Dialoghi tra culture

È difficile il dialogo tra quelle che, riprendendo la fortunata espressione di C. P. Snow, possiamo chiamare le due culture, quella umanistica e quella scientifica.
Le difficoltà spesso nascono dall’ignoranza degli umanisti, convinti che la conoscenza scientifica sia arida, quando va bene, o pericolosa, quando va male — in entrambi i casi meglio tenersene a distanza, tanto non serve conoscere la scienza per scrivere saggi sul pensiero scientifico.

A volte però le difficoltà arrivano dall’altra parte, dalla scienza.
Ne è un bell’esempio il post di Piergiorgio Odifreddi sui premi Nobel:1 Nobel a Iosa.2

Il prolifico autore (oramai in molte librerie le sue opere hanno una sezione tutta loro: ho visto con i miei occhi gli scaffali marcati “Odifreddi”) ha buon gioco a definire «circo scandinavo» la fondazione Nobel. Le decisioni legate ai premi per la letteratura e la pace sono “politiche”.
«E che la cosa non può che essere cosí». Forse perché, almeno per quanto riguarda il premio per la pace, non capisco bene in base a quali altri criteri potrebbe venir assegnato? No, è troppo banale affermare che la pace è una faccenda politica; la questione è un altra: «dovunque mancano criteri oggettivi di scelta, non si può procedere che in maniera soggettiva».
Va bene. Ma è un giudizio esclusivamente basato su allucinazioni soggettive affermare che Mario Vargas Llosa possiede abilità letterarie superiori a Moccia? Non ci sono argomenti oggettivi per affermare che Obama non meritava il Nobel per la Pace l’anno scorso?
Concordo con Odifreddi sul poco spazio che la scienza trova nei giornali: è sicuramente un peccato che i premi Nobel scientifici trovino spazio in prima pagina solo se ci sono problemi etici di mezzo (magari con reazione di una qualche congregazione religiosa).3 Ma il fatto che la scienza meriti più spazio pubblico di quello che ha non significa che gli unici discorsi dotati di senso siano quelli scientifici (potrebbero essere gli unici discorsi a poter essere veri, ma temo solo ampliando non poco il metodo scientifico).

A me sembra che Odifreddi sia vittima di un pregiudizio nei confronti di tutti quei saperi che non sono sperimentalmente verificabili. Non riesco a spiegarmi diversamente l’affermazione sui premi per le discipline scientifiche che sarebbero «ben più significativi e oggettivi». Perché a me risultano polemiche anche su questi premi: l’elenco dei Nobel dimenticati è lungo sia per gli scienziati che per i letterati. Tutti i premi sono evidentemente soggettivi e politici; se c’è di mezzo la scienza per Odifreddi diventano improvvisamente oggettivi e significativi.

  1. Il blog di Odifreddi ha come titolo Il non-senso della vita. Bel titolo, non fosse per quel trattino molto filosofico… []
  2. Anche qui: perché “iosa” ha l’iniziale maiuscola? Odifreddi scrive come un idealista umorista tedesco del secolo scorso: iosa come Llosa (anche se la pronuncia non è proprio la stessa). []
  3. La letteratura e la filosofia trovano maggiore spazio; la qualità è comunque molto bassa, roba da quasi invidiare il silenzio che riguarda le discipline scientifiche. []

34 commenti su “Dialoghi tra culture

  1. Iosa credo sia uno dei soliti calembour di PGO, la maiuscola sarebbe giustificata dal fatto che la pronuncia del cognome Llosa è appunto quella.

  2. @minuscolo: Non avevo colto il gioco di parole – che regge fino a un certo punto, visto che, a quanto dicono qui, la “l” si pronuncia. Adesso correggo il post.
    Grazie

  3. La faccio facile facile, ma oggi sono stanco.

    Con quale criterio oggettivo Pie. Gi. Odiff. è stato selezionato dagli editor di Einaudi per la sezione “spirito di patata-onniscienza torinese-nubes divinae nescientiae”?

  4. Se non sbaglio, la “ll” dovrebbe pronunciarsi quasi come la nostra “gl” o la portoghese “lh”.
    Comunque, quello di Odifreddi è un luogo molto comune in tutte le facoltà di scienze matematiche, fisica, ingegneria, statistica, ecc.
    Dimostra che nessuno di noi è immune dal pregiudizio, checché se ne dica.

