I diritti degli altri

Tempo fa, le Ferrovie dello Stato decisero di modificare la destinazione del treno che spesso prendo per raggiungere Milano. Dopo Lambrate, invece di dirigersi verso la Stazione Centrale, il treno sarebbe andato verso Sesto San Giovanni, credo fermandosi anche a Greco Pirelli.
Non so bene quali fossero i motivi di questa scelta: aumentare i collegamenti verso la Bicocca, ridurre il traffico verso la Stazione Centrale oppure fare un dispetto ai pendolari; non lo so e, tutto sommato, non mi è mai interessato scoprirlo: io sono sempre sceso a Lambrate.

Alcuni pendolari protestarono, e raccolsero anche alcune firme. Una sera chiesero anche a me di firmare per ripristinare il vecchio percorso. Io non firmai, e tentai anche di motivare il mio diniego: a me non cambiava nulla. Non lo dissero apertamente, ma il loro sguardo mi accusava di egoismo e scarsa solidarietà (a dire il vero, lo sguardo diceva “stronzo”, ma non stiamo a sottilizzare).
Non era questione di egoismo, ma di razionale calcolo utilitaristico: la migliore destinazione del treno è quella che soddisfa il maggior numero di persone: se le persone soddisfatte da Milano Centrale superano quelle soddisfatte da Sesto San Giovanni, è giusto che il treno vada verso la Stazione Centrale, se invece è Sesto San Giovanni a procurare, nel complesso, maggiore felicità, perché andare verso la Stazione Centrale?
Firmando per solidarietà verso una parte dei pendolari, avrei falsato, seppur di poco, questo calcolo (con conseguenze per nulla drammatiche: diciamoci la verità, forse non firmare è stata davvero una decisione da stronzi ma, ancora una volta, non stiamo a sottilizzare).

Questo semplice calcolo utilitaristico, secondo me assolutamente razionale per quanto riguarda le tratte ferroviarie e mille altre faccende, talvolta viene applicato a questioni che devono venire scelte in altra maniera.
Non poche volte ho sentito dire, o suggerire, che le discriminazioni verso donne, omosessuali, stranieri, eccetera “alla fine non sono affari miei e devono occuparsene loro”. Come se io, maschio eterosessuale europeo, dovessi disinteressarmi delle violenze e dei soprusi semplicemente perché non mi riguardano in prima persona, come se questi problemi fossero una questione di opinione della maggioranza: si contano quanti ne traggono vantaggio e quanti svantaggio e si tirano le somme, e se si scopre che, nel complesso, si è un po’ più felici di prima, ben vengano le discriminazioni.
Il problema qui riguarda dei diritti, e i diritti riguardano tutti, non solo chi è coinvolto in prima persona, e si sottraggono al semplice conteggio utilitaristico della maggioranza.

12 commenti su “I diritti degli altri

  1. Sono d’accordo quando noti che il calcolo utilitaristico ha qualcosa di inquietante. Ad esempio, se ci sono poche persone dai capelli rossi e sono odiate da tutti, allora la felicità nel mondo è maggiore se vengono torturate, quindi l’utilitarismo sembra prescrivere questo esito. Il che trascura ovviamente il concetto di diritto.

    Allora perché in certi casi l’utilitarismo ci sembra “razionale”? Sospetto che, nei casi in cui ci sembra razionale, questa è solo un’illusione, derivante dal fatto che stiamo trascurando qualche diritto. Ad esempio, per te l’utilitarismo sembra razionale nel primo caso ma non nel secondo. Perché? Forse perché la “proprietà pubblica” elimina il concetto di diritto, e quindi rimane possibile solo il ragionamento basato sull’utile. Se però immagini il momento in cui la terra su cui sorge la ferrovia è stata espropriata con la forza al suo proprietario legittimo, l’illusione svanisce… e l’unica cosa giusta da fare sembra restituire quella terra al suo proprietario originale, o ai suoi eredi.

