La crisi delle scienze italiane (senza neppure la consolazione della fenomenologia trascendentale)

Nel dicembre del 2006 mi abbonai a Newton.
Tra le riviste di divulgazione scientifica, era la mia preferita e la leggevo sempre con grande piacere. Era una delle poche riviste di divulgazione scientifica che voleva spiegare la scienza, non stupire (o spaventare) le persone con improbabili successi della tecnoscienza.

Qualche mese prima dello scadere dell’abbonamento, la RCS-Periodici ha iniziato a sollecitare, con una certa insistenza, il rinnovo dell’abbonamento. Non che non volessi pagare – semplicemente sono solito aspettare lo scadere dell’abbonamento, quindi dicembre.
Un mese dopo il rinnovo, è uscito il numero di gennaio 2008, l’ultimo numero di Newton. E qui un po’ di commenti sulla serietà della RCS-Periodici si potrebbero fare: davvero l’ufficio abbonamenti non sapeva che la loro rivista avrebbe chiuso i battenti di lì a poco?

Dopo un paio di mesi di silenzio (eppure per il rinnovo si erano mossi prima della scadenza), mi informano che mi faranno avere un elenco di riviste alle quali potrò abbonarmi1. Questo elenco non è mai arrivato.
In compenso, da questo mese mi ritrovo abbonato a Dove, rivista di viaggi, e Max, rivista di… beh, lasciamo perdere.

Ho provato a leggere Dove, ma non ci riesco. Le oltre 300 pagine patinate rendono il mensile ottimo come attrezzo ginnico, un po’ meno come lettura. Non sono abituato all’impaginazione, e fatico a distinguere le pagine pubblicitarie da quelle dedicate agli articoli.
Comunque, belle foto.

Anche le foto di Max sono molto belle, e vedere Micaela Ramazzotti senza veli è sicuramente una esperienza che arricchisce. Tra gli articoli, segnalo una interessante riflessione di Catherine Townsend sui vibratori (Coniglio scatenato, p. 20); la dieta del maschio 2008 (600 grammi di frutta e verdura, 200 milligrammi di succo di melograno e 600 di tè verde, p. 245); una coraggiosa denuncia sull’arretratezza dell’Italia in campo medico (Omeosimpatia, p. 250): solo 11 milioni di persone ricorrono all’omeopatia, nonostante la sua efficacia sia garantita da Claudio Bisio, soddisfatto utilizzatore di rimedi omeopatici insieme a Radetzky e Beethoven (il primo, morto a 91 anni, può anche essere un buon testimonial, su Beethoven, morto a 56 anni in seguito alle complicazioni di una polmonite, ho i miei dubbi).

Nelle intenzioni della RCS-Periodici, tutto questo dovrebbe sopperire, ad esempio, alle rubriche di Rita Levi Montalcini e Roberto Vacca, o ai racconti inediti di Arthur C. Clarke.
È la crisi delle scienze italiane. E lo dico senza ironia.

Il titolo del post viene da qui.

  1. Per un confronto: quando fallì Diario, pochi giorni dopo l’uscita dell’ultimo numero mi offrirono tre alternative: ottenere un rimborso immediato; congelare l’abbonamento in attesa di una nuova rivista; versare a emergency la parte restante dell’abbonamento. []

16 commenti su “La crisi delle scienze italiane (senza neppure la consolazione della fenomenologia trascendentale)

  1. Si, è possibile che l’ufficio abbonamenti non sapesse niente della chiusura. Il discorso delle riviste scientifiche italiane e di come sono state gestite è lungo e complicato (sono stato in mezzo ad alcune di esse), ma soprattutto è un discorso di totale disinteresse da parte degli editori, che le vedono semplicemente come veicoli per la pubblicità di un certo tipo; lusso ma non troppo, diciamo. Il risultato è che ora come ora non ci sono riviste italiane che parlino esclusivamente di scienza, a parte ovviamente Le scienze e addentellati (che però ha origine americana) e Darwin, che però sta probabilmente tirando le cuoia.

  2. @Marco Ferrari: Gli editori, alla fine, fanno il loro lavoro, che non è quello di diffondere cultura, ma di vendere riviste.
    Forse il problema è di miopia editoriale, o forse hanno ragione gli editori, e le riviste scientifiche, in Italia, non vendono.
    Consoliamoci con il web…

  3. Ti faccio notare che, se su “dove” non si distinguono gli articoli dalla pubblicità, ci sarà pure un perché. Lo stesso avviene per molte riviste patinate che dietro una impaginazione “trendy” nascondono solo l’esigenza di veicolare meglio la pubblicità.

