Diritto di uccidere

Esiste il diritto di uccidere?

Il filosofo e giurista Stephan Kinsella risponde affermativamente a questa domanda, e lo fa con un dimostrazione, quasi un teorema. Il suo argomento è riassunto con uno schema da Maurizio Colucci sul suo blog.
Credo che il ragionamento di Kinsella sia per certi versi affine a quello di Vittorio Mathieu in Perché punire; credo perché non ho (ancora) letto né l’articolo di Kinsella né il libro di Mathieu (sono pigro).

Cosa sia uccidere è abbastanza chiaro: determinare la morte di una persona.
Meno chiaro cosa sia un diritto. Io vedo almeno tre diversi significati dell’espressione “avere il diritto di fare qualcosa”, ad esempio attraversare la strada1.

Il primo, banale, è avere la possibilità di farlo. Ho il diritto di attraversare la strada perché posso farlo.
Quello che solitamente intendiamo con diritto, e che verosimilmente intende Kinsella con la sua domanda sul diritto di uccidere, non è ovviamente questo. Un impiegato non può evadere le tasse, perché gli vengono prelevate alla fonte, ossia in busta paga, un libero professionista invece può, ma ciò non significa che abbia il diritto di farlo.

Nel secondo significato si ha il diritto di fare qualcosa quando quel qualcosa non è moralmente ingiusto, ad esempio non danneggia gli altri.
Posso attraversare la strada se attraversare la strada non è una azione ingiusta, cioè se non è una azione che in qualche modo urta il nostro senso etico, ad esempio perché mette in pericolo altre persone.

Il terzo significato di diritto è giuridico: si ha il diritto di fare qualcosa quando non vi è l’obbligo di agire diversamente o quando gli altri sono obbligati a fare, o a non fare, qualcosa di corrispondente al mio diritto.
Per dirla con le parole di Hans Kelsen:

Il dire che uno ha il diritto di comportarsi in tal modo, può significare soltanto che non ha l’obbligo di comportarsi in altro modo; che è libero. Per esempio, io ho il diritto di respirare, di pensare, di passeggiare nel parco. […] Questa frase può però anche avere il significato positivo che un’altra persona è obbligata a comportarsi in un modo corrispondente. Per esempio, il fatto che io abbia il diritto di usare di un oggetto in mio possesso implica un obbligo in tutte le altre persone di non turbarmi nell’uso di questo […]. Ogni vero diritto che non costituisce una semplice libertà negativa da un obbligo, consiste in un obbligo di un altro, o di molti altri.

Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto e la giurisprudenza analitica in Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi 2000, p. 194 (corsivi miei).

In questo ultimo senso, un diritto esiste solo dove esiste un obbligo, e cioè solo in presenza di leggi o di norme (solitamente emanate da uno stato, ma non è necessario: anche il regolamento dei mezzi di trasporto stabilisce dei diritti). In assenza di norme non esistono diritti.

Il diritto a uccidere può esistere in tutte e tre le accezioni.
Per la prima la soluzione è triviale: uccidere è una delle materialmente possibili azioni dell’uomo; per quanto riguarda la seconda accezione, per molti (me compreso) la pena di morte (caso estremo del diritto a uccidere) è ingiusta e moralmente sbagliata, per altri è invece una azione giusta e necessaria; infine, essendo la pena di morte legge in molte nazioni, è ovvio che esista, in queste nazioni, il diritto a uccidere delle persone.

Se accettiamo la seconda definizione di diritto, definizione che potremmo assimilare al giusnaturalismo, Kinsella ha dimostrato, o cercato di dimostrare, l’esistenza universale di un diritto. Se accettiamo la terza definizione di diritto, giuspositivista, Kinsella ha semplicemente presentato alcuni argomenti a favore di determinate leggi.

  1. Ogni riferimento alla famosa domanda “Perché la gallina attraversa la strada?” è abbastanza casuale. []

8 commenti su “Diritto di uccidere

  1. fammi capire: dopo qualche decina di secoli, Kinsella ha trovato una “giustificazione” logica della legge del taglione? bel progresso!! 🙂

    Mi sembra comunque un argomento campato in aria, per diversi motivi, tra i quali quelli enumerati nei commenti al blog di Colucci. Quello più convincente mi sembra però il tuo: non è che siamo in 2, io e te, e viviamo nella completa anarchia.

    In una società con delle leggi accettate da tutti l’argomento cade completamente. Oppure, diventa circolare (ho il diritto di uccidere perché c’è una legge che mi da il diritto di uccidere).

  2. @knulp: Sai com’è, nelle università o pubblichi o muori, e se nelle materie scientifiche ti beccano subito a riciclare (prova a dire di aver scoperto la gravitazione universale!), in quelle umanistiche hai qualche chance di sfangarla presentando la legge del taglione… 😉
    (Commento ingiusto, questo: sto leggendo l’articolo, ed è interessante; riguarda la giustificazione delle punizioni in generale, non solo la pena di morte.)

  3. Ah, nelle materie scientifiche si ricicla benissimo, credimi (magari un giorno scriverò qualcosa al riguardo). A volte basta cambiare i simboli di una formula …
    Se hai tempo facci sapere se l’articolo dice qualcos’altro di interessante! 🙂

  4. Le premesse della tesi di Kinsenella mi paiono tutte errate o dubbie.

    Il mio corpo è ciò che definisce i miei possessi e le mie proprietà, ma non ho un rapporto di proprietà con il mio corpo. La proprietà non è sempre la facoltà di decidere chi può usare qualcosa( si pensi alle servitù di passaggio nei campi ). Tutte le persone nelle medesime condizioni hanno gli stessi diritti, ma non tutte le persone sono nelle stesse condizioni( bambino/adulto, alfabetizzato/analfabeta, folle/sano, figlio/genitore ). Se faccio qualcosa a qualcuno, spesso la faccio per rabbia e per l’intenzionale scopo di violare un principio che so giusto e non affermo per nulla la liceità dell’azione.

    Onestamente, mi sembre poverello l’argomento, che non riesce a distinguere il taglione dalla legittima difesa.
    Il diritto a reagire violentemente ad una aggressione è ben diverso.
    Io ho diritto a vivere e a difendere la mia vita. Nessun aggressore ha il diritto di prendermi alle spalle con un coltello, e se reagisco rivoltandogli la lama la responsabilità è sua.

    ciao!

  5. @eno: Mi son finalmente letto tutto l’articolo, e non credo meriti ulteriori post (penso scriverò qualcosa sulla punizione, ma basandomi su altre fonti).
    Come dici tu, non distingue tra punizione e vendetta e tra legittima difesa e legge del taglione!

    PS: Ma “rivoltargli la lama contro” non è già eccesso di legittima difesa?

  6. Secondo me, dipende.
    Se è l’unico modo per divincolarmi ed evitare che quello mi strozzi, no.
    Se dopo che mi ha minacciato lama alla gola, mi libero e lo inseguo per strada facendo il lanciatore di coltelli, forse sì.
    😉

  7. @eno: In effetti, se inseguo una persona significa che quella sta fuggendo, e inseguire una persona che fugge è una tattica difensiva quantomeno originale 😉

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