Il test della Kobayashi Maru

di Ivo Silvestro e Alex Grossini

ALEX: Ciao Ivo, potremmo provare con Wave quel discorso su Star Trek II – L’ira di Khan. L’ho riguardato e ci sono molti spunti, ma direi di concentrarci su quello del cheating, dell’imbroglio nel test della Kobayashi Maru come suggerivi. E poi usiamo questo wave come post su MotW. Buona idea?

IVO: Usiamo wave? Ma sì, dai. Iniziamo con una descrizione del test?

ALEX:  Perfetto, io inizio: la Kobayashi Maru è un’astronave descritta come nave da carico di Classe III, comandata da Kojiro Vance con 81 membri di equipaggio e 300 passeggeri. A un certo punto di un suo viaggio si trova in avaria, e qui inizia il dilemma: la KM lancia un sos, la Enterprise è nei paraggi, e si prepara a portare aiuto. Però c’è un problema, la zona in cui si trova la KM è off limits

IVO: La zona neutrale è peggio di una zona off limits: in base al fragile trattato di pace di Organia nessuna nave da guerra può entrarvi. E qui si arriva al dilemma che dicevi: cercare di salvare quelle 381 persone scatenando una guerra con l’impero Klingon che causerà, se tutto va bene, milioni di morti, oppure lasciar morire quelle persone?

La storia della Kobayashi Maru è un interessante test che viene sottoposto ai cadetti della flotta stellare. Interessante non solo per il dilemma etico che presenta, ma anche perché non è possibile superarlo. Si tratta di un no-win scenario: non ci sono possibilità di salvare l’equipaggio della nave in avaria. Se si entra nella zona neutrale, subito si disoccultano diversi vascelli Klingon e per la nave in missione di soccorso non c’è scampo.

ALEX:  Essendo una situazione senza possibilità di vittoria, pare (così almeno si legge in rete, tra i fan della serie) che il test KM valuti non la decisione, ma la capacità di comandare un’azione – una qualsiasi, visto che l’effetto è comunque perdere delle vite. Sarà anzi curiosa alla fine la soluzione di Spock, che da vulcaniano non ha mai fatto questo test, ma sappiamo che è un utilitarian spinto, e anche nel film ripete più volte che l’interesse di molti va privilegiato rispetto a quello di pochi o di uno solo.

IVO:  Un utilitarista non egoista, forse persino comunitarista: la sua soluzione ai no-win scenario è sacrificare il minor numero di vite, eventualmente anche la sua. È quello che succede alla fine del film: Spock si sacrifica per salvare la nave. Muore, ma il terzo giorno lungometraggio risorge.

ALEX:  Il primo punto che mi salta all’occhio è che per diventare capitano di una nave devi saper sacrificare vite – oltre eventualmente alla tua. Spock ne sarebbe capace in base al principio utilitarista di cui sopra. La sua allieva Saavik ha più remore.

La dottrina strategica generalmente sottolinea questa capacità, ma non offre giustificazioni “morali”, solo prudenziali. A me piace molto questo tipo di ragionamento, io non sono per niente convinto dell’esistenza di universali morali, e mi sembra che il livello prudenziale sia più che sufficiente, oltre che l’unico praticabile. Penso per esempio a L’arte della guerra di Sun Tzu, dove senza tanti giri di parole il consigliere Sun Tzu suggerisce di sacrificare interi battaglioni, pur di ottenere la vittoria finale.

Questo è un punto interessante perché il sacrificio di alcune vite è un pezzo di una strategia di inganno contro il nemico: mandare allo sbaraglio qualche migliaio di soldati serve a far spostare i nemici, in modo da cercare buchi nelle difese. Ora, questa ci sembra un’azione sommamente immorale. Abbiamo spaventose resistenze a mandare a morire delle persone, sia a livello “simpatetico” sia a livello razionale (non si usano le persone come mezzi). Ma la teoria militare non si fa questi problemi. Von Clausewitz dice che “La guerra è un atto di violenza e non esistono limiti al suo impiego” (Della guerra, I, 1).

Ma diciamo come continua il test KM: Saavik prende la sua decisione, scoppia una battaglia, il suo equipaggio muore (compreso Spock! :D). E poi la sciagura più grande: si apre la porta ed entra l’ammiraglio James Tiberius Kirk, che rimprovera la cadetta. La rimprovera nonostante sappia benissimo che qualunque decisione avrebbe portato a perdere. E lo sa benissimo perché… perché lui ha passato quel test solo al terzo tentativo.