  5. Dall’articolo non riesco a capire se Odiff. biasimi i Nobel letterari o se li voglia per sempre.
    Così i suoi Gianpòl Sàrtr possono rifiutarli strillacchiando: “E’ politica! E’ tutto politica!” (criterio oggettivo che fosse un gran filosofo).

  6. “A me sembra che Odifreddi sia vittima di un pregiudizio nei confronti di tutti quei saperi che non sono sperimentalmente verificabili”.

    Sarebbe il colmo, visto che Odifreddi è un matematico, e la matematica *non* è sperimentalmente verificabile… 🙂

    «Dovunque mancano criteri oggettivi di scelta, non si può procedere che in maniera soggettiva”.

    Anche se a te, come umanista, potrà forse dispiacere, questa è una tautologia bella e buona! 😉

  7. Mi pare un botto assai forte.

    “Oggettivo” e “soggettivo” corrispondono a concetti subcontrari, ma non sono contrari o contraddittori. In ogni caso sono usati in quella frase in modo confuso e plurivoco.

    In quel periodo “oggettivo” significa empirico o deducibile, ma anche certo e saldo.
    “Soggettivo” vale, invece, arbitrario, legato ai gusti, legato a principi valutativi esterni, connesso a criteri, ma anche incerto e non affidabile.

    Un po’ di sciarada e si vede che i conti non tornano.

    Molte cose sono empiriche ma incerte (un test con margine d’errore). Altre non sono empiriche o deducibili ma sono argomentabili in base a fatti (le sentenze o gli accordi sindacali). Altre sono legate a gusti diffusi ma coerenti e deducibili da questi (le regole sociali).

    Quello è un pastrocchio linguistico e non una tautologia.

  8. Non ho mai capito per quale motivo storico esista questa distinzione tra i due rami della conoscenza. Per me non esiste alcun confine tra l’uno e l’altra e ormai ambedue utilizzano il metodo scientifico (quando si può).
    La gente mi guarda con sconcerto quando parlo di storia, letteratura e arte: uno scienziato non dovrebbe parlare di queste cose.

  9. @Lorenzo Pantieri: Se Odifreddi coerentemente applicasse i criteri con cui condanna religioni e filosofia alla matematica (e a molte scienze), avremmo delle belle sorprese… (per la matematica, non mi stupirebbe una sua esclusione dal novero delle scienze vere e proprie.)
    Il che, ci tengo a sottolinearlo, non significa che i suoi bersagli siano sbagliati.

    @eno e zar: Ecco, facciamoci riconoscere! Uno dice una cosa banalmente vera (se una cosa non è oggettiva allora è soggettiva) e voi subito a fare i sofistici, a parlare di subcontrari!

    @fabristol: Non ho mai approfondito la genesi della “spaccatura”; solitamente si dice sia nata nell’Ottocento, con i romantici (e se penso a Goethe e alla sua teoria dei colori non posso che essere d’accordo). Eppure una spaccatura simile, in un certo senso, c’era già in Platone con la condanna delle arti (la filosofia ai tempi stava dalla parte della scienza).

  10. “Se Odifreddi coerentemente applicasse i criteri con cui condanna religioni e filosofia alla matematica (e a molte scienze), avremmo delle belle sorprese… (per la matematica, non mi stupirebbe una sua esclusione dal novero delle scienze vere e proprie.)”

    Infatti, per Odifreddi, la matematica *non* è una scienza (sperimentale).

    Riguardo ai dualismi oggettivo/soggettivo e scientifico/umanistico, mi pare difficile dire che filosofia e religione siano *oggettive* (anche se c’è chi, imperterrito, sostiene il contrario.).

    Avrai di certo notato che è arduo trovare anche solo due filosofi che la pensano allo stesso modo. I folosofi, in secoli di riflessioni, non si sono messi d’accordo su nulla.

    La scienza e la matematica, invece, sono universalmente condivise: sono le stesse in tutto il mondo.

