La dignità dell’uomo

La seconda parte di A Sua immagine e somiglianza di Christoph Schönborn è dedicata all’uomo e alla sua dignità.

L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio: di tutte le creature è quindi il più degno (angeli esclusi):

creato a immagine e somiglianza di Dio, la dignità che deriva dal fatto di assomigliare a Dio è per l’uomo caratteristica costitutiva. (p. 32)

Il cristianesimo apre così le porte alla esaltazione dell’uomo e a una visione antropocentrica del creato (creato, appunto, in vista dell’uomo):

Secondo Gregorio di Nisso e Giovanni Crisostomo il mondo è stato costruito come palazzo reale e come un trono per colui che è creato per esserne il Signore. (p. 39)

Questa esaltazione non ha comunque l’uomo come fine: è Dio il vero e ultimo destinatario di queste lodi: l’antropocentrismo del creato deve portare al teocentrismo dell’uomo:

Un mondo interamente rivolto all’uomo, un uomo interamente rivolto a Dio: questi due aspetti sono inseparabili, e tutta l’esaltazione della dignità dell’uomo, vertice della creazione, ha senso solo in vista della sottomissione dell’uomo a Dio. (p. 37)

Non vi è dunque superbia, in questa visione dell’uomo, perché l’esaltazione dell’uomo deve tradursi in umiltà di fronte a Dio. Similmente, la supremazia e il potere che l’uomo ha nei confronti del creato non può diventare sfruttamento indiscriminato perché, ancora una volta, l’uomo è padrone del creato per conto di Dio.

Da non credente (ateo o agnostico, qui, è irrilevante), questa visione dell’uomo mi è estranea: per quanto possa rispettare chi professa un simile credo (e ne ho davvero il massimo rispetto), non posso vedere nella grandezza dell’uomo la grandezza di Dio, anzi, non riesco proprio a vedere la grandezza dell’uomo (l’essere perfetto, secondo me, è il papero, ma questo è un altro discorso).
È proprio questo il punto: la grandezza dell’uomo. La scienza moderna, Darwin, ma anche Freud e in generale tutto l’illuminismo, avrebbe distrutto la grandezza di Dio, aprendo le porte alla superbia dell’uomo e, alla lunga, alla sua autodistruzione.
Quello che Schönborn non prende in considerazione è che, insieme all’esaltazione di Dio, sparisce anche l’esaltazione dell’uomo, che non è né grande né perfetto, come non lo è la natura.
Il vuoto lasciato da Dio non è stato riempito dall’uomo o dalla natura o dalla ragione: alla loro importanza si è sempre accompagnato il riconoscimento della loro limitatezza, limitatezza che, da sola, è sufficiente a stroncare la tracotanza che tanto fa paura a Schönborn.

Rimane la contrapposizione tra due diverse visioni dell’uomo. È possibile conciliare l’uomo immagine di Dio e l’uomo naturale?
Forse no, ma sarebbe, credo, un errore voler cancellare una delle due visioni: il mondo è un posto sufficientemente grande per accogliere questa e altre contraddizioni al suo interno.

8 commenti su “La dignità dell’uomo

  1. “per quanto possa rispettare chi professa un simile credo (e ne ho davvero il massimo rispetto)”
    Mi dispiace, basta col “politicamente corretto”. Posso rispettare CHI professa simile credo, in quanto persona, ma non CIO’ che professa, che mi limito a tollerare – a volte con curiosità – solo come una delle tante espressioni dell’inventiva umana (al pari di un quadro, di una scultura, di un buon libro). E solo finché da inventiva non si trasforma in INVETTIVA nei confronti di chi non riesce proprio a concepire certe scelte fondate sul magico o sul fantastico …

  2. @lector: Ti rassicuro: nessun cedimento al politicamente corretto o al più italico “volemose bene”. La mia è semplice tolleranza, quella del liberale (che parolona!) che vuole tollerare e soprattutto vuole essere tollerato (e si incazza se una delle due non avviene).

    @luca massaro: Grazie (e attendo eventuali commenti).

  3. E’ celebre l’ironica frase di De Maistre sulla retorica umanista dello “Illuminismo”:

    “Non c’è alcun uomo nel mondo. Io ho visto, nella mia vita, dei francesi, degli italiani, dei russi etc; so perfino, grazie a Montesquieu, che si può essere persiani. Ma quanto all’uomo, io professo di non averlo incontrato nella mia vita: se esso esiste, è del tutto a mia insaputa.”

    Come spesso accade, il feroce critico delle ideologie De Maistre coglie nel segno, al di là di speciose faccende di superficie quali la “dignità” o la “umiltà” dell’uomo.

    … perché il punto non è la dignità, ma lo “UOMO“.

    La megalomania che tu non vedi abbondava e abbonda in tutti discorsi sull’uomo di cui spesso ci si gloria.
    Che importa se l’uomo sente o non sente dei limiti! Se lo fa o non lo fa, è solo perché il suo modello di uomo è limitato o incrollabile.
    Dici che ora è tolto il modello di Dio.

