un giro largo per evitare nodi immediati. una società liberale/liberista dovrebbe unicamente creare le condizioni per l’iniziativa individuale: la redistribuzione è un’ingerenza paternalistica che la teoria liberale/liberista rifiuta in principio.

  10. @Alex:

    una società liberale/liberista dovrebbe unicamente creare le condizioni per l’iniziativa individuale: la redistribuzione è un’ingerenza paternalistica

    Mi vien da chiedere: la ridistribuzione non può essere un modo per creare le condizioni dell’iniziativa individuale?

  11. @ Ivo

    la ridistribuzione non può essere un modo per creare le condizioni dell’iniziativa individuale?

    Può darsi, ma è possibile sostenere anche l’opposto. Un modo di farlo è notare che la redistribuzione toglie incentivo ad intraprendere iniziative individuali (se ricevi solo una parte dei benefici di ciò che produci, anziché tutti, sceglierai di rischiare meno, e prenderai meno iniziative). Quale di queste due conseguenze pesa di più? La perdita di incentivi o l’incremento di opportunità? La redistribuzione crea un incremento di opportunità per alcuni, un decremento di opportunità per altri, e un decremento di incentivi per tutti. Non è evidente che il risultato netto sia un miglioramento.

    Si può essere tentati di rispondere che la bontà del risultato dipende dal _livello_ di redistribuzione. Cioè, finché il livello di redistribuzione è basso, la perdita di incentivi è bassa, mentre l’aumento di opportunità pesa di più, quindi c’è un miglioramento netto. Se invece il livello di redistribuzione supera una certa soglia X, l’altro fattore (la perdita di incentivi) comincia a pesare di più, e si ha un peggioramento netto.

    Ma, una volta che si ammette che esiste un livello di redistribuzione oltre il quale le cose peggiorano, non si può dare per scontato di sapere quale sia questo livello. Bisogna anche ammettere la possibilità che questo livello sia zero, o addirittura negativo. Cioè che non redistribuire nulla, o addirittura togliere ai poveri per dare ai ricchi, possa migliorare le cose. Perché pensare che il livello ottimale di redistribuzione sia positivo?

    Un terzo modo di opporsi alla redistribuzione è sostenere che essa crea effetti collaterali che superano i benefici, e finiscono, al netto, per peggiorare le cose. Quali sono questi effetti collaterali? Lo stato. I costi della burocrazia. Gli abusi di potere. Ad esempio, se per redistribuire è necessario creare lo Stato, e dare ad alcune persone il potere di espropriare soldi ad altre persone, nasceranno degli abusi, e dei problemi radicati nella teoria dei giochi (vedi il mio post con l’analisi di Friedman della democrazia). I costi di tutto ciò possono benissimo superare i benefici. Nel libro “l’ingranaggio della libertà” D.Friedman fornisce evidenza che la redistribuzione, oggi, al netto, è dai poveri ai ricchi.

    Ciao

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