La maggioranza decide

Piccolo appunto di… boh, non so se chiamarla politica, civica o semplice buon senso.

Leggo e sento spesso – mi riferisco alla situazione elvetica, ma ovviamente il discorso non si applica solo alla Svizzera, per cui evito riferimenti diretti – leggo e sento spesso, dicevo, critiche a volte anche aspre (e a volte anche veri e propri insulti) verso chi critica o semplicemente non approva l’esito di una qualche votazione (perlopiù popolare, ma non è quello l’importante).

In democrazia la maggioranza decide. Si può discutere se possa decidere su tutto o se debbano esserci dei limiti, ad esempio per quelle cose che chiamiamo libertà fondamentali. Si può anche discutere su che cosa venga effettivamente deciso, visto che alla fine la votazione è operazione binaria (al massimo ternaria, se ci si astiene), ma le motivazioni possono essere molto più di due. Si può anche discutere sulle modalità di voto, ad esempio se maggioranza semplice, assoluta o addirittura l’unanimità e altre varianti ancora più complesse. Si può discutere di tutte queste cose e anche di altre che adesso non mi vengono in mente; ma che alla fine sia la maggioranza a decidere non si discute. Decidere però non vuol dire avere ragione. Sono due cose diverse.1

Decidere vuol dire che si fa l’opzione che ha avuto più voti. Avere ragione vuol dire che la maggioranza non può sbagliare. E invece la maggioranza può sbagliare. Anzi, la maggioranza deve poter sbagliare. Se non potesse sbagliare, se la maggioranza avesse sempre ragione, non sarebbe possibile discutere – criticare, ma anche elogiare: che senso ha difendere qualcosa che per definizione è giusta?  – le leggi e in generale la società. E senza dibattiti, senza libertà di discussione quella che si ha non è una democrazia, almeno nel senso al quale siamo abituati. Sicuramente non è una democrazia nella quale mi piacerebbe vivere.

  1. È, grosso modo, la differenza tra validità di una norma e la sua giustizia. []

11 commenti su “La maggioranza decide

  1. Anch’io negavo, all’inizio. E anche adesso dovrei specificare bene il senso di quel “naturalista” dopo il gius, che non sono certo uno che vuol vedere l’ought nell’is, i giudizi di valore nella natura, o Natura perfino.
    No, no, lungi da me.
    Ma è che l’alternativa, il giuspositivismo, è certamente infinitamente più distante dalla mia posizione.
    Ma resto ben in attesa del tuo commento più elaborato!

  2. Difendere la rispettabilità della tua compagna che è per definizione giusta non ha senso? Dici che quella rispettabilità è cosa discutibile?

  3. Direi che la rispettabilità (non c’era un termine meno ottocentesco?) della mia compagna non è giusta per definizione e non ci sono motivi a priori per non discuterne. Ce ne sono a posteriori: non ho alcun motivo per dubitare della sua rispettabilità, e immagino neppure tu.
    Più interessante l’obiezione se pensi a Dio come fonte del giusto morale. Dio è per definizione giusto, e quindi non avrebbe senso discutere della bontà delle azioni divine, è data per definizione. Però abbiamo la teodicea, per cui mi sa che lì, in quell’inciso, ho scritto una cavolata

  4. @hronir: allora, la separazione tra validità di una legge (nel mio testo: il fatto che la maggioranza decida) e giustizia di una legge (nel mio testo: l’avere ragione) è uno degli elementi chiave del positivismo giuridico. Il diritto si occupa della validità, della sua giustizia la politica o la morale.
    Un “vero” giusnaturalista non sottoscriverebbe mai quanto ho scritto perché per lui validità e giustizia sono tutt’uno e una norma ingiusta non può essere valida (con i termini del testo: la maggioranza non decide a meno che non abbia anche ragione).
    Per cui quella che tu hai scambiato per una mia adesione al giusnaturalismo è in realtà un discorso perfettamente positivista.

    Adesso spiego anche quel “vero” tra virgolette: tutto dipende da come uno intende positivismo e giusnaturalismo, e alcune delle varianti non sono in contraddizione. Per dire: uno può essere positivista quando studia la legge e giusnaturalista quando la valuta.

  5. Forse non sono allineato sulla terminologia, ed è anche vero che il tuo ultimo paragrafo, la spiegazione del “vero”, lascia molti spazi di manovra linguistici, però: se le norme del diritto non rappresentano solo un regolamento (cioè semplicemente un libero e reciproco accordo di comportamento) ma l’espressione di, appunto, dei diritti, come si può scollare la validità dalla giustizia?
    Certo si potrebbe non concedere la mia premessa, e cioè considerare il diritto solo la stipula di un regolamento, ma questo è proprio quello che associo al giuspositivismo…

  6. a me interessava solo fare il pignolo proprio sulla difficoltà emergente da “non ha senso difendere ciò che è giusto per definizione”. In realtà ci si potrebbe scrivere un librone.

  7. @hronir: Appunto, per il positivismo il diritto è un insieme di norme emanate da una autorità (vabbè, c’è il problema del diritto consuetudinario, ma facciamo finta di nulla). I diritti umani sono diritto se diventano, ad esempio, una convenzione firmata e ratificata.
    Se l’approvazione della norma è regolare, la norma è valida; altrimenti è invalida. Per valutare giustizia e opportunità di una legge, ci sono la morale e la politica.
    È un po’ antipatico rimandare a un testo, ma sul tema è molto chiaro il libretto di Bobbio “Giusnaturalismo e positivismo giuridico” (Laterza), in particolare il sesto capitolo.

  8. Grazie del riferimento bibliografico: non prometto di leggerlo ma lo considero un invito ad informarmi meglio sulle terminologie comuni in questo ambito (e perdonerai se nel resto di questo commento parlerò con un linguaggio più intuitivo, ma sono certo ne capirai il senso).

    Quel che i giusnaturalisti assumono come fondamento del diritto (“la giustizia e l’opportunità di una legge”), tu sembri (i giuspositivisti sembrano?) demandarlo alla morale. Ma se non sei moral-positivista bensì moral-naturalista (non nel senso di credere che il giusto e lo sbagliato siano scritti nella Natura né, peggio ancora, che sia giusto solo ciò che è naturale, bensì nel senso di credere che esista un concetto di giusto che aspiri all’oggettività…), se sei moral-naturalista in questo senso, dicevo, per me possiamo dichiararci d’accordo.
    Io magari avrei distinto la morale “reciproca” (sto facendo del male a qualcuno?), che chiamerei più propriamente diritto, ovviamente giusnaturalisticamente inteso, da quella non-reciproca (anche se non sto facendo del male a qualcuno, sto facendo comunque qualcosa di sbagliato?) che continuerei a chiamare più propriamente morale.

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