L’incontro

Qualche giorno fa, passeggiando tra i campi, una busta si è posata ai miei piedi, come trasportata da una mano invisibile. All’interno, un manoscritto il cui contenuto vado adesso a trascrivere. Purtroppo alcune parole si sono rivelate illeggibili.

Quando accade qualche disgrazia, ad esempio un incidente ferroviario o una alluvione, c’è sempre qualcuno che si può definire graziato: avrebbe dovuto essere sul treno deragliato, oppure si sarebbe dovuto trovare in una delle case distrutte dalla forza delle acque, ma all’ultimo momento ha cambiato idea, ha perso il treno, è uscito a comprare le sigarette o a buttare la spazzatura.
Anche a me è accaduta una cosa molto simile: quel giorno avrei dovuto, come spesso accade, prendere il primo aereo della mattina per [illeggibile]. Ma non riuscii a prendere quel volo, a causa di un piccolo, banale incidente: il suicidio, sui miei pantaloni, di una tazzina di caffè. E così rimandai di qualche ora la partenza, e presi l’aereo delle otto e quaranta.
Quella mattina uno dei due aerei arrivò a destinazione con tutti i suoi passeggeri, l’altro invece no. Io purtroppo mi trovavo sul volo sbagliato: c’è sempre qualcuno che si può definire graziato dal caso o dal destino, ma c’è anche chi si può definire condannato dal caso o dal destino.

Adesso sono qui, in questa specie di paradiso, a godermi l’esistenza eterna e a narrare quello che mi è accaduto dopo i tragici eventi di quella mattina, nella speranza che qualcuno riesca, prima o poi, a leggere queste mie memorie, che affiderò al vento.