    Questa caratteristica le disipline umanistiche non ce l’hanno. Paese che vai, filosofia (e letteratura; e diritto; …) che trovi.

  11. Diffido sempre di questi presenti filosofi con licenza di comicità, vedi anche Luciano De Crescenzo.

  12. Arrivo dopo la polvere.

    Concordo con lector: nelle facoltà scientifiche c’è un attegiamento poco simpatico nei confronti dei colleghi umanisti. Tipicamente, nei consigli di facoltà, o nei senati accademici, gli interventi degli umanisti consistono in pipponi da minimo mezz’ora, in cui si parte dall’analisi storico filosofica del problema per arrivare a delle categorizzazioni generali molto poco concrete. Quando si alza uno “scientifico” o ancora peggio un “tecnologo”, l’intervento dura 5 minuti, 4 dei quali spesi a lamentarsi che l’intervento del collega umanista precedente non aveva contenuto informativo rilevante. Penso che sia così nelle università di tutto il mondo.

    Che si può fare? Suppongo che il problema sia da entrambe le parti: gli umanisti dovrebbero provare ad essere un po’ più concreti, gli scienziati un pochino più tolleranti. Non che sia sufficiente: ma forse insegnerebbe ad entrambi a prendere un punto di vista leggermente diverso (base necessaria per un dialogo proficuo).

  13. @Lorenzo Pantieri: vVeramente io conosco molte faccende che, in certi settori della filosofia, sono conoscenze acquisite. La fenomenologia ha le sue, la filosofia analitica del diritto ha le sue, ecc.
    Se cerchi qualcosa che accomuni tutti i filosofi probabilmente non c’è. Il problema è che non credo ci sia neppure per tutti gli scienziati. Una conoscenza, un concetto di cui concordano chimici, biologi, matematici… quale è?
    In ogni caso il discorso del consenso non mi sembra molto solido. Anzi. Per dire: le principali religioni concordano che Dio è trascendente.
    E la matematica non è la stessa per tutti: molte popolazioni hanno una matematica che va con uno, due, molti.
    E arriviamo a un quesito interessante: affermare che il criterio del consenso non è solido è una affermazione scientifica o filosofica? Ed è soggettiva o oggettiva?

    @Knulp: Improvvisamente capisco perché gli accademici che conoscono cercano in tutti i modo di evitare i consigli di facoltà…

  14. Il sapere scientifico propone una descrizione del mondo attraverso l’elaborazione di dati ricavati dall’esperienza. Il sapere umanistico si interroga sul significato da dare a questa descrizione e sul senso che ha per la vita dell’uomo e per il mondo nel suo complesso. Non si tratta di due approcci conoscitivi differenti ma di due stadi dello stesso processo conoscitivo. Fino al Cinquecento i due saperi erano esercitati dalla stessa persona. Dal Seicento in poi la figura dello scienziato si è lentamente separata da quella del filosofo. I limiti di questa divaricazione sono evidenti da entrambe le parti. Oggi i filosofi che vogliono fare filosofia senza possedere alcuna cultura scientifica di base sono degli imbecilli; gli scienziati che non si interrogano sui presupposti delle loro ricerche e sulle conseguenze delle loro scoperte per l’uomo e il mondo sono degli irresponsabili.
    Comunque Odifreddi ha ragione quando dice che i nobel per la pace hanno poco di oggettivo ma molto di politico: sennò che ci stanno a fare per esempio nella lista Kissinger, Obama, Arafat, Begin e Carter?

  15. La lettura aperta da Knulp è interessante.

    In effetti c’è un lato accademico che porta spesso a usare i criteri di oggettività e di soggettività, anche per ragioni economiche.

    C’è dibattito su come valutare il calderone chiamato ricerca, specie agli effetti del finanziamento.

    Le materie umanistiche sono restie a farsi inquadrare in indicatori rigidi, anche per ragioni spicciole come la difformità linguistica.

    Un matematico e un linguista scrivono in inglese. Un giurista e uno studioso di letteratura italiana scrivono in italiano.

    La valutazione sul piano internazionale è resa più difficile non perché paese che vai giuristi che trovi, ma per limiti di comunicazione.