Eccoci dunque al punto: Kirk è l’unico che sia stato capace di superare un test che non si può superare! Il punto è proprio il come l’ha superato, e il come si scopre più avanti nel film.

IVO:  Cercherò di descrivere come ha fatto il cadetto Kirk a superare il test utilizzando un linguaggio il più possibile neutro.

La soluzione di Kirk è fuori dagli schemi: non potendo battere i Klingon all’interno della simulazione, ha cerato di batterli fuori dalla simulazione, riprogrammando i computer. Nel film L’ira di Khan (Khan è un dittatore geneticamente modificato – altro tema interessante, ma meglio non allontanarci) non si entra nei dettagli, e non sappiamo che tipo di modifica è stata apportata. In Star Trek Il futuro ha inizio del 2009 il giovane cadetto costringe le navi klingon ad abbassare gli scudi. Ma, in un romanzo del 1989 si propone una soluzione più intrigante: i Klingon temono e rispettano la figura del capitano Kirk e non iniziano la battaglia.

Torniamo a L’ira di Khan. Appena Kirk ha esposto la sua soluzione, la reazione è: «Hai imbrogliato» («You cheated»). Immagino che tu non sia d’accordo con questo giudizio.

ALEX: Immagini bene. Io ho un paio di problemi: tanto per cominciare mi sembra che sia possibile un cheat solo dove ci sono regole chiaramente espresse. Per esempio nello sport, è cheating qualunque infrazione delle regole che non sia rilevata dall’arbitro e porti vantaggio a chi la commette. Ma ci sono forzature delle regole che l’arbitro rileva ma non punisce (caso classico la caccia all’uomo alla fine delle partite di basket che sono punto a punto), e che i giocatori ritengono parte normale del gioco. Di più, sono parte del bagaglio di un buon giocatore. Un buon giocatore non è un automa che svolge il programma “Regolamento”, ma sa pensare fuori dagli schemi. Secondo, ma forse banale, è il fatto che un cheat deve produrre un danno a qualcuno che collabora (con il fine di “vincere tutti”, anche chi perde la partita, perché comunque è bello giocare) alla costruzione dello stesso gioco, e un’azione di guerra non può essere condotta senza provocare danni. Qui certo mi stacco da Sun Tzu, che dice che il generale davvero bravo è quello che vince la battaglia senza combatterla. Forse Kirk ha applicato sia il pensiero laterale/creativo, sia i suggerimenti di Sun Tzu. A me non sembra un imbroglio. A te si?

IVO:  “Nullum crimen, nulla poena sine lege“. O si trova un regolamento che vieta espressamente la riprogrammazione della simulazione per superare il test, oppure Kirk non può venire punito. Ma questo riguarda i crimini, le violazioni delle leggi: credo che gli imbrogli siano altra faccenda. Credo, in altre parole, che sia possibile un imbroglio anche in assenza di regole chiaramente espresse.

Posso immaginare due giocatori che, dopo aver stabilito alcune regole (costitutive) di un gioco, stabiliscano che “non si imbroglia”. Una simile regola (“non imbrogliare”) sarebbe insensata se un imbroglio fosse soltanto la trasgressione di una regola.

Il nostro agire è regolato da numerose assunzioni implicite, e la violazione di alcune di queste assunzioni è imbroglio.

Sul principio del danno: in guerra non ci si può lamentare di aver causato danni a qualcuno, è vero. E infatti nessuno accusa Kirk di aver imbrogliato, quando utilizza i codici di accesso della nave di Khan per disabilitare gli scudi. Però la Kobayashi Maru non è una azione di guerra, è un test, un esame. Qui ci sono delle regole, anche se tacite. Kirk, riprogrammando la simulazione, ha violato queste regole.

O, meglio, le ha riscritte: ha creato nuove regole che la controparte (la flotta stellare) può accogliere o no.

In L’ira di Khan le accoglie, e Kirk ottiene un encomio per originalità tattica. Curiosamente, in Star Trek il futuro ha inizio (l’ultimo film, uscito l’anno scorso), le nuove regole non vengono accolte, e Kirk rischia una punizione.

ALEX: La sanzione morale si esprime nelle regole non scritte. Effettivamente sembra superfluo inserire nel patto che costituisce il gioco la regola che dice che le regole vanno rispettate (anche se Hobbes lo fa: pacta sunt servanda), perché è una regola di senso pratico il fatto che infrangere le regole di un gioco rischia di distruggere il gioco, nel momento in cui nessuno le rispettasse più.