    Ma la proprietà pubblica non può essere l’unica fonte del problema. L’utilitarismo sembra sensato anche in casi che non coinvolgono la proprietà pubblica. In questi casi, perché ci sembra razionale? Forse perché sui grandi numeri le violazioni di diritti sono nascoste (ma ci sono).

    PS: il tuo discorso sembra contenere l’assunzione che abbiamo il diritto di non essere discriminati. Esplicitando il significato della parola “discriminati”, l’affermazione in questione diventa a dir poco problematica. Ciao

  2. Elaboro:

    Quando tu hai rapporti omosessuali consenzienti, alcune persone conservatrici si sentono offese. Ora io conservatore ti dico: “non puoi avere rapporti omosessuali, perché così facendo causi la mia tristezza. Quindi il tuo atto fa del male a me.” Ha senso questa mia affermazione? Perché no? L’unica risposta , per quanto ne so, è “caro conservatore, in questo caso il bene per te non conta, perché il corpo è mio“. In altre parole: non conta il bene per gli altri; conta solo il bene per il proprietario del corpo.

    Ma l’utilitarismo, nel calcolare la felicità, considera considera il bene per tutti; ma questo è sbagliato, perché, come abbiamo visto, la cosa ragionevole è contare solo il bene per il proprietario del corpo.

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    Altro esempio: tu vai in giro nella strada pubblica con una camicia sgargiante. Io che ti vedo per strada odio i colori sgargianti. E ti dico “non puoi andare in giro con la camicia sgargiante, perché mi stai causando sofferenza psichica”. Ancora una volta, per quanto ne so, l’unica risposta è “è vero che ti causo sofferenza, ma non conta la sofferenza per te, perché non sei tu il proprietario del mio corpo. Conta solo il bene per il proprietario del corpo, non il bene per gli altri”.

    L’utilitarismo invece, nel calcolare costi e benefici, considera anche il bene per gli altri, che è del tutto controintuitivo.

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    Si potrebbe fare lo stesso discorso per l’atto di andare in giro nudi. Non dovrebbe contare l’effetto sugli altri. Dovrebbe contare solo l’effetto sui proprietario del corpo. QUindi le leggi sui “crimini contro la morale comune” sono insensate. L’utilitarismo invece le rende sensate.

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    Riassumendo, sembra che debba contare solo
    l’effetto per il proprietario. E’ completamente beside-the-point considerare l’effetto su persone che non sono proprietarie di quel corpo.

    Ma allora, perché questa stessa logica non si può applicare anche al proprietario della ferrovia? Perché, nel decidere dove dovrebbe andare la ferrovia, dovrei contare anche il bene dei pendolari? Perché non dovrei contare solo il bene per il proprietario del terreno (su cui sorge la ferrovia)?

    Se assumi che in quest’ultimo caso conti anche il bene per i pendolari (utilitarismo), allora stai assumendo che ci sia una differenza rilevante tra la proprietà del corpo e la proprietà della ferrovia. Cioè stai assumendo che la proprietà privata non sia vera proprietà! Su che cosa si baserebbe questa assunzione?

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    C’è anche un’altra questione importante.

    Finora abbiamo concluso che c’è, quantomeno, un dubbio legittimo se si debba contare solo il bene per il proprietario o anche il bene per gli altri.

    Però si dà il caso che questa sia una falsa differenza. Infatti, in un regime di proprietà privata, il bene per il proprietario _coincide_ con il bene degli altri! Cioè, il bene per il proprietario coincide con il bene per la società. Questo è un fatto sorprendente e controintuitivo, anzi sembra quasi magico. Eppure è così. Per spiegare molto rozzamente il motivo, consideriamo un regime di proprietà privata. In un regime di proprietà privata, la terra per costruire la ferrovia non avrebbe potuto essere espropriata con la forza al legittimo proprietario: avrebbe dovuto essere _acquistata_ dallo Stato. Cioè, avresti dovuto _offrire_abbastanza_ da convincere il proprietario a vendere. Questo ha due effetti:

    1) da una parte elimina la violazione del diritto e rispetta gli ideali del liberalismo (se vuoi che io aiuti te a raggiungere i miei obiettivi, non puoi costringermi, bensì devi aiutare me a raggiungere i miei);

    2) dall’altra garantisce che la ferrovia sarà costruità _solo_ se per i cittadini il beneficio è maggiore del costo. Cioè, sarà costruita solo se, costruendola, i cittadini non _rinunciano_ a nulla che abbia maggior valore della ferrovia. (nota: il costo di X è ciò a cui tu rinunci per ottenere X). Se invece c’è un modo socialmente migliore di usare quella terra, la terra sarà usata in quell’altro modo (perché qualcun altro sarà disposto ad offrire di più al proprietario per l’uso alternativo). Quindi la proprietà privata produce il risultato migliore dal punto di vista utilitaristico. Ciò è una fortunata conseguenza della proprietà privata, che non c’è con la proprietà pubblica.

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    Da (1) e (2) si vede che il risultato giusto dal punto di vista dei diritti è anche quello ottimo dal punto di vista utilitaristico. (unificazione tra utilitarismo e deontologismo.)

    Chiedo scusa se non interessa. Mi sembrava interessante. 🙂

  3. Più che una distinzione tra diritti e utilità, mi pare una distinzione tra pretesa individuale e diritti generali.

    Dietro i trasporti c’è un servizio pubblico, e un diritto degli utenti a muoversi. Non è un diritto capitale, sulla dignità umana o altro, ma discende dalla situazione di fatto: in Italia non si può vivere solo a casuccia propria e spostarsi con l’asino.
    Se questo diritto fosse leso, per dire: rincarando follemente i prezzi, io protesterei anche se uso poco i treni.

    Però, per decidere se far passare il tracciato di qua o di là, per gli orari e altro, io non ho titolo di metterci becco.

    Passiamo dalle FFSS, vera piaga e decadenza dell’Occidente Cristiano, agli omosessuali.
    Un diritto generale come quello a veder riconosciuta una coppia va difeso da chiunque.

    Però sul COME riconoscerlo- matrimonio, contratto, PACS – io non ho titolo ad esprimermi.
    Difenderò il diritto degli omosessuali a farlo.
    Ma in che modo posso dire io se questa o quella pretesa sul diritto affettivo e di coppia è giusta?

  4. @eno:

    Dietro i trasporti c’è un servizio pubblico, e un diritto degli utenti a muoversi. … in Italia non si può vivere solo a casuccia propria e spostarsi con l’asino.

    Nel tuo discorso sembrano esserci due assunzioni implicite. La prima è che solo lo stato possa garantire il diritto di spostarsi. (Cioè che senza lo Stato saremmo destinati a vivere solo a casa nostra o spostarci con l’asino.) La seconda assunzione è che il diritto di spostarsi esista.

    La prima assunzione è falsa (le prime ferrovie erano private. Per garantire il diritto della gente di spostarsi non è necessaria l’espropriazione violenta della terra: basta offrire abbastanza ai proprietari per comprare le loro terre e costruirci una ferrovia. Se non riesci ad offrire abbastanza, vuol dire che non prevedi che i cittadini compreranno abbastanza biglietti da compensare la spesa di acquisto della terra; ma questo significa che la ferrovia non vale ciò che costa per i cittadini; cioè che la ferrovia ha più costi che benefici per il paese; ma allora la ferrovia, secondo il criterio utilitaristico, non deve essere costruita).

    La seconda assunzione (che abbiamo il diritto di spostarci) è molto difficile da sostenere, nel senso in cui la intendi tu (vedi oltre).

    Se questo diritto fosse leso, per dire: rincarando follemente i prezzi, io protesterei anche se uso poco i treni.