    La valutazione è un busillis, non perché le materie siano “soggettive” ma perché non ci sono criteri affidabili in grado di catturare un buon articolo di bioetica o un illuminante saggio di diritto costituzionale.
    E’ il criterio “oggettivo” ad essere una patacca.

    L’appello alla soggettività della valutazione ha anche fini difensivi.

    Per non farsi scorticare i finanziamenti ho sentito più volte dire: “Ma una ricerca storica sugli infoibati non è valutabile oggettivamente”!

    Traduzione.

    “Non pensiate neanche lontanamente che mi sono fatto il giro degli archivi per tre anni e voi mi pesate in base a ste cacchio di citazioni in ambito internazionale che funzionano solo per gli articoletti medici. Il mio dipartimento ha già un FFO da fame. Troppo comodo gli ingegneri che hanno finanziamenti esterni! Voi tecnico-scientifici usatevi pure i criteri oggettivi! Tanto anche se non funzionano la grana ce l’avete uguale.”

    😉

  16. “Dal Seicento in poi la figura dello scienziato si è lentamente separata da quella del filosofo”.

    Diciamo pure (semplificando) che prima del Seicento la scienza neppure esisteva… 😉 Di sicuro, non esisteva una fisica degna di questo nome.

    Quanto a Ivo, non mi convinci. Le “conoscenze” acquisite cui fai riferimento appartengono a distinte scuole filosofiche, non a tutti i filosofi. Prendi un manuale di fiolosofia delle superiori: quel filosofo dice A, quell’altro B, quell’altro ancora dice che non vanno bene né A né B.

    Gli scienziati, invece, sono accomunati eccome: nessuno chimico si sognerebbe di mettere in discussione la legge di Newton (nel suo ambito di validità, naturalmente), e nessuun biologo metterebbe in discussione il teorema di Pitagora, anche se probabilmente non useranno quegli strumenti nei propri specifici settore di ricerca.

    La conoscenza scientifica è comulativa: Newton ha esteso Galileo, Enistein ha esteso Newton. La scienza, poi, è la stessa in tutto il mondo: è uguale qui come in Giappone, o in Australia.

    Le materie umanistiche non hanno queste caratteristiche. Non sono cumulative e non sono condivise.

    Intendiamoci, questa non è (necessariamente) una critica: è una semplice constatazione, perfino banale.

    Il punto è che in una disputa tra scienziati esistono criteri *oggettivi* per sapere chi ha ragione; in una disputa tra umanisti no.

  17. @ Lorenzo Pantieri

    Prima del Seicento lo scienziato non esisteva nel senso moderno del termine. Ma anche il filosofo naturale (si chiamava così) elaborava le proprie riflessioni sui dati di esperienza. Che poi non avesse a disposizione la tecnologia adatta per indagare il mondo in modo non superficiale, questo è un altro discorso.

    I filosofi non vanno d’accordo l’uno con l’altro semplicemente perché ognuno di loro propone una sua interpretazione della realtà. Sta alla società nel suo insieme accogliere o respingere le loro visioni del mondo, secondo le proprie esigenze e i propri bisogni.
    Voler applicare il criterio dell’oggettività al sapere umanistico è un errore di prospettiva. Gli studi umanistici non cercano la certezza (o meglio, hanno smesso di cercarla da molto tempo), si accontentano della plausibilità.

  18. Ah, ah, in effetti potrebbe essere un bel dialogo preso paro paro da uno dei nostri consigli:

    Umanista-Eno: “Non pensiate neanche lontanamente che mi sono fatto il giro degli archivi per tre anni e voi mi pesate in base a ste cacchio di citazioni in ambito internazionale che funzionano solo per gli articoletti medici. Il mio dipartimento ha già un FFO da fame. Troppo comodo gli ingegneri che hanno finanziamenti esterni! Voi tecnico-scientifici usatevi pure i criteri oggettivi! Tanto anche se non funzionano la grana ce l’avete uguale.”

    Scienziato-Lorenzo: “Il punto è che in una disputa tra scienziati esistono criteri *oggettivi* per sapere chi ha ragione; in una disputa tra umanisti no.”

    Io come ingengere mi sono sentito dire che noi “facciamo marchette”, e che “non si può dimenticare la Cultura (solo umanistica evidentemente) per favorire solo le applicazioni pratiche (ingegneristiche, evidentemente)”.

