Io e l’altro io

Uno degli eresiarchi di Uqbar, così racconta Borges in Finzioni, aveva giudicato che gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini.

Difficile resistere alla tentazione di iniziare con questa citazione un discorso sugli specchi, questi oggetti particolari e molto metafisici, in grado di moltiplicare se non gli uomini, almeno la loro immagine, il che non è poco.

Alla riflessione metafisica e letteraria si è, da un po’ di tempo, aggiunta anche la psicologia. Nel 1970 lo psicologo Gordon G. Gallup ideò un interessante esperimento per saggiare l’esistenza di autocoscienza degli animali: se un individuo è in grado di riconoscere la propria immagine allo specchio, ossia di capire che quello che ha di fronte non è un altro individuo, allora possiede autoconsapevolezza.
Recentemente, si è scoperto che oltre alle scimmie anche gli elefanti superano questa curiosa prova e possiedono quindi una qualche forma di autocoscienza (un divertente filmato).

Notevole lavoro della psicologia: prendere un concetto terribilmente complicato e tradurlo in un semplice esperimento. Confrontando la citazione di Borges con l’esperimento di Gallup si può assaporare tutta la differenza tra filosofia e psicologia.

7 commenti su “Io e l’altro io

  1. Riguardo agli specchi e alla coscienza, due piccoli consigli:
    1) prova a leggere (se già non l’avessi fatto) il Minotauro di Friederich Durrenmatt
    2) ci sono ricerche in corso sui cosiddetti “neuroni specchio”, magari ti interessano…

    Bye bye

  2. Grazie per i consigli. Il Minotauro l’ho letto anni fa, e questa può essere una buona occasione per rileggerlo.
    Quanto ai neuroni specchio… sulla loro importanza in psicologia non ho dubbi (o meglio, mi sembra non li abbiano gli psicologi), non ho ancora compreso la loro importanza filosofica, se c’è (non che, in mancanza di importanza filosofica, possano anche non esistere, però interessano meno me).

  3. Si potrebbe maliziosamente chiedersi: va bene, sa che quello non è un altro individuo, ma che cosa ci fa credere che ritenga quell’immagine un individuo tout court?
    L’equivalenza tra “riconoscere sé stessi” e “sapere che non è un altro individuo” non mi convince.
    Visto che quella è un’immagine che non reagisce come i normali elefanti, il pachiderma potrebbe considerarla un “falso elefante”( concetto che comunque comporta una notevole capacità intellettuale ), una illusione o banalmente un elefante noioso e trascurabile SENZA per questo identificarla con sé stesso.
    Mi pare un esperimento poco conclusivo…
    ciao, eno!

  4. L’esperimento si è svolto così: hanno tracciato (mentre l’elefante era sotto anestesia, se non sbaglio) una grossa X sulla giancia destra del pachiderma e poi hanno posto l’animale di fronte ad uno specchio.
    L’elefante si è toccato la guancia dove effettivamente era tracciata la X, non l’altra. Ciò significa, per gli psicologi, che ha capito che l’immagine allo specchio è proprio la sua, non quella di un altro pachiderma (nel qual cosa si sarebbe toccato l’altra guancia).

    Che poi il concetto di autoscienza sia meglio esemplificato dalla una proboscide che si tocca la guancia corretta o dalle Confessioni di Agostino, è un altro paio di maniche…

  5. Urca, mi era sfuggito l’azzurro del link sugli elefanti nel testo…! Pardon, la mia domanda era quindi superflua e il mio pianificato tentativo di malizia un goffo colpo a vuoto.
    Vero, è un esperimento persuasivo, che mette in parte in discussione l’idea di una differenza qualitativa tra il mio amato fanatico di Ippona ed il pachiderma.
    ciao, eno!
    ( Ti ho risposto sul blog. )

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