    Da queste parole, mi sembra di capire che tu , per “diritto di spostarsi”, intenda il diritto di spostarsi a un prezzo ragionevole. Ma un momento: se tu hai il diritto di spostarti a un prezzo ragionevole, questo significa che _io_ ho il _dovere_ di farti salire sul mio mezzo di trasporto a un prezzo ragionevole. O meglio: significa che io ho il dovere di offrirti il mio trasporto a un prezzo che _tu_ consideri ragionevole. E significa anche che io ho il dovere di farti entrare nel _mio_ terreno a un prezzo che _tu_ consideri ragionevole. Non noti un problema in tutto questo?

    Qual è la differenza tra “tu devi farmi entrare nel tuo mezzo di trasporto a un prezzo che _io_ considero ragionevole” e “tu devi farmi entrare nel tuo _corpo_ a un prezzo che _io_ considero ragionevole?”

    Una volta che questi presunti “diritti” vengono riformulati in termini di doveri altrui, si svelano per ciò che sono davvero: diritti che tu accampi sugli altri. Sono pretese sugli altri fondate sulla violenza. Sono pretese di _costringere_ gli altri ad aiutarti, perché loro non volevano farlo volontariamente. In altre parole: io non voglio aiutare te a raggiungere i tuoi obiettivi, ma pretendo che tu aiuti me a raggiungere i miei. Tutto ciò implica che i miei obiettivi sono migliori dei tuoi. E perché?

    Se il diritto di spostarsi non è questa assurdità, allora cos’è? Suggerisco una risposta: il “diritto di spostarsi” è semplicemente il diritto di _acquistare_ un mezzo di trasporto da qualcuno, _se_ c’è qualcuno disposto a venderlo, e _se_ hai abbastanza da offrire da convincerlo a dartelo. Senza usare la forza o senza usare minacce di violenza. Ma se non riesci a convincerlo, non puoi _costringerlo_ a darti il veicolo al prezzo scelto da te. Non è un tuo schiavo. Tu non hai diritti su di lui.

    Il diritto di spostarsi è il diritto di acquistare il permesso di passare dai legittimi proprietari della terra attraverso cui vuoi passare, e di acquistare o affittare un mezzo di trasporto dal proprietario del mezzo di trasporto. Se riesci a convincerti a darteli. Sei libero di offrire di più se non vogliono aiutarti, ma non sei libero di costringerli a farlo.

  5. Hmm, nessuna delle cose era assunta, presupposta o implicita in quanto detto.

    Le FERROVIE possono esistere in forma pubblica o privata.
    Ma è un fatto che siano pubbliche in Italia, e che il profilo orografico italiano impedisca una rete alternativa di tracciati privati.
    Era una constatazione, non un assunto.
    Tuttavia visto che i diritti e il diritto esistono in un mondo tridimensionale e piuttosto solido, non me la sento di prescindere dai fatti.

    Il DIRITTI DEGLI UTENTI DI UN SERVIZIO A FRUIRNE è invece una ovvia banalità.
    Se apro un pubblico esercizio quale una panetteria, tutti hanno diritto a fruirne. Non posso buttar fuori clienti perché mi stanno antipatici, vendere pezzi di vetro nelle pagnottelle al sesamo o tener aperto solo due ore e di notte: mi ritirano la licenza.
    Ugualmente, se ci sono ferrovie e queste di fatto si rendono indispensabili per la vita collettiva( in legalese, un pubblico servizio ), ho diritto acché sia davvero fruibile.
    Tanto più se c’è in un monopolio.

    Poi, mi metti in imbarazzo… ovviamente ESISTE UN DIRITTO A SPOSTARSI! art. 16 della Costituzione della Repubblica.
    Sussiste il diritto a circolare liberamente, anzi per dirla alla Calamandrei: è una “libertà di espansione” che mi permette di migliorare me stesso, la mia vita, le mie faccende.
    Garantire che non vi siano ostacoli al diritto è un dovere dello Stato, poco importa se sono private o pubbliche autostrade, ferrovie, mulattiere, sentieri, canali navigabili, cremagliere, tratturi etc.