    Parlando seriamente, questo discorso della valutazione delle discipline umanistiche è in effetti un problema molto serio e urgente.

    E’ vero che il peer-review è molto meno che perfetto; è vero che non ci sia poi tanta “oggettività” nelle misure di produzione scientifica di un singolo ricercatore; è vero che anche nel mondo scientifico la “chiara fama” è più importante del punteggio di h-index di un ricercatore, proprio come nel campo umanistico.
    Però, bisogna riconoscere oggettivamente che una valutazione imprecisa è molto meglio di nessuna valutazione.

    Non si chiedono qui criteri oggettivamente misurabili. Servono piuttosto procedure trasparenti per capire per quale motivo (anche soggettivo!) un certo articolo è stato pubblicato in una certa rivista, e se viene considerato un articolo fondamentale nel settore. Io sono convinto che è accettabile che l’oggettività venga fuori da un numero sufficiente di valutazioni soggettive dopo una quantità sufficiente di tempo.

    Questa valutazione (anche vaga!) deve essere fattibile anche da un non esperto in materia. Un non esperto in materie scientifiche si convince piuttosto velocemente che un articolo molto citato è probabilmente un artìcolo importante che ha influenzato la disciplina, ed è più favorevole ad accogliere nella propria università un ricercatore che sia un autorità nella sua materia. Se un umanista può effettuare questa valutazione “a bottoni” per uno del campo scientifico, non si capisce perché non debba valere il contrario.

    Una valutazione simile deve poter essere fatta anche per le discipline umanistiche, e poco importa se il “mercato” è limitato (solo riviste italiane), e la valutazione non completamente oggettiva. Perché, diciamolo chiaramente una volta per tutte: aver pubblicato un tot di monografie pagando la tipografia sotto casa NON PUO’ essere considerato un titolo di merito. Cari ricercatori umanisti, dovete dimostrare anche a noi poveri scienziati applicati che siete in gamba e con criteri quanto più possibile verificabili anche da chi non è della materia. Fate questo piccolo sforzo, dai. Costa un po’ di lavoro aggiuntivo, ma non si capisce perché noi dobbiamo farlo e voi no.

  19. @ knulp

    Parli di “valutazione” senza spiegare in che cosa debba consistere questa attribuzione di “valore”.
    Accenni vagamente all’individuazione di un qualche coefficiente di popolarità: che altro significa sennò dire “Io sono convinto che è accettabile che l’oggettività venga fuori da un numero sufficiente di valutazioni soggettive dopo una quantità sufficiente di tempo”?
    E questo ti sembra un criterio oggettivo?
    Mi sembra esattamente lo stesso criterio con il quale viene giudicata la qualità di uno studio di carattere umanistico. Se questo giudizio fa emergere dei tratti di originalità rispetto agli studi precedenti, si apre la possibilità dell’accesso al settore della ricerca. Proprio come avviene per le discipline scientifiche.
    A proposito: ti informo che anche gli umanisti (almeno quelli seri e preparati) conosono le lingue straniere e pubblicano su riviste internazionali.

  20. @filopaolo:

    “E questo ti sembra un criterio oggettivo? Mi sembra esattamente lo stesso criterio con il quale viene giudicata la qualità di uno studio di carattere umanistico. Se questo giudizio fa emergere dei tratti di originalità rispetto agli studi precedenti, si apre la possibilità dell’accesso al settore della ricerca.”

    Esatto. Se diventasse trasparente, facilmente accessibile sarebbe già ok per me. Insomma: non è la misura che conta, ma il processo dietro di essa. Per questo non ho parlato di come attribuire il valore.

    D’altro canto io non saprei come si possano oggettivamente valutare e comparare due lavori di critica letteraria (ammetto la mia ignoranza). Se qualcuno ci dice come si fa, ecco che il processo diventa già trasparente, e questo mi basta. Non pretendo risultati quantitativi e misurabili.

    Per esempio, si potrebbe cercare di forzare tutti i ricercatori (umanisti o no) a rendere più trasparente il processo di accettazione di un lavoro in una rivista introducendo il meccanismo della peer-review obbligatoria.

