Paradossi paradossali

George Edward Moore fu un importante, anche se poco noto, filosofo inglese. Le sue opere più famose sono Principia Ethica, edito nel 1903, e A Defence of Common Sense, pubblicato nel 1925.
Moore è soprattutto conosciuto per il concetto di fallacia naturalistica e per il paradosso che porta il suo nome.George Edward MooreIl paradosso di Moore è il seguente: l’affermazione “Pioverà ma io non ci credo” è priva di senso, eppure descrive uno stato di cose possibile, non c’è alcuna contraddizione tra le due parti della frase (“Pioverà” e “Io non credo che pioverà”) e l’affermazione analoga “Pioverà ma lui non ci crede” è perfettamente sensata.
Seguendo Wittgenstein, è possibile dissolvere il paradosso ammettendo una radicale differenza tra le affermazioni in prima persona e quelle in seconda o terza persona: “lui crede che p” descrive uno stato di cose, ossia la credenza di qualcuno in p, mentre “io credo che p” non è una descrizione della mia credenza bensì la sua espressione e pertanto equivale ad affermare direttamente p.

In generale, quindi, l’affermazione “P ma non ci credo” è priva di senso.
Vi può tuttavia essere qualche caso particolare, ossia qualche particolare enunciato p, che renda vera, o comunque sensata, l’affermazione?
Io credo che l’affermazione “Dio esiste ma io non ci credo”, e il suo opposto “Dio non esiste ma io credo che esista”, siano espressioni sensate.

Credere nell’esistenza di Dio non equivale a credere, ad esempio, nell’esistenza di case o alberi. La grammatica gioca anche qui un altro scherzo: nonostante le due frasi abbiano una struttura simile, il credere in Dio è fede, il credere che un certo albero sia alto 15 metri è asserire un certo stato di cose.
Un paradosso dentro un altro paradosso.

10 commenti su “Paradossi paradossali

  1. “Io credo che l’affermazione “Dio esiste ma io non ci credo”, e il opposto “Dio non esiste ma io credo che esista”, siano espressioni sensate.”

    Sulla base di cosa lo credi, o fai un’assunzione immotivata?

    “Credere nell’esistenza di Dio non equivale a credere, ad esempio, nell’esistenza di case o alberi. La grammatica gioca anche qui un altro scherzo: nonostante le due frasi abbiano una struttura simile, il credere in Dio è fede, il credere che un certo albero sia alto 15 metri è asserire un certo stato di cose”

    E cosa è questa non meglio definita “fede”? In cosa è diversa dall’asserire uno stato di cose e perchè?

  2. Sulla base di cosa lo credi, o fai un’assunzione immotivata?

    Potrei trovarmi di fronte alla prova che Dio esiste (qualcosa del tipo cespuglio rovente, fulmini che inceneriscono chi bestemmia, cose così) ma ugualmente non credere in Dio, non avere quel senso di fiducia e affidamento che, penso, sia alla base della fede, almeno per il cristianesimo.
    Similmente, potrei trovarmi di fronte alla prova che Dio non esiste (qui non mi vengono esempi), eppure continuare ad avvertire il bisogno di affidarmi a Dio.

    E cosa è questa non meglio definita “fede”? In cosa è diversa dall’asserire uno stato di cose e perchè?

    Non lo so.
    Sicuramente c’è di mezzo una asserzione su uno stato di cose, ma penso che non si esaurisca in una asserzione su uno stato di cose. Credere in Dio non è, semplicemente, credere che Dio esiste. È la differenza tra la dimostrazione dell’esistenza di Dio (prendine tu una a caso) e la preghiera: non ha senso pregare l’ente di cui non si può immaginare il maggiore o il primo motore immobile…

  3. “Potrei trovarmi di fronte alla prova che Dio esiste (qualcosa del tipo cespuglio rovente, fulmini che inceneriscono chi bestemmia, cose così) ma ugualmente non credere in Dio, non avere quel senso di fiducia e affidamento che, penso, sia alla base della fede, almeno per il cristianesimo.
    Similmente, potrei trovarmi di fronte alla prova che Dio non esiste (qui non mi vengono esempi), eppure continuare ad avvertire il bisogno di affidarmi a Dio.”

    Sia nell’uno che nell’altro caso il tuo atteggiamento non avrebbe molto senso, sarebbe puramente una reazione emotiva,come il chiudere gli occhi per non vedere una scena che non vogliamo vedere.