    Gli editori fanno il loro mestiere indubbiamente. Secondo me, il problema sono gli acquirenti che hanno da tempo ormai abdicato al loro diritto di scegliere consapevolmente.

    PS: non avendo più niente da dire, sto per usare il tuo fantastico servizio!

    Lo sai che scrivi benissimo? Non capisco come mai tu non abbia ancora vinto il premio Nobel…

  4. @alex: …
    [mia moglie legge questo sito: preferisco non dire nulla di compromettente]

    @knulp: Avevo pensato anche io una cosa simile.
    Certo che è dura fare il lettore consapevole, quando ti abboni a Newton e ti ritrovi con Max!
    PS Grazie per il sincero complimento… 😉

  5. A me fa solo ridere quando leggo che le case editrici italiane sono “produttrici di cultura”. Ma de che? Non c’è più una rivista scientifica degna di questo nome, e neppure una di natura, quanto a questo (guardate come il padrone del Torino ha ridotto il glorioso Airone, con tanto di licenziamenti del “vecchio” personale), quelle che vanno sono le riviste di moda, televisione e gossip. E questa è cultura? Seriamente, io sono convinto che una rivista di scienza potrebbe arrivare alle sue tranquille 50-60000 copie, e vivere a lungo. Ma gli editori vogliono vendere 2000000 di copie di qualunque cosa, e allora non si accontentano. E chiudono

  6. @jova: 🙂

    @Marco Ferrari: Airone, me lo ricordo! E come darti torto… ma quanti editori ci sono? Possibile che nessuno si accontenti di 50’000 copie di una rivista di qualità?

    @alex: infatti non ho scelto…

  7. Editori veri, secondo me nessuno (di riviste, dico). Sono tutti amministratori delegati di industrie che potrebbero anche vendere salumi e bulloni. O programmi e campagne elettorali…

  8. Mi ero sempre tenuto un po’ alla larga dalle riviste divulgative, soprattutto per carenza di tempo.

    Poi, in mancanza di altro da leggere, sono incappato nello Speciale Darwin proprio di Newton.

    Novello Moretti a Spinaceto mi son detto: “Mica male ‘sto Newton, pensavo peggio!”. Peccato abbia chiuso, già lo stato della Scienza in Italia è quello che è, se si perde la divulgazione ci rimane solo l’omeopatia (anche Micaela Ramazzotti, certo, però…)

  9. Involontariamente, il commento di tfrab ti spiega in parte la crisi delle riviste di scienza (al di là della volontà degli editori di NON farle). Sono certo che lui sia sincero e non abbia veramente tempo, ma molti ricercatori o altri del mondo della scienza non leggono le riviste quasi per partito preso perché:

    non hanno tempo,
    gli articoli usano un linguaggio troppo semplice,
    sono superiori a certa stampa,
    le riviste sono piene di errori,
    leggono solo Nature e Journal of physical research letter

    Non sto certo dando la colpa a lui personalmente, ma a un certo mondo della ricerca che preferisce chiudersi nella torre d’avorio (oddio, magari proprio avorio no…) piuttosto che sporcarsi le mani leggendo e scrivendo su riviste di divulgazione, partecipando al dibattito, facendo sentire la propria opinione. In una parola, buttandosi nella società.
    In poche parole, i fruitori o i “partecipanti” al mondo della divulgazione scientifica se ne tengono lontani. E questo anche in conseguenza della cosiddetta peer pressure; cioè la cattiva fama che ti fai quando entri nel mondo della divulgazione. Avrei migliaia di esempi da farti, ma credo che non sia difficile capire cosa può succedere.

  10. Aggiungerei una cosa: tra i destinatari della divulgazione scientifica ci sarebbero, in effetti, anche coloro che la schifano.

    Il sapere è molto settorializzato, se uno vuole mettere il naso fuori dal suo orticello deve, per forza di cose, affidarsi alla divulgazione.

  11. @Marco Ferrari: Beh, i filosofi professionisti non disdegnano articoli sui giornali, ma la (seria) divulgazione filosofica è messa solo un pochino meglio di quella scientifica!

    @tfrab: Nell’articolo sull’omeopatia si dice a chiare lettere che dopo la diluizione non rimane nulla della sostanza originaria, tranne una traccia energetica… A questo punto viene da sperare che il lettore medio di Max si limiti alle foto di Micaela Ramazzotti (che è comunque una brava attrice, almeno sotto la regia di Virzì).

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