    So già che gli umanisti conoscono le lingue straniere, e che moltissimi pubblicano su riviste internazionali, e che molte di queste riviste hanno già il peer-review. Però sono tollerante, e sono disposto ad accettare che per certe discipline non esistano riviste internazionali di settore (che ne so, diritto privato nella legislazione italiana). Basta che ci facciano sapere come funzionano, e soprattutto nelle procedure nazionali di valutazione della ricerca non entrino parametri poco chiari.

    Non sono solo io a dire queste cose, conosco molti umanisti che riconoscono il problema e si impegnano seriamente per superarlo.

  21. Cari Filopaolo, knulp, Eno e Ivo,

    pensate di trovarci noi tutti quanti una sera a bere una birra.

    1.
    Immaginate che il tema in discussione della serata sia “chi è il più grande attore di tutti i tempi?”.

    Filopaolo dice Clark Gable, knulp Sean Connery, mentre Eno, Ivo e io siamo per Dustin Hoffmann. Chi ha ragione?

    Io dico che
    a) a una risposta condivisa non si arriverà mai, perché
    b) non esistono criteri “oggettivi” per stabilire chi ha ragione: ognuno la vede a modo suo.

    2.
    Stessa cosa se il tema della serata fosse “qual è il senso della vita?”, “esiste Dio?”, “esiste l’anima?”, “che cos’è il bene?”, “che cos’è il bello?”, eccetera. Insomma, tutti i problemi classici che da millenni si pongono i filosofi.

    3.
    Se il tema della serata fosse invece “è vero che un corpo che scivola lungo un piano inclinato segue la legge dei quadrati?” oppure “è vero che i numeri primi sono infiniti?”, io dico che le cose andrebbero diversamente:
    a) anche se le posizioni iniziali fossero diverse, si potrebbe arrivare a una soluzione condivisa (nei fatti, ci si arriva eccome), proprio perché
    b) qui esistono criteri oggettivi per stabilire chi ha ragione.

    Poi, ragazzi, in questo blog voi siete per lo più umanisti. È normale che questa denuncia di mancanza di oggettività possa irritare qualcuno di voi. Eppure, mi pare che le cose stiano così.

  22. @Lorenzo Pantieri: e il fatto che nessuno abbia proposto Alvaro Vitali non suggerisce che qualche argomento oggettivo c’è anche per il miglior attore?
    E se la discussione scientifica vertesse sul miglior percorso di un commesso viaggiatore? Non è garantito il risultato, quindi è sola robaccia soggettiva?

    Comunque: nessuna irritazione. La filosofia non è oggettiva come lo può essere la fisica (che non può essere oggettiva come lo è la matematica o la biologia). Quello che voglio sottolineare, problemi accademici a parte, è che la filosofia, la buona filosofia, non è soggettiva nel senso del puoi dire tutto e il contrario di tutto. La cattiva filosofia sì, però allora io come esempio di scienziato prendo Zichichi, e a questo punto non ci resta che piangere.

  23. Aggiungo: per me è scientifico ogni prodotto della mente umana che cerca di mettersi alla prova, di capire se funziona nella realtà.
    È scientifico un romanzo che viene sottoposto all’attenzione di pubblico e critica; è scientifica la tesi filosofica che viene sottoposta alle critiche delle persone, è scientifica la teoria fisica che stanno testando al CERN, è scientifica l’esistenza del pianeta simile alla terra a 20 anni luce da qui e così via. È scientifico anche questo commento, perché qui sotto potete rispondere.
    Sono modalità di test tutte diverse — e sarebbe strano il contrario: come farebbe il CERN a scoprire nuovi pianeti?

    Poi, è ovvio, con scienza si intendono alcune particolari discipline e non altre — e non ho problemi a dire che la filosofia in questo secondo senso non è scienza. Lo è però nel primo, almeno la buona filosofia.

  24. E’ vero, manca il consueto appello a questa misteriosa minchiata chiamata “cultura”. 😀

    Sia chiaro che quella frase la citavo come parodia di sé stessa.
    Non la difendo affatto.

    Come se poi le peggiori capre del panorama politico e giornalistico italiano, anche di laurea scientifica, non fossero farcite di “cultura”.