Però visto che parliamo di cheating invece di “distruzione” vuol dire che l’infrazione delle regole non distrugge i giochi. Chissà perché. Magari perché una piccola percentuale di free riding è tollerabile, in qualche misterioso modo. Il caso di Kirk però non è nemmeno free riding. Ma prima di dire cosa mi sembra questo caso, meglio chiarire cosa intendo per cheating: io seguo un articolo di Stuart Green del 2004, “Cheating”. 1 L’autore analizza normativamente il concetto “cheating” e sostiene che

In order to say that X has cheated, X must (1)violate a fair and fairly enforced rule, (2) with the intent of obtain an advantage over a party with whom she is in a cooperative, rule-bound relationship.

Il caso “Kirk vs. Klingon – salvataggio della Kobayashi Maru” presenta queste caratteristiche? Io direi di no, tu dici di sì perché è una simulazione: Kirk non imbroglia i Klingon ma gli esaminatori della commissione che deve dargli i gradi. Ma lo scopo di una simulazione non è essere trasparente? In una simulazione ci si allena per la realtà: quindi anche nella simulazione Kirk combatte veramente i Klingon.

Ma c’è una cosa che mi lascia perplesso, e che potrebbe corroborare la tesi che Kirk ha imbrogliato: perché, dal momento che la strategia del capitano è stata premiata, nessun altro l’ha messa in atto? Perché il gioco ha potuto continuare a essere l’esame più difficile per i cadetti, e non è stato distrutto dalla strategia “riprogrammo il codice (ovveroriscrivo le regole) in modo che ci sia una via d’uscita”? Forse – perché la strategia è davvero contro le regole non scritte del gioco…

Un’altra cosa che mi è venuta in mente è che questo test sembra decisamente un koan zen. I koan sono quelle situazioni che i maestri zen presentano ai loro allievi per portarli all’illuminazione. La caratteristica di un koan è non avere una soluzione razionale. Perché il problema è proprio la razionalità che crea distinzioni, dualismi e non permette di vedere il quadro intero. Una soluzione fuori dagli schemi è richiesta per la soluzione di un koan. Kirk è un illuminato. Ha pensato fuori dagli schemi:

IVO: Siamo d’accordo: Kirk ha pensato fuori dagli schemi. Ha fatto qualcosa di originale, qualcosa che non era mai stato fatto prima.
E credo che parte del problema sia proprio qui.

Innanzitutto un gesto originale non si può copiare: un altro cadetto che riprogrammasse il simulatore non darebbe prova di originalità tattica, ma di “abilità copiativa”, una dote che probabilmente non è così importante, per la flotta stellare, e i cadetti non se la sentono di rischiare.

Scrivo probabilmente perché le “regole non scritte” non forniscono certezze. Sono uno strumento elastico (il che potrebbe essere un pregio) e vago (il che potrebbe essere un difetto). Le violazioni delle regole non scritte sono tali solo a posteriori, contrariamente alle violazioni delle regole scritte che, almeno in teoria, sono sempre prevedibili.

  1. Stuart Green, “Cheating”, in Law and Philosophy, 23, 2004, pp. 137-185[]

11 commenti su “Il test della Kobayashi Maru

  1. col discorso della capacità strategica di sacrificare le vite (altrui) intendevo mettere in evidenza che ci sono “imrbogli” a danno di un competitor che raggiungono livelli estremi, assolutamente immorali, inaccettabili in apparenza nella morale comune, ma nella situazione specifica sono la scelta appropriata.
    e oltre a questo, non sono nemmeno cheating perché sono deception, melio strategic deception: ci si aspetta una “finta” che sbilancia l’avversario, ogni buon giocatore deve saper fare finte.

  2. Ciao Alex, due note piuttosto banalotte:i) “Un buon giocatore non è un automa che svolge il programma “Regolamento”,
    ma sa pensare fuori dagli schemi” – questo è ovvio, le regole sono solo constraints, vincoli al comportamento strategico; rispettare il regolamento di per sè non è nemmeno segno di “saper giocare” a un gioco (btw, il caso anomalo della pallacanestro da citare non è il fallo sistematico – che non mi risulta violi nessuna regola se effettuato senza violenza e (come dice il regolamento) “nello spirito del gioco” -, quanto piuttosto (vedi States) i passi in partenza, che tutti vedono ma nessuno sanziona).ii) change of rules, change of test, parafrasando quine. Se riprogrammi il PC cambi i constraints nei quali sei chiamato ad agire e questo è “barare” senz’ombra di dubbio – o cmq, è sostituire una prova con un’altra, per cui non puoi cmq dire di aver passato il test originario.

