Di corsa contro le bufale

Ieri, per essere certo dell’ortografia della parola,1 ho cercato “of course” su Google. E nel “knowledge box” – quella parte che ogni tanto figura prima dei risultati e che dovrebbe mostrare la capacità del motore di ricerca di capire le richieste degli utenti – mi ha dato la seguente traduzione:

Più che un falso amico, è un gioco di parole, e infatti proviene da un sito che si chiama “dizionario-stupidario”.

Curiosamente questa cosa viene fuori agli utenti svizzeri e non a quelli italiani per i quali il significato di “of course” sembra preso dal servizio di traduzione di Google (l’ho verificato facendo la stessa richiesta partendo da google.it invece che da google.com). E se è comprensibile che i risultati cambino in base alla zona geografica – se cerco “rinnovo passaporto”, mi interessa trovare l’ufficio più vicino, non quello più frequentato al mondo, e lo stesso per “pizzeria da asporto” –, mi sfugge perché il significato di una parola dovrebbe basarsi su fonti diverse.

Ma la cosa che più mi lascia perplesso è un’altra. Perché se Google – che ha un proprio traduttore automatico che funziona pure benino e analizza non so quanti milioni di pagine ogni giorno – non si accorge che un sito con “stupidario” nel titolo e pieno di definizioni fantasiose non è una fonte affidabile, sperare che la soluzione al problema della pseudoinformazione possa essere un sistema automatico di identificazione è quantomeno ingenuo.

  1. Non si sa mai. E comunque l’avevo scritto correttamente. []

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