    Vero, ma era un modello sui generis: non giustificava nulla per raggiungere o attuarlo – se non con forzature concettuali -, essenzialmente perché non possiamo pretendere di diventare Dio.
    Può accadere solo con una dottrina della teosi, curiosamente molto in voga tra intellettuali laici contemporanei.
    Una migliore traduzione di “somiglianza” potrebbe, infatti, essere forse “impronta”.
    Ci vuole una certa forzatura, per quanto “laica” e “razionale”, per connettere “esaltazione dell’uomo” al concetto di impronta e di fango impastato

    Ma non importa- a livello di premesse logiche – quale fosse l’argine ormai scomparso.
    Il nocciolo è che caduto l’argine non si riesce più a parlare di uomini senza riferirsi all'”uomo”. Si ha sempre di fronte un nostro archetipo, costruito e arbitrario.

    Sarà stato detto infinite volte, ma resta vero che tutte le ideologie- progressismo, fascismo, liberalismo continentale, comunismo, nazionalismo, consevatorismo – hanno in comune questa arbitrarietà del modello.
    Cercano di costruire l’uomo nuovo- o l’uomo antico – in terra, a qualsiasi costo- costi che ovviamente pagano gli “uomini difformi”, esclusi dal novero umano con le seguenti deliranti accuse: “pregiudizi”, “irrazionalità”( cioè non sono d’accordo ), “antichità di idee”( cioè non pensano che il mondo debba essere riplasmato da capo ) etc. etc.
    L’accusa si riassume, in breve, nel seguente capo d’accusa: “cospirazione contro l’ordine cosmico-antropologico di stato”.

    Permettimi, ma non è una cosa da poco.
    E’ una delle grosse minaccie politiche che la nostra società non ha ancora espulso e guarito.

    La deriva antropoligica è un discorso così sottile che penestra anche nel tuo discorso.
    Tu contrapponi, pur volendole “tollerare”, due diverse “visioni dell’uomo” in un unico “spazio”.
    Ma questa è la TUA reinterpretazione del mondo: c’è solo una visione dell’uomo, la TUA.
    Quella che tu avversi si muove su un piano diverso, dove non c’è modello, non ci sono che individualità.
    Non c’è che un mondo enorme, inquietante e straordinario che ci sovrasta tutti, ma nessun tranquillizzante e irenico “spazio comune”.

    ciao, Eno

  4. @eno: Curioso che De Maistre veda italiani, francesi, russi, ecc. e non semplicemente delle persone che, per accidente, parlano lingue diverse… 😉 (comunque, me lo dovrò proprio leggere, De Maistre)

    Non credo che Schönborn accetti di buon grado “impronta”: tutto il creato è “impronta” di Dio, solo l’uomo ne è “immagine”.

    Per quanto riguarda la “cospirazione contro l’ordine cosmico-antropologico di stato”, mi sembra che una simile accusa è capitata anche (non dico soprattutto, ma anche) a non pochi contrari all’antropologia dell’uomo “immagine di Dio”, quindi non capisco bene perché un tale problema dovrebbe valere solo per loro.

    L’ultima parte sulla deriva antropologica non mi è chiara, quindi non commento nulla…

  5. E’ vero, parte delle obiezioni che rivolgo a te calzano perfettamente anche a Schönborn.
    Ne sono consapevole, come sono consapevole che molti sistemi di pensiero di ispirazione cristiana o teista replicano lo schema che accuso.

    Ma è con questo che spiego la fastidiosa monomania di Schönborn per l’evoluzionismo: ha assunto lo schema mentale di ciò che contesta, ma rovesciandolo.
    Non è difficile: il racconto biblico è mitico, ed è facilmente confondibile con una “definizione antropologica”.

    Con deriva antropologica indico l’abitudine a pensare che qualsiasi discorso su “chi sono?” o “qual è il mio posto al mondo?” o “servo a qualcosa, sono io l’artefice del mio scopo o cos’altro?” vadano pensati nei termini di “qual è il modello dell’uomo?”.
    L’assunto non è ovvio, perché alla stessa domanda ci possono essere non solo risposte diverse, ma tipi di risposte differenti.
    Anzi! c’è una radicale e qualitativa trasformazione della “creaturalità” e “umanità” in un articolato, benché arbitrario, “concetto di uomo” o “modello di uomo”.
    Solo dove c’è questo concetto c’è una “visione dell’uomo”.

    Le conseguenze non sono lievi: ciò che chiami tolleranza non è affatto neutrale ideologicamente, ma è costruito sul modello e sul concetto di uomo.
    Dunque, è scontato che la prospettiva non antropologica, che pure vuoi accogliere nella grande casa della tolleranza, sfugga a quei limiti.

    Dal tuo punto di visto, sarà intolleranza.
    Da un punto di vista esterno, è la fuga da un concetto angusto.

    ciao! Eno

    Ps Per inciso, abitanto nella provincia di Trieste- dove l’irredentismo non è mai stato troppo amato- , io sono asburgico, non italiano.
    L’italia e la sua imposizione qui mi stanno sullo stomaco in modo inimmaginabile, tanto quanto l’orrida lingua italiana. Ho più volte meditato: “Non sarebbe meglio secedere e passare alla Slovenia? o di nuovo all’Austria?”.
    Sono affezionato all’Italia solo in termini di nazione provvisoria. 😛

  6. @eno: Continuo a non capire il tuo discorso sulla mia tolleranza che diventa intolleranza… Mi sa che partiamo da prospettive molto distanti, quando parliamo di modello di uomo…

    Immagino che quel “abitanto” sia effetto della pronuncia asburgica… 😉

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