  3. beh non sono mica note banali.
    però ribatto:
    – le regole generano le strategie possibili, non sono limiti a quelle che in qualche modo preesistono al gioco. se non so come si deve svolgere il gioco non posso sviluppare né selezionare strategie borderline.

    il fallo sistematico è l’esempio classico in letteratura: il fallo è proibito dal regolamento, e quando compiuto intenzionalmente c’è l’aggravante, tanto che diventa un “antisportivo” e viene punito non solo col tiro libero, ma anche con la restituzione del possesso palla a chi ha subito il fallo. la strategia allora sarebbe dannosa per chi la applica, e questa è la volontà chi stende il regolamento. però nessun arbitro sanziona con un antisportivo questa tattica, e nessun giocatore né allenatore vi è contrario.
    regolamento FIP, p. 52-53.
    la violenza del fallo è solo una delle caratteristiche dell’antisportivo, ma la prima è proprio non cercare la palla. nel fallo tattico si cerca l’uomo, è antisportivo.

    sull’altro pto, citi la teoria dell’incompatibilità: infrazioni talmente grandi al regolamento che escono dal gioco stesso, sono incompatibili con quel gioco. per esempio: correre una gara ciclistica in motocicletta. il regolamento del ciclismo prevede che una gara ciclistica si corra in bicicletta, se la corro in moto vado più veloce e vinco. però la moto non è prevista dal regolamento, e correre una gara in moto mi porta fuori dal ciclismo, mi fa entrare nel motociclismo. sto facendo un altro sport. ma se faccio un altro sport, come faccio a imbrogliare nel precedente? perché non sto nemmeno partecipando al precedente! esattamente change of test.

    però il caso di kirk è strano: lui viene premiato, per originalità tattica, da chi ha creato e gestisce quel gioco, quel test. quindi il suo comportamento è valido all’interno di quel test. questo è un caso di regole di strategia, che estendono quelle costitutive: le regole costitutive sono stese all’inizio, costituiscono la pratica, però giocandola emergono altre necessità, che migliorano il gioco. allora o si accetta una certa flessibilità (strategie) o si modificano le regole (emedamenti). il gioco continua a esistere. nel basket i cambiamenti di regolamento sono tanti e noti (allargamento dell’area, su tutti. oppure i 24″ per lo svoglimento dell’azione). nella formula1 non passa anno senza che qualcosa cambi (e resta tutto uguale…). eppure questi giochi continuano a esistere e li riteniamo sempre lo stesso gioco, la stessa pratica, lo stesso test.

    il mio punto è che le strategie stiracchiano i limiti, ed è bene così perché altrimenti non vale la pena di giocare. non è imbroglio. kirk non ha imbrogliato, ha risolto un dilemma rimanendo nelle regole e nello spirito del gioco (che era combattere i klingon, e in guerra non c’è alcun limite alle strategie applicabili)

  4. Continuo a non capire il punto del fallo antisportivo ma ne parliamo a voce per non tediare la comunità su sottigliezze cestistiche 🙂 (il fallo alla fine non è che non viene sanzionato qua fallo, solo non viene giudicato antisportivo perchè è cmq un tentativo di “giocare la palla” – in particolare è un tentativo di portare una gara a n possessi a una gara ad almeno n + 1 possessi – e questo mi sembra perfettamente nello spirito del gioco). Perfettamente in sintonia sull’interplay strategia e regole: le rules cambiano, i giochi restano, ma sempre in dubbio su kirk (se l’hanno premiato per originalità questo non significa necessariamente che lui abbia vinto la sfida originale; potrebbe anche significare che ha trasformato una sfida in un’altra e ha vinto quest’ultima, più semplice – mi ricorda uno che non riuscendo a sciogliere un famoso nodo decise di reciderlo e tutti pensarono che era davvero l’uomo della profezia e avrebbe governato sull’Asia) – senza contare che lo spirito del gioco è non è battere i klingon, ma mostrare determinate caratteristiche in una SIMULAZIONE (anche se il mio TOEFL simulava una visita guidata in un museo a NY, lo spirito del gioco era focalizzato sul parlare un buon inglese).