Il primo ricordo successivo alla morte è quello della sala d’attesa: una grande sala bianca, con comode poltrone imbottite e alcuni tavolini di cristallo pieni di riviste e strani opuscoli informativi. Vi erano altre persone, una trentina circa, ma non erano gli altri passeggeri dell’aereo. Chiacchierando per ingannare l’attesa appresi che venivano da varie parti del mondo: mi ricordo una donna del Congo, due contadini cinesi e un vecchio brasiliano. Ogni tanto una porta si apriva, entrava una ragazza vestita di bianco che chiamava qualcuno di noi e lo accompagnava fuori.
Dopo circa mezz’ora la ragazza mi chiamò e insieme a lei varcai la porta. Mi ritrovai in una grosso locale, nel quale vi erano soltanto una immensa porta d’acciaio lucente e un lungo divano, oltre alla piccola porta dalla quale ero entrato. Ad attendermi, un signore anziano dall’aria simpatica e dalla lunga barba bianca. Il vecchio mi fece segno di accomodarmi e iniziò a parlare: “Accomodati, figliolo. Io sono San Pietro”.
Io ovviamente rimasi in piedi, come paralizzato. Non riuscivo a credere ai miei occhi: San Pietro! Continuavo a pensare che avevo di fronte a me San Pietro in persona! E dietro quella porta ci doveva essere il paradiso. E io, che in tutta la mia vita sarò andato tre o quattro volte a messa, sono spacciato! Altro che paradiso: l’inferno, mi aspetta!
Come leggendo nei miei pensieri, San Pietro riprese a parlare: “A giudicare dalla tua espressione, non hai letto gli opuscoli che abbiamo lasciato in sala d’attesa. Succede sempre così, del resto: mai nessuno che li legga. Dovremo rivedere l’impaginazione, sono secoli che lo dico! Adesso rilassati, figliolo: non temere, non finirai all’inferno, perché non esiste nessun inferno”.
Mi sedetti e balbettai: “Nessun inferno? Vuole dire che mi aspetta il paradiso?”
San Pietro mi si avvicinò e, con fare gentile, sussurrò:”Se non esiste l’inferno, non può esistere neppure il paradiso, non trovi?”.
Io ero sempre più sconvolto: “Ma allora, cosa succede?”.
“Succede semplicemente, figliolo, che esiste un solo regno dei cieli, che non è né l’inferno né il paradiso. Un solo regno, nel quale si ritrovano tutti quanti: buoni e cattivi, credenti e non credenti, santi e peccatori, probi cittadini e criminali incalliti.”
Ero incredulo: possibile che non vi fosse alcuna punizione per i miscredenti come me? “Ma allora non c’è punizione per… per i peccatori?”
San Pietro, sempre calmo, rispose: “Certo che c’è! Qui i peccatori, se proprio vogliamo usare questa parola, conoscono le persone alle quali hanno fatto del male. Vedono e sopportano le conseguenze delle loro azioni: ecco il castigo. Se tu in vita hai fatto soffrire qualcuno, figliolo, lo incontrerai qui, e il pensiero del dolore arrecato sarà la tua punizione. Qui vittime e carnefici vivono insieme felici: la vittima perdona subito il carnefice, ma il carnefice non riesce a perdonare subito se stesso, e soffre.”
Ero senza parole. E infatti San Pietro continuò: “Molto probabilmente ti capiterà di incontrare l’attentatore che ha fatto esplodere il tuo aereo, figliolo. So già che non provi rancore o odio nei suoi confronti. Lo vedrai soffrire, e gli offrirai il tuo perdono. Probabilmente diventerete amici: succede spesso.”
In effetti non odiavo l’attentatore, anche se avrei dovuto: mi aveva ucciso insieme ad altre persone! Eppure non provavo odio, mi sentivo anzi impaziente di conoscerlo! E al contempo mi sentivo a disagio al pensiero di incontrare tutti quelli che avevano sofferto a causa mia. Chiesi a San Pietro se potevo andare, se potevo varcare la grande porta.
San Pietro mi rispose con un sorriso: “Certo che puoi andare: la porta è aperta, io non ti trattengo. Solo, figliolo, dimmi chi vuoi incontrare appena varcata quella soglia. Il primo incontro è molto importante. Puoi andare da chi vuoi. Io ti consiglio una persona importante: un grande artista, un importante uomo politico, un filosofo, uno scienziato. Sono le persone migliori per iniziare la tua nuova vita eterna, te lo assicuro. Chi vuoi conoscere, allora: Socrate? Beethoven? Voltaire? Shakespeare?”
Ero frastornato: potevo davvero conoscere una di queste persone? Potevo discutere di poesia con Goethe, farmi raccontare la scoperta della gravità da Newton, magari ascoltare Paganini improvvisare al violino! Che sogno! “Ma posso davvero incontrare chi voglio? Non è che Shakespeare mi manderà a quel paese?”
Per tutta risposta, San Pietro scoppiò a ridere: “Per quale motivo dovrebbe? Uno è scortese quando ha tanto da fare e poco tempo a disposizione. Qui il tempo è eterno, e non c’è nulla da fare: non temere, e chiedi pure in libertà!”
In cima ai miei pensieri, in quel momento, non c’era la musica di Mozart o le poesie di Dante, ma il regno dei cieli: questo strano luogo così diverso da come me lo aspettavo, ammesso che mi aspettassi qualcosa. E con il cuore colmo di stupore per il luogo nel quale mi apprestavo ad entrare, pronunciai un nome.
Udito quel nome, il volto di San Pietro si rabbuiò. Rimase qualche secondo in silenzio, poi mi chiese: “Figliolo, tu, in vita, hai avuto fede?”
Curiosamente, l’idea di mentire non mi sfiorò nemmeno: “No, non ero credente, in vita. Consideravo le religioni un cumulo di fesserie. Certo, adesso ho in parte cambiato idea!”
Il viso di San Pietro si rilassò: “Bene, figliolo. Puoi andare e incontrare chi desideri. Solo, ricorda: quando lo vedrai, ricordati di dirgli che tu, in vita, non credevi, non avevi la fede. Ricordatelo, è importante”.
Perplesso dalle parole di San Pietro, mi avviai verso la grande porta in acciaio lucente e la aprii.

