Per me è arabo

Ludwig Wittgenstein, 1946 circa: (Dalle Osservazioni sulla filosofia della psicologia; grassetto mio, corsivo dell’autore.))

31. L’espressione del vissuto è: «Questo lo vedo ora come piramide, ora come quadrato con le diagonali».
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33. Qui sembra che si modifichi qualcosa nell’immagine ottica; e invece, di nuovo, non si modifica niente. E io non posso dire: «Continuano a venirmi in mente nuove interpretazioni». In effetti è proprio così, ma ciascuna di queste interpretazioni si incarna anche, immediatamente, in ciò che vedo. Mi colpiscono aspetti sempre nuovi di quel disegno – che pure, a quanto vedo, resta identico. È come se lo si rivestisse di abiti sempre nuovi, e tuttavia ciascun abito fosse uguale al precedente.
Si potrebbe anche dire: «La figura non soltanto la interpreto, addirittura la riverso di questa interpretazione».

Robert Wiley, ricercatore del dipartimento di Scienze cognitive della Johns Hopkins University, 2016:

When you become an expert in reading an alphabet, what does that change? Does your visual system see the same thing as a beginner? We say no. If you’re an expert, things that look complex to a novice look simple to you.

No, questo non è il commento di un filosofo stizzito che dice agli scienziati “l’avevamo già capito da sessant’anni”, anche perché quelle osservazioni lì di Wittgenstein devono molto alla psicologia della Gestalt.
L’idea è, al contrario, mostrare che scienza e filosofia sono, o meglio possono essere, tutt’altro che in contrasto.

La citazione di Wiley proviene dal comunicato stampa di una ricerca che non ho letto ma che viene presentata con il titolo pomposo di “Quello che conosci può influenzare quello che vedi”.
La ricerca, il cui senior author è la professoressa Brenda Rapp, riguarda come esperti e non esperti di arabo vedono le varie lettere, studiando in quanto tempo i soggetti stabilivano se due segni erano uguali o diversi. L’idea è che più tempo una persona ci mette, più le due lettere sono simili, e così hanno tracciato questi due diagrammi:

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Da notare che la differenza tra interpretare (che è una azione) e vedere (che è uno stato) – al centro delle riflessioni di Wittgenstein – agli scienziati non sembra interessare granché, assumendo che il compito di distinguere velocemente due segni sia vedere e non interpretare.
Non dico che sia un problema o un limite della ricerca scientifica, probabilmente è solo dovuto al fatto che il concetto di vedere ha significati diversi nella “fenomenologia grammaticale” di Wittgenstein e nei laboratori di scienze cognitive.

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