  5. certo l’arbitro può fingere di considerare la caccia all’uomo una caccia alla palla, ma tutti i partecipanti sanno che è una caccia all’uomo. e la caccia all’uomo è esplicitamente vietata dal regolamento, e altrettanto esplicitamente viene posto nel regolamento (citato nel precedente commento, pp. 52-3) il comando di sanzionare questo tipo di gioco come antisportivo.
    invece tutti i partecipanti applicano una strategia diversa, che sovrascrive la regola. ma la regola non sparisce.

    sulla simulazione, la mia idea, espressa anche nel post, è che sia trasparente. non sta facendo finta di combattere i klingon; sta effettivamente combattendo i klingon. chi gioca una simulazione non lo fa per dimostrare quali caratteristiche ha, ma per soddisfare il fine del gioco stesso.

    sul tedio delle sottigliezze, ahimè i filosofi mandano la testa nell’iperuranio e non si interessano a questioni interessantissime e vive. tipo: ma la mazza di barry bonds, quella di alluminio, era un vantaggio competitivo illecito (contro babe ruth, hank aaron, sammy sosa, willie mays, a-rod…) nel suo record di homerun? (visto che poi la mlb ha deciso di tornare a quelle di legno, salvo poi scoprire mazze che erano di legno solo esternamente e di sughero dentro, più leggere e veloci da girare… questo è cheating! :D)
    (e lasciamo stare il doping, il caso balco ecc.)

  6. Bel tema, irresistibile per me che sono un fan di Star Trek.

    Ovviamente ero rimasto folgorato dalla genialità del grande Kirk e anche a me era venuta l’idea del koan e che lui fosse un illuminato. In realtà, solo un moralista (Mordacci ci legge? :-)), si pone il problema di redarguire Kirk perché avrebbe violato le regole (non scritte). Questa linea non è una mia urgenza, provando simpatia per l’immoralismo difeso da Mordacci.

    In realtà, credo che la situazione merita di essere analizzata in una direzione che, se non ho letto troppo distrattamente, avete trascurato (non è una critica: il vostro testo era già lungo così). Solo apparentemente la soluzione di Kirk è il classico uovo di Colombo. Nell’uovo di Colombo si mostra una soluzione semplice e fuori dagli schemi. Quello di Kirk è un test, svolto nell’ambito di una simulazione: qui c’è un gioco tra realtà e finzione che meriterebbe maggiore analisi. Modificando il software egli rifiuta la realtà del test proposto. Vince perché gioca a un altro gioco, ma facendo così fa un fuori tema. Quindi il problema non è il moralistico “hai barato”, ma il sostanziale: “non hai capito cosa ti veniva chiesto: saper affrontare una realtà che non piace, anzi una realtà tragicamente dolorosa in cui ci si sente impotenti e colpevoli”. Se questo mio scrupolo è fondato, bisogna che rivediamo la nostra ammirazione per il capitano (o almeno non la fonderemo anche su questo episodio). L’errore di Kirk è doppio: 1. (finge di non capire il punto) o proprio non lo capisce; 2. risolve il test andando fuori tema. Insomma anche cambiando le regole, in realtà Kirk perde, ma questa volta perde come uomo, non come capitano, né come ribelle alla Jim Stark  (come viene presentato ne “Il futuro ha inizio” – Stark era una ipercontrazione di Star Trek?). A volte uscendo dagli schemi si rimane nello schema e anzi si fa peggio: se io ho ragione, Kirk ci ha mostrato col suo errore che talvolta guardare fuori dallo schema per capire che è bene starci è grande saggezza, anche se ciò costa un po’ di più che agli altri perché, omologati ad essi nella sconfitta, non ci è concesso nemmeno di mostrare che abbiamo guardato al di là dello specchio. No?

  7. @Gian Paolo Terravecchia: ho avuto bisogno di qualche giorno per assimilare il commento.

    Credo si possa “ricostruire” il problema ricorrendo alla distinzione tra regole regolative e regole costitutive. “Il pedone non può attraversare la strada fuori dalle strisce” è regola regolativa, perché i pedoni del codice della strada esistono indipendentemente dal codice della strada; “il pedone avanza di una casella e mangia in diagonale” è regola costitutiva perché i pedoni degli scacchi non esistono senza le regole degli scacchi.
    Perché questa distinzione può essere utile? Perché le regole regolative si possono violare, quelle costitutive no: una violazione di queste regole, semplicemente, annulla il gioco o ci proietta in un altro gioco, magari una versione degli scacchi dove i pedoni si muovono in diagonale e mangiano in avanti.
    Mantenere il programma del simulatore durante il test della Kobayashi Maru potrebbe essere una regola costitutiva – e la sua violazione ha spinto il giovane cadetto Kirk in un altro gioco, e l’accademia nella difficile situazione di decidere se premiare Kirk per aver giocato bene il nuovo gioco o punirlo per essere uscito dal vecchio.
    In ogni caso, è vera la conclusione del commento: giocare un nuovo gioco, con nuove regole costitutive, non ci permette di vincere il vecchio gioco, ma ci da un nuovo punto di vista.

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