Nel secondo capitolo di On Liberty, John Stuart Mill afferma:
For a long time past, the chief mischief of the legal penalties is that they strengthen the social stigma.
Da ormai molto tempo, l’aspetto più negativo delle sanzioni legali è che ribadiscono il marchio di infamia imposto dalla società.
Lo stigma, l’infamia che colpisce alcune persone, è in molti casi più dannoso delle sanzioni legali. Ed è, quindi, più pericoloso per la libertà individuale.
È meno costoso delle pene comminate da una autorità: niente iter legislativi (nulla poena sine lege), niente denuncia, niente indagini, niente processi: basta una diceria Il marchio di infamia non è controllabile: non ci sono quelle garanzie che caratterizzano, o dovrebbero caratterizzare, la sanzione legale. Non ci sono appelli, revisioni, garanzia che la pena sia commisurata al crimine.
Lo stigma dovrebbe quindi essere tenuto sotto controllo, ostacolato.
Non è così. In Svezia si valuta di ricorrere allo stigma per contrastare la prostituzione: i clienti, oltre a trascorrere sei mesi in carcere, riceverebbero a casa una busta facilmente identificabile da familiari e vicini di casa.1
Almeno la proposta svedese riguarda un crimine: in Oklahoma una legge, per fortuna incostituzionale, prevedeva la creazione di un sito internet contenente tutti i dati delle donne che hanno abortito.
Tempi bui.
- Pare che i residenti di alcuni quartieri appiccichino dettagliati adesivi sulle auto dei clienti, qualcosa del tipo “venerdì sera sono andato a puttane in via del campo. [↩]
Restringendo il campo alla misera Italia penso che in essa lo stigma sarebbe, salvo casi eccezionali, solo un ulteriore modo per dividere le opposte fazioni (politiche, sociali).
In Italia esiste lo stigma ad effetto condizionato, soprattutto per i reati di natura finanziaria e per quelli che favoriscono l’arricchimento veloce: funziona solo se ti beccano; fino a quel momento, opera la generale ammirazione.
(A parte gli scherzi, lo stigma è una mostruosità, soprattutto se un legislatore pretende d’indurlo artificialmente; oltre agli esempi che riporti, pensiamo all’omosessualità, all’ateismo e ad ogni altra forma di non allineamento alla mentalità bempensante generale, che un governo voglia per forza di cose contrastare).
Non ho capito che bisogno avrebbero le autorità svedesi di mandare la busta rivelatrice quando il reo deve per forza di cose “allontanarsi” da casa per sei mesi. Mi sembra difficile che i familiari e i vicini, in assenza del plico dai colori vivaci, potrebbero pensare a una prolungata vacanza. O no? Mi consola comunque che non siamo soltanto noi italiani vittime di proposte di legge insensate e demagogiche. Ciao
in piccole comunità lo sputtanamento è sempre stato lo strumento per mantenere l’ordine sociale. l’imposizione di una uniformità morale garantiva la sopravvivenza del gruppo. la devianza era vista come il più grande pericolo, perché se spezzi un anello la catena non regge più.
di fatto anche le leggi ci spingono a colorare emotivamente il giudizio che formiamo: un delinquente non è solo uno che ha compiuto un delitto, ma è cattivo, anche dopo che “ha pagato il debito con la società”. i rei non sono solo individui che non si sono attenuti al regolamento, ma individui difettosi da un pdv morale. l’enforcement moralizzante ci viene spontaneo, siamo fatti così.
inficia la libertà individuale?
non lo so.la libertà, in un gioco, non è solo una relazione tra regole e sanzioni che si applicano agli individui. non è che un giocatore che si becca un cartellino rosso sa che la storia finisce lì, non crede che l’assenza di “moralizzazione” sia un sintomo di libertà del sistema. di fatto quando entriamo in un gioco non accettiamo solo le regole esplicite, quelle che sarebbero le leggi e definirebbero gli spazi di libertà da sole: accettiamo anche delle regole non scritte, che sono quelle che definiscono il gioco stesso per come lo giochiamo. a me sembra che la libertà stia qui dentro, e non nella sola applicazione del sistema legale.
@luca massaro: divide et impera
@lector: C’è anche il caso opposto, in effetti: un reato che fa curriculum e comporta ammirazione sociale, non riprovazione.
Anche in questo caso sarebbe non raccomandabile un intervento politico per creare riprovazione?