Con il cuore pieno di emozione, mi diressi verso un piccolo edificio isolato. Giunto davanti alla porta, bussai con timore. Una voce mi chiese, dapprima con sospetto, poi con rabbia: “Chi sei? Cosa vuoi? Vai via! Non voglio visitatori!”
Rimasi impietrito: come sarebbe a dire che non vuole visitatori? Mi ricordai le parole di Pietro, e dissi, con voce titubante: “Pietro mi ha detto di dirle che io, in vita, non ero credente… sì, insomma che non avevo fede. Che non credevo in Dio, ecco. Sarò andato a messa in tutto tre volte, forse quattro.”
La porta improvvisamente si aprì, e da essa uscirono due cose che non dimenticherò mai. La prima fu un odore nauseante di sudore e sporcizia. La seconda fu un uomo trasandato, con la barba sporca e lunghi capelli unti. L’uomo mi si avventò, immobilizzandomi con le braccia.
Mentre, in preda al disgusto, cercavo di liberarmi, capii che mi stava abbracciando. Tra i singhiozzi, iniziò a parlare: “Grazie! Grazie, buon uomo, grazie! Scusa se non volevo farti entrare, ma temevo tu fossi un religioso, un credente desideroso di incontrarmi: non lo avrei potuto sopportare! Entra, amico mio, entra!”
Ero ancora più stupito di prima: perché mai non avrebbe potuto sopportare la visita di un religioso, mentre la mia gli era gradita? Temetti di aver sbagliato persona: “Scusi, ma lei è…”
L’uomo mi guardò: “Capisco il tuo stupore, amico mio, ma non temere. Sì, sono proprio io, Gesù Cristo. Pietro non ti ha spiegato nulla, vero?”
Quello era Gesù? Quell’uomo così sudato, sporco, puzzolente! Come poteva essere Gesù, il figlio di Dio? “L’unica cosa che San Pietro mi ha detto è di spiegarle che non ero credente, in vita.”
Intanto eravamo entrambi entrati nella casa. Il tanfo era insopportabile e la sporcizia regnava ovunque. Il mobilio era spartano: un tavolo in plastica, alcune sedie, due poltrone piene di buchi e impolverate. L’unica cosa decente erano alcune grandi finestre, curiosamente pulite alla perfezione.
Gesù mi fece segno di accomodarmi su una poltrona. Vincendo il ribrezzo mi sedetti e lui iniziò a parlare: “Caro amico, sono così felice di vederti! Un ateo! Un non credente! Uno che nella vita non ha agito nel mio nome! La tua visita è per me un lieto evento!”
Lo stupore, nell’udire quelle parole, era tale da superare il ribrezzo. “Non capisco, non riesco a capire: perché è così contento di vedermi? E poi… lei vive davvero qui? Lei passa davvero le sue giornate in questo… in questo… porcile? Non ci posso credere!”
Gesù scoppiò a piangere, e tra le lacrime riprese a parlare: “Conosci il regno dei cieli, vero? Sai che qui ognuno soffre per il male che ha recato agli altri?”
“Sì”, risposi, “questo San Pietro me lo ha spiegato. Ma continuo a non capire: lei non può aver fatto del male, in vita. Lei è Gesù, il figlio di Dio, il Messia!”
“Sì, io sono il Messia, e soffro. Soffro per i crimini commessi da chi agisce in mio nome. Soffro per il dolore arrecato da chi crede in me. Quando qualcuno agisce nel mio nome, è come se agissi io. E quando qualcuno provoca dolore e sofferenza agli altri, è come se fossi io a provocarli, a torturare, a uccidere. E ne soffro, soffro nel vedere tutto questo.”
Pronunciate queste parole, Gesù si alzò, mi prese per mano e mi accompagnò davanti a una delle grandi finestre che dominavano le pareti. “Guarda, guarda, amico mio, guarda cosa accade nel mondo. Lo vedi quell’uomo? Lo vedi?” Al di là della finestra apparve un uomo ben vestito, seduto ad una scrivania, con alcune bandiere alle spalle. “Quello è il primo ministro dello stato di [illeggibile]. C’è un crocifisso appeso al suo collo, e tutte le domeniche si reca in chiesa. E adesso sta per inviare alcuni soldati in una nazione straniera. Li sta inviando per uccidere, per opprimere gli abitanti di quella nazione. E lo fa nel mio nome. Nel mio nome: è come se quelle persone le uccidessi e le torturassi io.”
Mentre diceva tutto questo, la sua espressione denunciava una indicibile sofferenza, e mi fece pena.
Feci il gesto di allontanarlo dalla finestra, ma lui mi fermò: “No, aspetta. Ecco, guarda qui, adesso”.
L’uomo ben vestito sparì e al suo posto apparve una donna intenta a passeggiare per strada. Gesù riprese a parlare: “Amico mio, guarda quella donna. Tutti i giorni va a messa. Tutti i giorni si rivolge a me in preghiera. Ma ogni, quando è al lavoro, decide chi licenziare perché la sua azienda, della quale è socia, guadagni di più. Distrugge la vita di altre persone privandole del lavoro semplicemente per avere più soldi. Io soffro, soffro nel guardare tutto questo!”
Non ricordo quante altre persone apparvero e scomparvero; ricordo invece il volto di Cristo. Ad ogni figura la sofferenza aumentava, tremava sempre più, sudava, si accasciava a terra, fino a perdere i sensi. Uno spettacolo che non potrò mai dimenticare.
In quel momento capii perché la mia visita lo aveva allietato: le mie cattive azioni, il dolore che in vita ho inflitto alle altre persone riguardava solo me. Solo io avrei sofferto per quel dolore, solo io.

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