    Per il resto mi pare tu abbia confuso alcune cose.

    1) Esiste un diritto a circolare. Possiamo anche non essere d’accordo, ma è Costituzione.
    2) Il diritto a circolare è cmnq cosa diversa dal diritto di un utente a fruire di un pubblico servizio di trasporto( e per evitare: un p.s. può essere gestito dallo Stato o da privati ).
    3) Il diritto a fruire decentemente delle FFSS non è diritto a viaggiare a prezzo ridotto.
    4) Il passaggio da un ipotetico “ho un diritto a viaggiare in treno a un prezzo ragionevole”( che non ho mai sostenuto ) a “le ferrovie devono farmi viaggiare a prezzo ridotto” e tutto il resto è logicamente fallace.
    Può ben essere che le ferrovie, anche se io disponessi di quello strano diritto, abbiano diritto e necessità di garantirsi legittimi introiti.
    In tal caso, ci sarebbero due diritti confliggenti: quindi se non c’è una gerarchia, si media tra i due.

    In generale non ti è chiara una cosa: le entità legali quali leggi, diritti e doveri non sono proposizioni logiche.
    Due diritti in conflitto sono un conflitto, non una contraddizione.

    E no, i diritti- siano o non siano traducibili in termini di doveri- non sono diritti accampati sugli altri: quelle si chiamano legittime pretese.
    Per dire, un cinese di pechino ha ora diritto a vivere come tutti, ma non può accampare su di me la pretesa che io corra ad aiutarlo o che gli paghi da mangiare col mio conto corrente.

    Eno

  6. Correggo:
    Per dire, un cinese di pechino ha come tutti un diritto a vivere, ma non può accampare su di me la pretesa che io corra ad aiutarlo o che gli paghi da mangiare col mio conto corrente.

  7. Eno,

    C’è un malinteso di fondo: ciò che tu intendi per “diritto” non è ciò che io intendo per “diritto”:

    Per te il diritto è la legge, cioè quell’insieme di regole, scritte da esseri umani su un pezzo di carta, che determinano cosa io ho il potere di fare senza essere aggredito da altri.

    Per me il diritto è quell’insieme di regole, scritte dall’evoluzione nei nostri cervelli in tempi antichissimi, che noi non abbiamo il potere di cambiare mediante la volontà conscia, e che determinano cosa io sono capace di considerare giusto e cosa no. Regole come “non è giusto aggredire un tuo simile innocente”, che sono presenti in tutti gli esseri umani indipendentementa dalla cultura, collocazione geografica ed epoca; regole la cui esistenza può essere dedotta razionalmente mediante il ragionamento evoluzionistico.

    Quello che tu chiami “diritto” io lo chiamo potere. Quello che io chiamo “diritto” tu probabilmente non lo chiami in nessun modo.

    A favore della tua definizione c’è il fatto che la maggior parte della gente sembra usarla.

    A favore della mia definizione c’è il fatto che la tua definizione implica che, se lo stato emana una legge che dice che si possono uccidere le persone dai capelli rossi, allora le persone dai capelli rossi non hanno più il diritto di non essere uccise.

    Data questa distinzione nel senso della parola diritto, tutto ciò che hai scritto non costituisce una risposta a ciò che io ho scritto, e ciò che io avevo scritto inizialmente non costituiva una risposta adeguata a ciò che tu avevi scritto.

    Ciao

  8. Per te il diritto è la legge, cioè quell’insieme di regole, scritte da esseri umani su un pezzo di carta, che determinano cosa io ho il potere di fare senza essere aggredito da altri.

    Assolutamente no.
    E’ discutibile il presupposto hobbesiano per cui fuori dalla legge e contro la legge la gente mi aggredirebbe saltandomi subito alla gola: io ho sempre osservato il contrario.
    Ed è ingiustificato chiamare “potere” il diritto: il potere e la forza rendono efficace il diritto o la legge, ma sono una cosa diversa.

