I can’t breathe

Guardo le immagini che arrivano dagli Stati Uniti: le manifestazioni, le proteste, i saccheggi, le violenze della polizia dopo l’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia.

Mi pongo alcune domande.

La prima è: se quelle immagini arrivassero da un altro Paese, come reagiremmo – come singoli e come istituzioni? Se invece di “Minneapolis, USA” nella didascalia di quelle fotografie ci fosse scritto, chessò, “Teheran, Iran” o “Mosca, Russia” cambierebbe qualcosa nel nostro modo di vederle e di descriverle? Poco sopra ho scritto “proteste”; in un altro luogo o in un’altra epoca avrei forse parlato di “rivolte”, “ribellione”, “rivoluzione”, “colpo di stato”?
Una prima risposta è “certo che sarebbe diverso”: il contesto è importante, per comprendere gli eventi. Ma mi chiedo se non vi sia anche una parte di pregiudizio – che di nuovo ovviamente c’è da parte delle istituzioni che stanno attente ad alleanze e simpatie internazionali.

A proposito di quelle immagini: quanto sono vicine alla realtà? Le proteste – o rivolte, o ribellioni – avvengono dall’altra parte dell’oceano, non ho modo di conoscerle direttamente (e del resto anche se mi trovassi lì, ne avrei una percezione comunque parziale). Ho bisogno di una mediazione, di qualcuno che mi racconti quello che accade. Ci sono i media tradizionali, con tutte le distorsioni del caso. Ma anche quella dei social media è una mediazione, per quanto forse meno evidente.

Poi: che cosa si prova a essere un nero negli Stati Uniti? Il filosofo Thomas Nagel si era chiesto cosa si provasse a essere un pipistrello, concludendo che non lo possiamo sapere. Ma anche senza coinvolgere altre specie animali, da europeo con la pelle relativamente chiara fatico a comprendere come deve sentirsi uno statunitense con la pelle scura, quanto pesino sulla sua visione del mondo abusi e ingiustizie passate e presenti. Il che mi porta razionalmente a una sospensione del giudizio verso chi protesta anche violentemente, ma emotivamente mi porta a una generale simpatia verso chi protesta.

Cambierà qualcosa per le presidenziali di novembre?
Non mi chiedo se le proteste siano state in qualche maniera favorite per secondi fini – credo si tratti di fenomeni che non si possono controllare –, ma semplicemente quali conseguenze ci saranno: una rielezione più facile per Trump, con parte dell’elettorato bianco spaventata e compatta dietro a chi promette, e mantiene, una linea dura? Oppure il contrario, i tanti moderati che si mobilitano per non averlo più alla Casa bianca?

Più in generale, cambierà qualcosa? O come già avvenuto in passato, tutto tornerà come prima? Mi auguro la prima ma temo la seconda.

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