    E’ uno shibbolet che connota il docente umanistico in malafede o il direttore di dipartimento in bolletta, ma ha qualche difficoltà reale dovuta alla struttura degli atenei.

    La valutazione delle pubblicazioni è fattibile in astratto, anche se è complessa.

    E’ resa difficile dall’inaffidabilità del valutatore, del defunto carrozzone del CIVR, da rivalità tra strutture di ricerca, dalla fame di finanziamenti che avvelena l’aria, dalle carognate e dai colpi di mano in consiglio d’amministrazione, dai sospetti di nepotismi.

    Con ciò non dico nulla sulla possibilità di una valutazione, ma rimarco che le dispute sul valore delle discipline spesso sono malamente confuse con le dispute sul loro insegnamento e sulla valutazione meccanica delle pubblicazioni.

    Insomma, solite zuffe accademiche tra croste (o “baroni”, come dice la stampa).

    La valutazione, con ragionevoli margini di libertà e incertezza, è però possibilissima e caccia balle chi si appella al insindacabilità della fumosa “cultura”.

    Faccio un esempio.

    Un ottimo linguista da venti pubblicazioni annue. Cita Chomsky ed è citato da Chomsky. Ha un programma di ricerca semi-matematizzato sui mutamenti sintattici con cui cerca di ricostruire anche in assenza di documentazione scritta antica la filogenesi di lingue imparentate. Un elenco così di collaborazioni e piani di ricerca interfacoltà. Scrive in inglese e se serve tiene anche lezione in inglese. Bibliografia ragionata di ciò che ha pubblicato. Chiara esposizione delle linee di ricerca.

    Un glottologo vecchio stampo. Non scrive nulla da venticinque anni. La sua unica pubblicazione è un dizionario dialettologico stampato in trecento copie, di cui centocinquanta invendute, mai citato da altri glottologi.

    Probabilmente non sapremo mai che posto occupi il primo in una fantomatica top 100 mondiale. Ma poi, ci interessa davvero?

    Però so che il primo dovrebbe essere finanziato e il secondo pensionato senza gloria.

  25. Sono maliziosamente incuriosito dalla vita pubblica di alcuni personaggi che parlano di soggettività delle discipline umanistiche.

    Sostengono che nulla si può dire di chiaro e fondato, ancorché non definitivo, in materia di “senso della vita”, di etica e di politica.

    Di fronte a questo agnosticismo professato mi aspetterei un prudente basso profilo in quei campi, invece sono gli stessi che abbracciano le cause più roboanti.

    Vessilliferi sanguinari d’una laicità invero incostituzionale, vulcanici riformatori sociali per paradisi in terra, neo-comunisti, immaginifici propugnatori di nuove forme di stato, utilitaristi crudi e duri che farebbero salcicce d’un socrate depresso e voterebbero al Senato un porco contento, difensori delle radici illuministe/cristiane/pagane/esoteriche della “scienza”, statalizzatori del mercato, anarcoliberisti del SSN, abortisti dell’ultima settimana, esegeti del sesso libero.

    Alcuni di loro si sono compromessi con movimenti estremisti negli anni di piombo o hanno elogiato dittature totalitarie.

    Magari in qualcosa Odifreddi, Boncinelli, Veronesi o Hack ci imbroccano, sul modello minimo degli orologi rotti.

    Nondimeno la violenta differenza tra teoria e convinzioni reali mi sconcerta. L’assenza di oggettività non dovrebbe comportare prudenza?

    E’ come se qualcuno argomentasse con cavilli l’assoluta soggettività del codice della strada per poi poter sfrecciare liberamente a 150 km/h in pieno centro storico.
    VRRUM!! E se travolge qualcuno, non deve neanche giustificarsi.

    L’urto era soggettivo.

  26. “e il fatto che nessuno abbia proposto Alvaro Vitali non suggerisce che qualche argomento oggettivo c’è anche per il miglior attore?”