@Filopaolo: Me l’ero chiesto anche io. Suppongo che sei mesi di carcere siano il massimo della pena, e sia convertibile in sanzione pecuniaria o ci siano altri sconti per gli incensurati. O forse il giornalista da cui ho preso la notizia ha scritto una cavolata.
@alex: Ok. In piccole comunità: sicuri che lo sputtanamento possa funzionare anche in comunità più grosse? E guarda che se scrivo qui sul blog che Alex Grossini si mette le dita nel naso, tutti quelli che cercano Alex Grossini su google trovano questa informazione!
Comunque: non dico che la reputazione morale non dovrebbe esserci; dico solo che a livello di potere politico non si dovrebbe fomentare questa reputazione, ma solo prendere atto che c’è. Insomma, tenere conto che condannando uno strupratore questo verrà condannato dalla comunità, ma non metterlo alla berlina contando sul disprezzo degli altri, magari perché non si è riusciti a condannarlo per mancanza di prove.
Le regole tacite: d’accordo, ma se io non le accetto, queste regole tacite, magari perché contrastano con regole esplicite. Pensa di vivere in una città dove le regole esplicite garantiscono libertà di religione, ma di fatto se non vai a messa tutte le domeniche vieni additato come immonda creatura e nessuno vuole avvicinarsi a te.
“riceverebbero a casa una busta facilmente identificabile da familiari e vicini di casa”
ma i geniali legislatori come pensano di proibire l’invio di buste finte?
@–>Ivo
Non ritengo che la disapprovazione dipenda dall’intervento politico: o c’è o non c’è. E’ la politica (intesa come Istituzioni) che deve prendere atto del sentire sociale, cioè del substrato sociologico su cui si basa ogni ordinamento, e non il contrario.
Se, invece, intendi la politica come movimento organizzato di persone che condividono opinioni compatibili, allora ritengo che stia nella loro stessa natura il catalizzare o meno approvazione rispetto ai comportamenti dei singoli.
Una concezione della pena di tipo utilitarista va spesso in crisi di fronte allo “stigma sociale”: paradossalmente, più un crimine è sentito come ripugnante dalla comunità, più la pena prevista dovrebbe essere leggera. Laddove l’ aborto fosse fuorilegge ma la comunità non lo sentisse come un crimine, sarebbe razionale punirlo ancor più pesantemente.
Lo stigma, l’infamia che colpisce alcune persone, è in molti casi più dannoso delle sanzioni legali. Ed è, quindi, più pericoloso per la libertà individuale.
Mentre capisco le difficoltà a coordinare “stigma” e pena legale, non vedo proprio come lo “stigma” interferisca con il grado di “libertà individuale” garantito dall’ ordine sociale, perlomeno quando lo stigma si risolve in una opinione diffusa: è la libertà di opinione e di espressione che procura danni alla vittima, non si puo’ garantire quest’ ultima senza tarpare la prima. [Per una disamina analitica dei pasticci che Mill combina con il concetto di “danno” rinvio a Richard Epstein: Principle for a free society].
Penso che il libertario realista debba sfruttare a fondo l’ esistenza di uno “stigma sociale”: più stigma = meno proibizioni (legali). Lascerei volentieri che la coercizione fisica (della legislazione) si occupi solo dei danni fisici inflitti a terzi.
@c. d.: Suppongo di affidino al senso civico dei cittadini – il che farebbe ridere in Italia, meno in Svezia.
@lector: È vero, il marchio di infamia non dipende dal potere politico – o c’è o non c’è. Però il potere politico lo può sfruttare: segnalando pubblicamente gli autori di un reato – o di una azione biasimata che non è un reato. O lo può contrastare, garantendo riservatezza e anonimato.
@broncobilly: I “pasticci” di Mill a me sembrano soprattutto buon senso e disponibilità a compromessi – certo, una teoria pura sarebbe più pulita, ma non per questo più pulita.
Il problema è tutto lì: garantire libertà di pensiero a tutti, a chi la pensa diversamente dalla maggioranza come a chi, invece, fa parte della maggioranza.
Caro Ivo,
non pensi che tutta questa discussione, incluso l’articolo della discordia sia strettamente legata al discorso sul rapporto fra libertà individuale e stigma sociale nelle democrazie che fa Stuart Mill?
Scusa se sono andato un po’ OT, ma mi interessava una tua opinione.
@Simone: Penso che sì, sia uno dei modi di leggere la faccenda. Ma penso anche che raramente in politica quello che dico coincide alla perfezione con quello che penso, e per giudicare bisogna forse andare oltre. Comunque, ne scriverò, anche se forse non qui.