    “Sicuramente c’è di mezzo una asserzione su uno stato di cose, ma penso che non si esaurisca in una asserzione su uno stato di cose. Credere in Dio non è, semplicemente, credere che Dio esiste”

    E’ anche un atto emotivo, certo, ma questo non ne cambia il valore di verità. C’è chi è sinceramente innamorato di una “donna perfetta” inesistente: la sincerità del suo sentimento non rende reale la donna.

    Sulle cosiddette “prove” dell’esistenza di Dio (in realtà viziate da pesanti errori logici) soprassediamo.

    Sinceramente mi aspettavo delle risposte un pò più soddiasfacenti e articolate,senza offesa.

  4. I miei esempi non riguardavano stati o atti emotivi: il riferimento al chiudersi gli occhi per non vedere una scena è fuori luogo.
    Sono temi che riguardano la trascendenza di Dio, la sua esistenza non come una qualsiasi “cosa” che arreda questo mondo.
    Di più, in un commento, non mi sembra possibile dire.

  5. Scusate se m’intrometto. Non se ne esce dal ragionamento senza operare distinzioni tipo quella tra teismo e deismo. Nelle analisi del “fattore dio” siamo senz’altro condizionati dalla sedimentazione di attributi positivi con i quali le religioni monoteistiche hanno qualificato la propria divinità di riferimento. Dio, perciò, nel nostro immaginario risulta dipinto come il padre che tutti avremo sognato d’avere (vd. Freud) e/o come un re. Ma tale immagine non ha maggiore dignità (scientifica), ad esempio, di Xipe Totec, il sanguinario signore della fertilità delle culture mesoamericane, per il quale si scorticavano le vittime umane destinate al sacrificio.
    Per ritornare al noto dibattito tra deismo e teismo, un conto è discutere dell’esistenza di una causa prima o d’un regolatore universale, così come della necessità escatologica o meno della nostra esistenza, altro è pretendere che detta causa s’identifichi obbligatoriamente con il dio vetero testamentario.
    Nel secondo caso, la frase “dio esiste, ma io non ci credo” può assumere significato perché la negazione si riferisce primariamente a un ruolo – regale, patriarcale, ecc. – d’una divinità di chiara matrice antropomorfica (io non credo che egli sia il mio re o il mio padre, né che sia buono, onnisciente, ecc.).
    Al contrario, la stessa frase non avrebbe senso di fronte a un dio inteso quale mero fenomeno, privo di qualificazioni. In tale contesto, di fronte a una prova provata che l’esistente è stato determinato da un atto volitivo di origine sovrumana, anche l’ateo più incallito (come me) dovrebbe accettarlo e impostare i propri ragionamenti non potendo escludere a priori (etsi Deus non daretur) un così chiaro fattore pregiudiziale.

  6. C’è senza dubbio una riflessione interessante in quello che dici. L’unico punto in cui non concordo è quello di potere definire una divinità come un mero fenomeno: altrimenti, qualsiasi fenomeno fosse all’origine dell’universo (poniamo,come dice la teoria di Smolin, una interazione del “vuoto quantistico”).

    Per potere parlare di una divinità, bisognrebbe denirala al limite come un essere : 1)intelligente. 2) dotato della capacità di pianificare. E allora, secondo me, la risposta alla domanda se esista un dio o meno non può arrivare dalla filosofia, ma (ipoteticamente) dalla cosmologia scientifica.

  7. Scusate, la frase “qualsiasi fenomeno fosse all’origine dell’universo (poniamo,come dice la teoria di Smolin, una interazione del “vuoto quantistico”). è incompleta: sarebbe “qualsiasi fenomeno fosse all’origine dell’universo (poniamo,come dice la teoria di Smolin, una interazione del “vuoto quantistico”)potrebbe essere definito come “dio””.

  8. Mi trovi d’accordo.
    Anche perché effettivamente intendevo “fenomeno” solo come possibile “oggetto” di conoscenza, a prescindere – in un primo momento – dalla sua natura, che in tal caso diventerebbe elemento di studio successivo.

  9. La distinzione tra teismo e deismo è corretta e fondamentale: quando parliamo di religione pensiamo appunto al Dio cristiano-cattolico, mai a quell’altra divinità a me sconosciuta… e lo stesso vale per la trascendenza di Dio, concetto saturo di storia e di filosofia.
    La domanda, che mi pongo, “Dio è un fenomeno del mondo?” ha senso solo e soltanto in questa tradizione.

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