    Cmnq, io ho parlato di entità giuridiche e di norme, dove le entità giuridiche sono una parte delle norme.
    Quindi, sì, io ho risposto ANCHE a quello che hai detto e intendevo ANCHE quello che dici tu.

    Puoi sostituire “diritto” con “regola” o “norma” e tutto regge.

    Cmqn, oh bella, perché mai il diritto dev’essere diritto positivo su un pezzo di carta?
    Perché ti figuri questa strana definizione?

    Esiste la consuetudine e le regole implicite, ed esistono i limiti fisici e psicologici dell’essere umano, esiste il diritto naturale( qualunque cosa sia ).

    E il diritto non è la legge.
    Ho una madre che ha fatto giurisprudenza: se sente questa, ci ammazza.

    Quindi, NO! in nessun caso una legge dello stato di sterminare i peldicarota perché sì è valida, né i peldicarota perdono per questo il diritto alla vita.

    Ci sono sicuramente “regole di comportamento innate”( espressione discutibile ), istituzioni pregiuridiche, regole a priori, sostrati culturali o quello che vuoi.

    Ciononostante, tra le norme e le regole, un “diritto” non implica una “pretesa” sull’altro, la “pretesa sull’altro” non implica la “violenza” o il “diritto a costringere” l’altro né a “escluderlo da altri diritti”.
    I passaggi non sono motivati.

    ciao, Eno

    Ps: Per il tuo ragionamento su “diritto di spostarsi” e la “proprietà dei terreni”, ti faccio presente che “proprietà” non è “E’ tutto mio, ci faccio quello che voglio!”.
    Se io ho un campo e questo blocca l’accesso a casa tua, il campo resta mio ma tu hai diritto ad arrivare alla tua casa.

  9. @eno e Maurizio:
    Rimando ad altro post quello che è il tema del vostro dibattito, cioè l’esistenza e la natura dei diritti naturali. È una questione che mi interessa molto e che sarebbe un po’ sacrificata in un commento.

    @Maurizio: Il calcolo utilitaristico è perfettamente sensato e razionale quando si calcola delle mie azioni che hanno poche o nulle conseguenze sugli altri. Mangio la bistecca stasera o domani sera? Vado a Milano in auto o in treno?
    Mi sembra anche un buon metodo per decidere la propria condotta quando si fa qualcosa insieme ad altri – considerando la felicità complessiva, in questo caso. Posto che si voglia cenare insieme: come decidiamo dove andare? Io voglio andare in pizzeria, tu in un ristorante francese; la cucina francese mi piace ma preferisco la pizza, mentre tu adori la cucina francese e detesti la pizze: mi sembra ovvio che stasera si mangi francese.
    E quando il mio (o il nostro) comportamento ha influenze su altre persone?
    Se il mio girare nudo per strada offende le persone? Posso provare a vendere la mia utilità (quanto volete perché indossi un paio di mutande?), ma non sempre è praticabile. Se non si raggiunge un accordo e decidiamo che il pudore è un diritto, allora mi viene proibito di girare nudo, se invece decidiamo che la pubblica nudità è un diritto, viene proibito agli altri di lamentarsi. (qui intendo diritto nel senso generale di qualcosa che posso fare: non inserirei mai la nudità tra i diritti fondamentali dell’uomo).
    Quale decisione prendere dipende da varie circostanze e varia nel tempo e nello spazio: la nudità è, credo, un reato, l’indossare minigonne no.

    (quello della nudità è un esempio qualsiasi: evitiamo analisi giuridiche o climatiche sull’andare per strada con le chiappe di fuori…)

    @eno:

    mi pare una distinzione tra pretesa individuale e diritti generali

    Esattamente, e secondo me è una distinzione che riguarda calcoli utilitaristici, da una parte, e diritti, dall’altra.

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