    Mah, ne dubito. Innanzitutto, qualcuno dei presenti potrebbe anche citare Alvaro Vitali come grande attore. La mia è una provocazione, ma fino a un certo punto: in fondo, Alvaro Vitali è una superstar dei b-movie, che fino a qualche anno fa erano considerati spazzatura, ma che oggi sono stati rivalutati (da Tarantino, per esempio, che è considerato da molti uno dei geni del cinema).

    Insomma, di “argomenti oggettivi” per decidere chi è il migliore attore non ne vedo proprio. A meno di considerare “migliore” come sinonimo di “più popolare”: e allora si fa un sondaggio, e via. Solo che un attore popolare oggi può non esserlo domani: ancora una volta, l’oggettività è solo presunta.

    “Aggiungo: per me è scientifico ogni prodotto della mente umana che cerca di mettersi alla prova, di capire se funziona nella realtà”.

    Liberissimo. Odifreddi, però, usa la parola “scienza” e “scientifico” in senso stretto (di scienza sperimentale). Ti ho già detto che per Odifreddi la matematica non è una scienza. La teologia è una scienza? Fisichella dice di sì, ma a me sembra più corretto, più onesto, non giocare con le parole e dire di no!

    Riguardo alla birra in osteria, non sto dicendo che parlare dell’esistenza di dio o della natura del bene siano cose senza senso. Solo, quello che uno dice è, inevitabilmente, (solo) la sua opinione, (solo) la sua visione personalissima delle cose.

    Ogni filosofia, in definitiva, è una prospettiva: “io, dal mio punto di vista, la vedo così”. Di oggettività non ce n’è proprio. Va da sé che, non essendoci oggettività, non ci può essere neppure universalità: ecco perché “due filosofi, tre visioni del mondo”.

    Nella scienza non basta dire “la vedo così”.

  27. Vi propongo quella che m’è sempre parsa un’equa ripartizione di ruoli, anche se non rammento più chi ne è l’autore:
    “La scienza cerca di dare una descrizione quantitativa del mondo che ci circonda, mentre la filosofia [*] una qualitativa”.

    [*] e le discipline umanistiche in generale

  28. Ci sono un paio di belle frasi di Wittgenstein con le quali il filosofo supera la sua celebre affermazione che “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” e che secondo me aiutano a demolire la fede (e sottolineo “fede”) di Odifreddi nel positivismo logico e a riabilitare un po’ il sapere umanistico:
    “Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v’è in esso alcun valore – né, se vi fosse, avrebbe alcun valore” (Tractatus, 6.41).
    “Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati” (Tractatus, 6.52).

  29. Di sicuro, Odifreddi è un logico; se sia anche un positivista logico non lo so… 😉

    Quanto alla “fede” di Odifreddi, sono dei paradossi già sentiti: tra Odifreddi e Ratzinger non ci sarebbe differenza, perché entrambi hanno fede in qualcosa. Per me, la differenza c’è eccome! 🙂

  30. @Lorezo Pantieri:

    Solo, quello che uno dice è, inevitabilmente, (solo) la sua opinione, (solo) la sua visione personalissima delle cose.

    Quindi va bene tutto, Odifreddi che dice “Dio non esiste” e il Papa che dice “Dio esiste” sono la stessa cosa?

  31. Un via fruttuosa per riconciliare soggettività ed oggettività la offre il reverendo Bayes.

    Il suo teorema sta su un rigo e in fondo per molti ( i cosiddetti bayesiani) racchiude tutto cio’ che possiamo salvare dell’ epistemologia novecentesca.

    E cosa c’ è di più oggettivo della conoscenza scientifica?

    Senonchè la concezione probabilistica bayesiana è di carattere soggettivo (con la probabilità non si indica una frequenza ma il coefficiente di una scommessa). De Finetti ha insistito in modo eloquente su questo punto.

    Una conoscenza oggettiva fiorisce così dalla conoscenza soggettiva.

    Non solo, aggiungendo qualche ipotesi si puo’ dimostrare che… “due persone che discutono giungeranno necessariamente ad un accordo completo su tutte le questioni”!?… magari all’ infinito (qui la nota – un po’ incasinata – che valse il Nobel al prof. Auman).

    Sono proprio felice che uno dei più grandi “bayesiani” sia stato il Cardinale Newman, neo beatificato da Benedetto XVI nel corso della sua visita inglese.

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